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TERAPIE NATURALI 4
da "Enciclopedia olistica"
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Lo sviluppo dell’omeopatia. ricerca scientifica e qualità di Franco Lenna, Presidente LIMO (Lega Italiana per la Medicina Omeopatica Olistica)
Il grosso interesse suscitato dall'Omeopatia negli ultimi anni in Italia e in Europa si fonda sul fatto che tale metodica terapeutica viene accettata sempre più favorevolmente da quegli organi ed istituti ufficiali che nel passato l'avevano osteggiata in tutti i modi.
E’ bene premettere che le accuse e le critiche del passato mosse all'Omeopatia da parte di tali enti, non erano del tutto infondate, soprattutto perché, relegata in un ghetto senza alcun controllo, aveva permesso il prosperare di medici che tendevano a farne una terapia miracolistica, rifiutando a priori qualsiasi contatto con la medicina ufficiale e qualsiasi tentativo serio di ricerca, per dimostrare e cercare di capire su quali presupposti si basavano i risultati terapeutici ottenuti. Inoltre la mancanza di legislazione nel settore permetteva la fabbricazione al di fuori di qualsiasi controllo. Così, sfruttando il nome "Omeopatia", sono stati commercializzati prodotti che nulla hanno a che vedere con tale terapia, ridicolizzando l'Omeopatia stessa.
Partendo da queste basi non esaltanti e consci che lo sviluppo dell'Omeopatia deve fondarsi su basi serie, i Laboratori Dolisos da sempre hanno puntato, tenuto conto dei mezzi disponibili, sullo sviluppo della ricerca scientifica e sul miglioramento delle qualità del medicamento Omeopatico, operando per attuare, nella fabbricazione, le norme di buona fabbricazione identiche a quelle in uso presso l'industria farmaceutica tradizionale. Poiché il farmacista, in quanto operatore del medicamento deve essere informato su tali aspetti che costituiscono valide argomentazioni di risposta ai colleghi scettici, sono ben lieto di poter esporre sommariamente i risultati delle ricerche più recenti in Omeopatia, ricordando che sono disponibili per gli interessati estratti dei lavori citati, presso il Centro di Documentazione Omeopatica Dolisos.
Ricerca sull'attività farmacologica di piccole dosi di interferon e di ormoni timici
Nell'anno 1985 sulla rivista Immunology Today (volume VI, n. 8, agosto 85, pagina 234) è stato pubblicato un articolo dal titolo: "Attività e cronofarmacologia" di dosi infinitamente piccole di immunomodulatori, autori: Bastide - Doucet Jaboeuf - Daurat.
Tutti noi sappiamo l'importanza che gli immunomodulatori rivestono nel regolare il corretto svolgimento dei fenomeni immunitari. Partendo da una ipotesi formulata da Bocci, secondo la quale l'introduzione di induttori esogeni ed endogeni, provoca uno stimolo fisiologico a livello del tessuto linfoide, è stato effettuato un lavoro di ricerca per dimostrare l'effetto di dosi estremamente piccole di interferon e di ormoni timici, sulla risposta immunitaria umorale e cellulare. I risultati di questa ricerca, hanno portato alla conclusione che, anche dosi estremamente basse come 10 U.I. o 10 pg. (9CH) di mediatori naturali quali l'interferon o gli ormoni timici, possiedono azione farmacologica e che tali dosi non perturbano, anzi amplificano le risposte immunitarie, tanto umorali che cellulari.
Ricerca sull'attività di Streptococcinum 30CH nella riduzione del Tas
Ogni medico ben conosce la difficoltà di trattamento della profilassi reumatica nei casi in cui i pazienti, dopo anni di penicillina ritardo ogni tre settimane, continuano ad avere, magari dopo un iniziale miglioramento, un persistere degli indici dei test infiammatori quali la VES elevata, la mucoproteica, la proteina C reattiva e la TAS (titolo antistreptolisinico).
