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Inserito il - 10/09/2008 : 10:26:39
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La meditazione - Consigli ai principianti 2
di Bokar Rimpoche (parte 2a.)
LA MEDITAZIONE Consigli ai principianti
(parte seconda )
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DOMANDE - RISPOSTE
Si può meditare mentre si lavora? Se noi lavoriamo senza distrazione, applicandoci a quanto stiamo facendo, questa pure é meditazione.
Quale durata e quale frequenza adottare all'inizio? Si può meditare con gli occhi chiusi? Se non si ha molto tempo a disposizione, meditare anche solo un quarto d'ora al giorno con regolarità é già di beneficio. Se si dispone di più tempo, fare due sessioni di quindici minuti é ancora meglio. Quanto al mantenere gli occhi aperti o chiusi, questo dipende dall'aiuto che uno ci trova. Quando lo spirito é perturbato da moltissimi pensieri, chiudere gli occhi potrà essere di beneficio. In caso contrario, si possono tenere aperti. Al di là di questa relazione con i nostri pensieri, non ha molta importanza.
La meditazione, presenta dei rischi? Se ci si affida ad un istruttore qualificato, nessuno. Se, al contrario, si medita senza questa guida, la nostra meditazione può essere semplicemente sterile oppure, effettivamente, comporta dei rischi.
In alcune meditazioni, si utilizzano dei simboli dei cinque elementi che comportano certi colori. Sono questi semplicemente convenzionali o hanno una loro profonda ragion d'essere? La natura ultima dei cinque elementi é implicita al modo di essere dello spirito. Realizzata, questa natura essenziale dei cinque elementi é riconosciuta come essere i cinque Buddha femminili. Senza questa realizzazione, appaiono i cinque elementi ordinari. I colori attribuiti ai cinque elementi sono quelli della loro natura primordiale; non sono quindi delle semplici convenzioni.
Una volta pacificati i pensieri, come evitare di restare in uno stato di quiete vaga? Per evitare la mancanza di chiarezza e la sonnolenza, occorre rinforzare la vigilanza. Tuttavia, la vigilanza deve essere regolata con attenzione: troppo tesa genera dei pensieri supplementari, troppo allentata, porta alla sonnolenza o all'ebetudine. Occorre trovare il giusto equilibrio.
Ad un dato momento, mi ha colpito "né gioie né dolori", il che implicherebbe lo stato di neutralità emozionale. in queste condizioni, cosa significa scambiare se stessi con gli altri? E' vero che la meditazione rende liberi dall'influenza delle gioie e delle sofferenze esterne. Tuttavia, quando durante la meditazione noi sviluppiamo il pensiero di ottenere il Risveglio per il bene di tutti gli esseri, il risultato di questo orientamento dato alla nostra mente sarà che, una volta raggiunto il Risveglio, compiremo spontaneamente il bene universale senza che ciò implichi sforzi o intenzioni parziali. Il sole dispensa i suoi raggi benefici a tutti gli esseri e a tutta la manifestazione, senza dover pensare "occorre che io riscaldi il tale, che faccia maturare tali frutti ecc". Nello stesso modo, l'irraggiamento benefico di un Buddha, si esplica spontaneamente nei riguardi di tutti gli esseri. Non é tuttavia un irraggiamento inconsapevole. Un Buddha, é pienamente consapevole della situazione degli esseri e della propria azione. Egli conosce le afflizioni di coloro che soccorre, ma la sua azione é priva di sforzo. Essa si esercita, nel dominio della manifestazione, in diversi modi: attraverso il Corpo di Gloria, guidando degli esseri gia puri, attraverso il Corpo di Emanazione[1] che si rivolge agli esseri ordinari che noi siamo così come attraverso i supporti sacri quali statue, dipinti, mantra, ecc.
Possono gli scritti essere sufficienti per raggiungere la Realizzazione? Senza maestro, gli scritti sono insufficienti. Ciò che noi leggiamo nei libri non lascia nella nostra mente un'impronta abbastanza profonda mentre, quanto riceviamo dalla bocca di un maestro, lascia questa impronta e genera una grande fiducia.
