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 Il BIO contro la povertà
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Inserito il - 23/06/2008 : 13:01:58  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Il BIO contro la povertà


r.s. a cura della redazione ECplanet

Data articolo: giugno 2008

Fonte: canali.libero.it


Povertà/ Il bio è una via d'uscita alla crisi alimentare e all'agrobusiness. Ecco perché.

Fra le cause che hanno determinato la crisi alimentare mondiale c'è senza dubbio l'aumento del prezzo del petrolio. Non solo per il costo della meccanizzazione della produzione agricola ma anche per l'esteso uso dei fertilizzanti e dei pesticidi chimici. Infatti la stragrande maggioranza di quelli utilizzati in agricoltura sono di natura sintetica.

Innumerevoli studi scientifici e decennali prove “sul campo” mostrano come l'agricoltura biologica produca fino a tre volte di più di quella intensiva che prevede uso di fertilizzanti sintetici e pesticidi. Perché allora, vi chiederete voi, l'agricoltura intensiva è cosi diffusa ?

Le sue origini si ritrovano nella cosiddetta Rivoluzione Verde che prese il via nel 1944 e che vide la progettazione di sementi ibridi per migliorare la resa e l'utilizzo di fertilizzanti chimici che servivano a stabilizzare l'acidità o la basicità dei terreni per renderli più adatti alla coltivazione di questo o quel prodotto. Con la successiva introduzione di pesticidi ed erbicidi la produzione di alimenti è effettivamente accresciuta enormemente ed i prezzi accessibili dei combustibili fossili hanno favorito lo sviluppo dell'agricoltura intensiva.

Quello che non si è previsto è la progressiva erosione e l'impoverimento dei terreni che con l'uso eccessivo dei fertilizzanti chimici perdono in ricchezza organica che favorisce la crescita delle piante. Inoltre l'agricoltura intensiva crea dipendenza economica dai fertilizzanti sintetici, infatti per combattere l'impoverimento del suolo gli agricoltori si vedono costretti ad utilizzare sempre più fertilizzanti per mantenere una produzione elevata, trovandosi chiusi in un circolo vizioso alla mercè delle grandi multinazionali dell'agribusiness.

Come emerso dal recente vertice FAO sulla fame nel mondo, il problema non è la quantità di cibo prodotta a livello globale, ma la sua distribuzione. La superproduzione derivata dall'agricoltura intensiva e monocolturale, nel passato ha fatto crollare i prezzi di cereali e alimenti in genere, mettendo con le spalle al muro molti piccoli agricoltori che hanno trovato più conveniente abbandonare la loro attività che proseguire vendendo a prezzi irrisori.

L'alto prezzo del petrolio è una buona occasione per spezzare l'incantesimo e tornare ad una agricoltura più naturale che utilizzi solo fertilizzanti naturali. L'agricoltura biologica non è, come spesso si percepisce, un settore di nicchia per estremisti del salutismo ma, come dimostrano molti casi di studio, la via maestra che garantisce maggiore produttività, migliore qualità del prodotto e minori costi dovuti al taglio dei derivati del petrolio.

Il concetto di biologico però non si esaurisce nell'uso di tecniche agricole naturali, ma è anche strettamente legato all'ambiente di produzione. La parola d'ordine è "locale" per una serie di motivi. La raccolta prematura e l'uso dei pesticidi su frutta e verdura ad esempio ha come scopo anche la conservazione prolungata e quindi la possibilità di distribuire il prodotto anche a migliaia di chilometri di distanza. Un consumo locale invece dà la possibilità di eliminare le cosiddette food miles ossia la distanza percorsa dai cibi che ovviamente incide sull'inquinamento globale, porta un cibo più fresco e ricco di sostanze nutritive e accorcia la filiera produttore-consumatore, tagliando costi inutili di micro e macro distribuzione e distribuendo ricchezza in maniera più equa.

Alcuni esempi virtuosi già esistono a livello internazionale e nazionale. Ricordiamo i gruppi di acquisto che molti consumatori hanno formato prevalentemente in nord Italia o le distribuzioni di prodotti alla spina di latte oltre che di pasta, riso e detersivi in uso in alcuni supermercati che mirano all'eliminazione del packaging superfluo. Sono tutte tendenze certamente positive anche se non ancora sufficienti per cambiare le cose. Il mercato libero e i regolamenti comunitari impediscono di intervenire a livello di legislazione per limitare il trasporto di alimenti.

Allora deve essere il consumatore ad optare per il biologico locale evitando prodotti non di stagione e non locali (almeno quelli non indispensabili). Dall'altra parte i produttori devono rimuovere dal biologico quella patina "elitaria" che non corrisponde a verità e riducendo di conseguenza i prezzi dei prodotti. D'altra parte chissà quanti prodotto sono bio senza che noi lo si sappia. Il bio non è chic, è normale e vicino a te. Questo il migliore slogan una prossima campagna pubblicitaria.


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