La TAS in particolare può andare incontro a drastici rialzi. Conoscendo la rinomata (ma sperimentalmente non provata) efficacia dello streptococcinum 30 CH, sono stati selezionati due gruppi di 38 studenti, residenti in due comuni limitrofi di Milano, che presentavano un analogo insuccesso della terapia antibiotica tradizionale. Questi studenti, suddivisi i due gruppi randomizzati con eguale ripartizione di maschi e femmine, furono sottoposti a sperimentazione in doppio cieco di 1 dose alla settimana per 5 mesi di streptococcinum 30 CH contro placebo. Le analisi complete del sangue vennero prese prima, a metà e alla fine del trattamento. La differenza fra valori iniziali e finali dei due gruppi, verificata statisticamente con il test CHI QUADRO, mostra una significativa efficacia del prodotto omeopatico rispetto al placebo, pari al 72%.
Dei 18 soggetti trattati omeopaticamente, 13 casi si sono normalizzati e 4 sono migliorati, mentre si è avuto 1 solo miglioramento nel gruppo trattato con placebo.
Ricerca su Pollantinum 30 CH (polline)
Nell'anno 1986, sulla rivista The Lancet, 18, gli autori Reilly - Me Sharry - Taylor - Aitchinson hanno preso in considerazione un aspetto molto dibattuto in Omeopatia e cioè quello dell'effetto placebo.
Non essendo ancora del tutto chiari i meccanismi d'azione dei farmaci omeopatici, molti tendono ad attribuire al rimedio omeopatico un effetto placebo. Il fine che questo lavoro di ricerca si è proposto, consiste proprio nel dimostrare la diversità degli effetti farmacologici tra placebo ed rimedio omeopatico. Il modello prescelto per tale studio paragona infatti gli effetti di una preparazione omeopatica, costituita da una miscela di pollini, aslla 30 CH, con un placebo, in 144 pazienti affetti da febbre da fieno. I risultati hanno dimostrato che i pazienti trattati omeopaticamente, dopo una prima fase di aggravamento, presentavano una netta regressione dei sintomi presi in considerazione, rispetto ai pazienti trattati con il placebo. Non emerge quindi nessuna evidenza a sostegno dell'idea che l'azione placebo possa pienamente spiegare i risultati clinici dei rimedi omeopatici.
Ricerca DOLISOS su Arnica 5 CH
Ricordiamo infine il lavoro presentato recentemente al Congresso Mondiale di Omeopatia svoltosi a Washington (Aprile 1987, su Arnica 5 CH, condotto presso l'Università degli Studi di Catania, autori Verroux - Ricciotti - Musso - Amodeo - Missiato - Mirabella – P.F. Verroux. Titolo: l'Arnica nella prevenzione della patologia venosa nelle perfusioni a lungo termine. Studio clinico.
E’ stato eseguito uno studio clinico su Arnica 5 CH, per conto dei Laboratori Dolisos, al fine di verificare se essa sia in grado di esercitare azione favorevole sulla prevenzione degli ematomi, sulle lesioni cutanee, attenuare i dolori locali, migliorare l'accessibilità delle vene e, se il suo utilizzo per un tempo superiore agli standard medi, determini effetti collaterali. Il metodo scelto per lo studio è quello del doppio cieco con Arnica contro placebo. Dalla valutazione globale dei protocolli clinici e strumentali si può concludere che Arnica 5 CH in granuli esercita effettivamente un’efficace azione protettiva sulle vene in quei pazienti che devono essere sottoposti a nutrizione artificiale, infusione protratta e chemioterapia. Infatti Arnica consente sia un maggior periodo globale di trattamento, sia un più prolungato uso della stessa vena senza che compaiano segni locali (dolore, iperemia, edema) di particolare significatività. Possiamo concludere che questo studio particolarmente degno di nota ci consente di esprimere, finalmente su basi scientifiche e non solo per semplice constatazione empirica, che i risultati ottenuti potrebbero essere la chiave di volta per spiegare i meccanismi con cui Arnica esplica il suo effetto protettivo sulle vene.
In conclusione, possiamo affermare che, grazie a queste ricerche condotte principalmente per conto dei Laboratori Dolisos e ai risultati conseguiti, l'Omeopatia ha assunto una nuova immagine più moderna, accettata come materia da studiare meglio in qualsiasi ambito scientifico; consci inoltre di essere stati i primi ad aver aperto la strada per la ricerca e la regolamentazione della fabbricazione continueremo a svolgere, per farmacisti e medici, adeguate azioni di informazione per colmare la carenza di conoscenze in questa terapia in così rapido sviluppo.