Quello che mi disturba nella meditazione, é la parola metodo. Un metodo, é qualcosa che organizza, qualcosa che condiziona la mente, che la orienta. Io mi domando come si possa raggiungere, con questi metodi, qualcosa di incondizionato e di non orientato. D'altra parte, il nostro sapere, i nostri pensieri e le nostre emozioni, sono il risultato del tempo. Ciò che mi disturba, inoltre, nei metodi, é che si utilizza il tempo mentre liberarsi da ogni costrizione é svincolarsi dal tempo. Una volta che sia realizzata la natura ultima della mente, non vi sono più metodi. Ma, per realizzare lo stato al di là dei metodi, occorre basarsi sui metodi. Senza questo supporto, é impossibile realizzare lo stato ultimo. I metodi implicano una progressione che si inscrive nel tempo: é anche basandosi sul tempo che si arriva al non-tempo.
Il tempo, esiste realmente o non é altro che la proiezione della mente? Dal punto di vista ultimo, quello dello Stato di Buddha, non esiste il tempo. Ma per noi, fino a questa realizzazione ultima, il tempo esiste. Noi percepiamo ora tre tempi - il passato, il presente e il futuro - come reali. Concedere una realtà al passato o all'avvenire, crea numerose sofferenze a causa dei ricordi, delle preoccupazioni e dei progetti con cui mettiamo in agitazione la nostra mente. In realtà, il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora ma, rendendo realili con il pensiero questi due poli illusori, noi soffriamo. Dei tre tempi, sono il passato e l'avvenire quelli che, sebbene inesistenti, ci creano maggiori sofferenze. E, in questo campo, l'avvenireprevale sul passato. Noi concepiamo ora i tre tempi come realmente esistenti; attraverso una progressione nel tempo, approfondiamo gradualmente la comprensione dell'irrealtà dei tre tempi finché non arriviamo al non tempo.
Dato che le cose sono impermanenti, ciò significa quindi che hanno un tempo? Il tempo, ora, per noi, esiste, e di conseguenza l'impermanenza. Il non-tempo, é l'eternità.
Sfumature complementari ________________________
IL CIELO E LA MENTE
Molte persone desiderano meditare. Esse capiscono chiaramente che la meditazione concerne la mente, ma, generalmente, non sanno che cosa essa sia precisamente.
E' un po' come il cielo. Tutti sanno che cos'é; nessuno vi dirà mai : " Il cielo? Non lo conosco." Ma l'idea che si ha del cielo é molto imprecisa ed é molto difficile trovare qualcuno in grado di definirlo. Se voi chiedete: " Cos'é il cielo?" la persona interpellata non potrà che puntare il dito verso il cielo e dire: " Il cielo é questo. " Lo stesso succede per la meditazione: si sa che esiste, il più delle volte si ritiene che sia una cosa positiva, ma non si sa veramente cosa essa sia.
Cosa é il cielo?
Si dirà abitualmente che il sole é al centro del cielo, implicando la nozione di centro quella di confini. Un Francese sarà incline a concepire questo centro e questi confini in relazione alla Francia, ma un abitante di un altro paese, applicherà il medesimo rapporto al proprio paese. Questo basta a dimostrare che le nozioni di centro e di confini del cielo sono soggettive e non corrispondono ad una descrizione della realtà. Le persone che hanno la fortuna di abitare in Provenza, dicono spesso: " Com'é bello il cielo da noi!" Ma é possibile delimitare un pezzo di cielo di cui si possa dire, in modo esclusivo: " Questa parte di cielo é il cielo della Provenza ?"
Tutti sanno inoltre che il cielo é azzurro ma ben poche persone sanno il motivo di questo colore. Da dove deriva? E' materiale? Immateriale? E inoltre, qual é la dimensione del cielo?
La meditazione concerne la mente. La mente é molto simile al cielo: senza forma, senza sostanza, senza dimensione. Proprio come il cielo, tutti sanno che esiste ma molto pochi sono coloro che sanno cosa sia effettivamente. Così come il cielo, la mente é privo di centro e di limiti. Tuttavia, noi non abbiamo l'esperienza di questo stato illimitato; riduciamo invece l'infinito al finito e restiamo bloccati nei ristretti limiti di ciò che noi chiamiamo < io >. Questo restringimento, corrisponde alla limitazione soggettiva implicita nella nozione di <nostro cielo> quando un Provenzale, ad esempio, si riferisce al cielo del Sud della Francia, come se esistesse un pezzo di cielo che si possa ritagliare e definire come se si rapportasse specificatamente ad una regione. Nella mente infinita, senza centro né confini, noi ci assimiliamo a una entità molto ridotta: l'ego. Da ciò, hanno origine tutte le nostre sofferenze e le nostre difficoltà, sia fisiche che mentali. E' vero che alcune sofferenze sono in relazione a circostanze esteriori e che vi sono più o meno possibilità di intervenire materialmente su di esse. Di fronte alle sofferenze interiori, invece, qualsiasi rimedio materiale é vano.
Immaginiamo un re in un paese prospero e in pace, di notte, nel suo palazzo ben custodito. Questo re, che é in possesso di tutte le circostanze esteriori favorevoli alla felicità, dorme. Nel suo sogno, appare un nemico che lo insegue e tenta di ucciderlo. Il re soffre d'angoscia ed ha i brividi. Le sofferenze di questo sogno non potrebbero essere alleviate da alcun rimedio esterno alla mente del sognatore. Così noi, possiamo possedere tutte le condizioni materiali necessarie per essere felici, ma questo é inutile per la mente che soffre. Solo la via spirituale e la meditazione permettono di liberarsi dalle sofferenze, dalle angosce e dalle difficoltà interiori.
L'EGO E I CINQUE VELENI
La nostra mente é fondamentalmente infinita, non é limitata dai vincoli di un'esistenza individualizzata; non c'é ego. Sebbene esso non esista, noi ci identifichiamo con questo ego illusorio. esso é il centro e la pietra di paragone di tutte le nostre relazioni: tutto ciò che rende confortevole la sua esistenza, tutto ciò che gli é favorevole, diviene oggetto di attaccamento; al contrario, tutto ciò che minaccia la sua integrità, diventa un nemico fonte di avversione. D'altro canto, la presenza stessa dell'ego, occulta l'autentica natura della nostra mente e dei fenomeni, ci rende incapaci di distinguere tra il reale e l'illusorio. Noi siamo, in questo senso, prigionieri dell'offuscamento mentale. L'ego genera pure la gelosia di fronte ad ogni persona considerata come possibile rivale, in qualsiasi campo. Infine, l'ego, pretende di essere superiore agli altri: é l'orgoglio.
Attaccamento, avversione, offuscamento mentale, gelosia, orgoglio, sono i cinque veleni di base generati dalla visione egocentrica. Essi costituiscono un ostacolo irrevocabile alla pace interiore, generando in continuazione inquietudini, turbamenti, difficoltà, angoscia e sofferenza non solo per se stessi ma anche per gli altri. E' evidente, per esempio, che la collera costituisce una sofferenza per se stessi e per la persona verso cui é rivolta, che deve subire un viso furioso, imprecazioni e parole che feriscono.
L'ego e i cinque veleni, ci portano inoltre a compiere degli atti di carattere nocivo che imprimono nella nostra mente un potenziale karmico[2] negativo, la cui maturazione si esprimerà sotto forma di circostanza dolorose.
L'ego e il suo seguito, sono il nostro vero nemico, non un nemico visibile che potrebbe essere vinto da armi o da qualche oggetto materiale, bensì un amico invisibile che può essere sconfitto solo dalla meditazione e dalla via spirituale. La scienza contemporanea ha messo a punto delle armi di estrema potenza, delle bombe in grado di uccidere in un colpo centinaia di migliaia di persone. Ma nessuna bomba può annientare l'ego e i cinque veleni. In questo campo, la vera bomba atomica, é la meditazione.