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AROMATERAPIA
I FIORI DI BACH
I Rimedi foreali di Bach - I fiori della mente nella pratica clinica. Di Maria Antonietta Bàlzola
Lavoro da molti anni in psichiatria e, come tanti miei colleghi, ho vissuto con disagio e insofferenza le contraddizioni di questa branca della medicina, tanto affascinante e ricca di sollecitazioni quanto foriera di confusioni e manipolazioni. L'utilizzo dei farmaci e, fino a poco tempo fa, della stituzionalizzazione in manicomio sono sempre stati un modo per controllare il disagio sociale e spirituale della popolazione; ora il gioco si fa più sottile rendendo la sofferenza inquadrabile in precise patologie psichiatriche la cui cura verterebbe al ripristino della felicità e della gioia di vivere: per tutti vale l'esempio della "pillola della felicità". Non ci si appella più alla devianza e al pericolo per sé e per gli altri ma al desiderio di benessere della gente, al suo bisogno di stare bene subito, senza troppe domande sul perché del proprio malessere. In questo modo viene totalmente oscurata la coscienza e la possibilità di ciascuno di trasformare profondamente la propria vita. La sensazione di controllare invece che curare la mente e l'anima delle persone mette sempre più in difficoltà gli psichiatri ed io stessa, anni fa, mi risolsi per cercare nuove vie di cura e di approccio al disagio psichico.
I Rimedi di Bach, come spiego diffusamente nel libro che ha pubblicato Bollati Boringhieri nel 1997 col titolo "I fiori della mente. I Rimedi di Bach nella pratica clinica", mi hanno dato una prima risposta e da vari anni mi aiutano a curare me stessa e i miei pazienti in un modo che stimola la coscienza verso la crescita e la consapevolezza. Qui riporto alcuni stralci tratti dal libro che ha soprattutto un indirizzo clinico e teoretico; in esso vengono diffusamente discussi i limiti così come le funzioni e le potenzialità di questo strumento, sicuramente nuovo per la psichiatria, e attraverso la mia esperienza personale e clinica si prendono in esame varie tematiche come il cambiamento, le paure, unione e
separazione ecc.. Ho scelto il terzo capitolo del libro, in quanto sviluppa i concetti fondanti di questa pratica, mettendo in discussione il punto di vista della medicina ufficiale e aprendo nuove prospettive dialettiche con essa. Inoltre, riporto un semplice glossario sui fiori ma naturalmente lo studio
dei Rimedi comporta un approfondimento che non può trovare spazio in questa sede.
Il libro comprende una presentazione del Prof. U. Solimene del Centro di Ricerche in Bioclimatologia medica, Biotecnologie, Medicine naturali, Univ. di Milano; una prefazione del Prof. C. Ravasini, Istituto di Psicologia clinica, Facoltà di Medicina e chirurgia, Univ. di Milano; e una postfazione del Prof. E. Del Giudice, Istituto di Fisica Nucleare, Milano.
Un nuovo punto di vista
Il modo di pensare del medico che utilizza i Rimedi di Bach é molto diverso da quello del medico o psichiatra che non li conosce e che quasi sicuramente guarda con diffidenza e superiorità questi strumenti non convenzionali partendo dal presupposto, più che fondato, che non se ne conosce il meccanismo d'azione. In realtà spesso non ci si ferma a constatare che l'aspirina funzionava egregiamente già prima che se ne conoscessero i meccanismi d'azione e che la stessa cosa é successa con la Cloropromazina, antesignana degli psicofarmaci, e molti altri farmaci. Funzionavano e basta.
Da sempre la medicina é stata una scienza empirica che si é avvalsa anche della sperimentazione ma non sempre da questa ha ricavato le sue più importanti scoperte._Nell'ultimo secolo brillanti conquiste biologiche e mediche ci hanno fatto sicuramente avanzare sulla via dello sviluppo di nuove terapie efficaci, ma ci hanno fatto anche dimenticare una delle regole fondamentali della medicina: primum non nocere.