LA MENTE IN VACANZA
La nostra mente é, nel suo stato abituale, occupata permanentemente da pensieri legati ai cinque veleni. Questi si presentano ciascuno a suo turno: talvolta sotto l'influsso dell'avversione, talvolta dell'attaccamento, talvolta dell'offuscamento mentale, talvolta della gelosia, talvolta dell'orgoglio. L'intensità di questi pensieri può variare di molto, ma non vi é un solo istante in cui la nostra mente non ne sia agitata.
E' una bella giornata di vacanza: nessun lavoro da fare, il cibo é pronto, nessuna discussione da affrontare. Qualcuno può essere seduto tranquillo senza nessuna preoccupazione esteriore. Eppure, la sua mente si affatica. Continuamente perturbata, anche leggermente, dal gioco dei veleni che la abitano, é incapace di stabilirsi in una pace autentica. La mente non é in vacanza. La mente non può prendersi delle vacanze che attraverso la meditazione. Non che questa permetta la totale scomparsa dei pensieri; ma, essi perdono forza e, a intervalli, si smorzano. La mente conosce in quel momento più pace e benessere. Essa si riposa. Gli Occidentali lavorano molto durante tutto l'anno, in un ufficio o in qualche altro posto, e dispongono di un mese o due di vacanze. E' per loro la possibilità di recarsi all'estero, di raggiungere il mare, la montagna, la campagna, con l'idea di trovarvi felicità e riposo. Purtroppo la mente, non va affatto in vacanza: i cinque veleni, le sofferenze e le difficoltà interiori, fanno parte del viaggio. In realtà, sono solo delle semi-vacanze. Solo la meditazione procura delle vacanze a tempo pieno.
MEDITAZIONE NELLA VITA
Un principiante deve necessariamente ritirarsi in un ambiente calmo, adottare una postura specifica, mantenere il silenzio e rispettare certe condizioni. Con l'instaurarsi dell'abitudine e dell'esperienza, si acquisisce la capacità di meditare in tutte le circostanze: camminando, lavorando, parlando, mangiando, ecc. Da lì, si dispone di molto tempo per la meditazione. Oltre a ciò, in tutte le circostanze, si mantiene la mente serena, aperta e distesa. La meditazione é anche questa esperienza di trovarsi a proprio agio e sereni. E' anche un'esperienza di libertà. La libertà é un valore a cui ai giorni nostri attribuiamo estrema importanza ma, per quanto godiamo di ogni tipo di libertà esteriore, fintanto che la nostra mente resterà prigioniera dei suoi veleni e dei suoi pensieri, non saremo liberi. Un guidatore principiante é molto teso al volante; teme di provocare un incidente, di non saper guidare come si dovrebbe. Quando sopravviene l'abitudine, il guidatore é invece in grado , pur essendo pienamente presente a quanto fa, di parlare con la persona seduta al suo fianco. La conversazione non gli impedisce di rimanere concentrato sulla guida della vettura e di prestare attenzione alla segnaletica stradale. Il meditante principiante, nello stesso modo, deve prestare molta attenzione al solo esercizio della meditazione; in seguito, progressivamente, sviluppa la capacità di continuare la meditazione pur essendo pienamente occupato in altre attività, parlando o lavorando. Si sperimenta allora, in ogni occasione, un grande benessere interiore e una libertà autentica.
UN VISO APERTO
Man mano noi progrediamo nella pratica meditativa, i veleni della mente diventano meno virulenti e i pensieri diminuiscono. Anche quando essi restino presenti, perdono il loro carattere costrittivo e non sono pertanto causa di sofferenza. La nostra mente si calma e conosce la gioia. Questa si riflette sul nostro aspetto fisico: il nostro viso é aperto, avvenente, gioioso. Diventiamo persone di contatto facile e piacevole; gli altri hanno piacere di frequentarci. La pace e la felicità interiori irradiano all'esterno.
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[1]La pienezza della buddhità, altrimenti detta del Risveglio, é descritta in termini dei tre Corpi di un Buddha, dove, in questo contesto, Corpo non significa organismo fisico bensì aspetto dell'essere.
- Il Corpo Assoluto (sanscrito dharmakaya), letteralmente e tecnicamente corpo di realtà ultima di ogni esistenza , é non-manifestato, inaccessibile ad ogni determinazione, ineffabile, simile allo spazio. Può essere detto eterno e infinito o, ancora, a-temporale e a-spaziale sebbene in esso si inscriva il gioco di ogni tempo e di ogni spazio.
- Il Corpo di Gloria (sanscrito sambhogakaya) detto anche Corpo di completo godimento delle qualità del Risveglio, é una manifestazione formale del Risveglio, non materiale, della natura della luce, derivato dalla dinamica propria del Corpo Assoluto. Invisibile agli esseri ordinari, viene percepito dai bodhisattva delle tre terre superiori. Non essendo soggetto alla natura provvisoria dei fenomeni, non é soggetto ad alterazioni temporali.
- Il Corpo di Manifestazione (sanscrito nirmanakaya), designa un Buddha che appare ad un grado di manifestazione ordinaria come, ad sempio, il Buddha Sakyamuni. Espressione della compassione, egli guida gli esseri verso la liberazione.
Si aggiunge spesso un quarto Corpo, il Corpo d'Essenza stessa ( sanscrito svabhavikakaya)che non é di fatto che un modo di esprimere l'indissociabilità essenziale dei tre precedenti.
[2]La legge del karma, che significa letteralmente legge di causalità degli atti, vuole che ogni atto compiuto nella dualità di un soggetto e di un oggetto, che questo atto sia fisico, verbale o anche mentale, comporti un effetto di ritorno per colui che agisce. Questo effetto é dapprima invisibile e impercettibile, simile a un'impronta o a un seme che si inscriverebbe negli strati più sottili della coscienza individualizzata, al di là anche dell'inconscio degli psicanalisti, nell'alayavijnana, ovvero nel serbatoio, o piuttosto, nel potenziale di coscienza. A partire da questo stato latente, comincia un processo di maturazione che si dispiega generalmente su più vite, anzi, su centinaia di vite, al termine del quale il seme karmico si esprime determinando sia le circostanze generali di un'esistenza (sesso, nazionalità, ricchezza, caratteristiche fisiche, intellettuali, affettive ecc), sia delle condizioni passeggere (una malattia, un incontro, un successo, uno scacco ecc). Il tutto funziona - non é che un paragone- come in un computer: i dati sono presenti in quantità numerosissime, agiscono gli uno sugli altri, e l'aggiunta di nuovi dati modifica, più o meno, i risultati. Per il fatto che noi agiamo costantemente sotto il dominio della dualità - funzionamento deformato che non cessa che con la liberazione - vi é un flusso permanente di elementi nuovi che nutrono il nostro potenziale
karmico nello stesso momento in cui una costante maturazione elimina delle vecchie impregnazioni. L'insieme del processo, lungi dall'essere statico, é un continuo movimento. Non bisogna dimenticare che tutti i fenomeni che reggono la nostra vita sono l'espressione del nostro karma e che l'isolarne un elemento é un errore che viene commesso frequentemente. Pensare che, per esempio, se uno si ammala é un risultato karmico, e che é quindi inutile curarsi, é una concezione del tutto frammentaria, nel momento in cui dimentichiamo che il nostro karma vuole che noi abbiamo pure dei medici e degli ospedali a cui rivolgerci. La legge del karma é di fatto una visione molto allargata delle leggi fisiche che reggono il nostro universo. Se si semina del grano, non spunterà del riso. Il caso non governa nella materia e tantomeno ha un diritto di cittadinanza nelle condizioni esistenziali degli individui. Molto complessa, giacché dipendente dall'interazione di un'infinità di elementi, la causalità Karmica si riassume pertanto in un principio molto semplice: colui che genera la sofferenza, imprime nel proprio intimo un potenziale di sofferenza, colui che genera felicità, imprime un potenziale di felicità.
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