Questo concetto, abbreviato da un ridondante detto latino dei tempi della laurea, racchiude molti aspetti su cui mi vorrei soffermare. Conosciamo gli effetti collaterali dei farmaci che i libri ci hanno ampiamente illustrato e gli informatori farmaceutici si sforzano di farci dimenticare, parlandone come di un male secondario e comunque inevitabile; la pagina degli effetti indesiderati viene girata sempre molto velocemente, se non serve a dimostrare che quel farmaco é sicuramente "meno tossico di quell'altro". Impariamo così a convivere con questi mali inevitabili che preferiamo non nominare troppo, perché in fondo al cuore pensiamo che, se i farmaci venissero banditi, noi non sapremmo più come curare, ci sentiremmo nudi ed inermi.
Ma gli effetti collaterali sono sempre lì a ricordarci il paradosso in cui siamo caduti,anche se é vero che a volte il paradosso é l'unica nostra possibilità di allungare la vita di una persona.
Il problema nasce dalla incapacità di vedere che quella non é "la soluzione", come vorrebbero farci credere il nostro orgoglio o l'industria farmaceutica, bensì una soluzione molto parziale in quanto corrisponde allo... scopare una stanza e portare la spazzatura nell'altra: per risanare un organo ne danneggiamo un altro. Sento già le voci dei colleghi che dicono di non esagerare, che non é proprio così, che non muore nessuno, che i benefici sono statisticamente molto più rilevanti.
Ma non é questo il punto. Di fatto arrechiamo un danno, molto spesso non strettamente necessario, perché il farmaco non é sempre la nostra unica possibilità. Anche senza considerare i Rimedi di Bach o altri interventi non invasivi, molte volte é sufficiente parlare più a lungo con il paziente per capire da dove deriva la sua insonnia o la gastrite e scoprire che la nostra parola e qualche semplice norma igienica possono risolvere il caso. Tutti lo sappiamo, ma la scappatoia del farmaco che ci fa delegare la responsabilità della relazione e la fatica di cercare un'alternativa é molto forte, soprattutto quando ci si sente assillati dall'ambulatorio affollato.
Col farmaco inoltre ci proteggiamo legalmente perché possiamo dire di aver fatto "tutto il possibile", cioé quello che ci si aspetta che faccia un bravo dottore. Non importa se non abbiamo ascoltato il paziente, non abbiamo compreso il suo reale disagio e la sua vera domanda. Abbiamo agito così come ci veniva richiesto. Ma é proprio questo che ci sentiamo di fare ed é sempre giusto fare? Primum non nocere
Molti dicono:"se un farmaco non ha effetti collaterali, non é un farmaco". Questo concetto, palesato come assioma- vale a dire un principio generale che non necessita di dimostrazione- contiene una verità archetipica importante di cui é bene essere consapevoli ma anche una pseudo-verità tanto velleitaria quanto dannosa. Il significato archetipico implicito é quello che mette in luce, nel potere del medico, sia l'aspetto positivo, di guarigione, sia quello negativo, di distruzione e morte. Riflettere su questa tematica ci può permettere di valutare con attenzione le nostre pulsioni distruttive anche quando pensiamo di fare il meglio per il nostro paziente.
La pseudo-verità, invece, ci induce a credere che nulla di buono può essere fatto se non facciamo anche il male allo stesso tempo e, in questo modo, possiamo perdonarci qualsiasi guerra contro l'organismo vivente "per farlo vivere ad ogni costo". Poco importa se lo danneggiamo nelle fondamenta o se riduciamo la sua qualità di vita. Abbiamo ingaggiato una battaglia contro la malattia ed i suoi sintomi e qualunque mezzo é giustificato.
Totalmente diverso il punto di vista del Dr. Bach che vede la malattia come "il risultato di un pensiero sbagliato e di un'azione sbagliata, (che) scompare quando l'azione ed il pensiero sono in ordine. (...) Qui giungiamo alla comprensione che noi non combattiamo la malattia con la malattia;(...) né tentiamo più di scacciare le malattie con quelle stesse sostanze che le possono causare; (..) E la farmacopea del prossimo futuro dovrebbe includere solo quei rimedi che hanno il potere di realizzare il bene eliminando tutti quelli la cui sola qualità é di resistere al male."
Da questa visione dell'uomo e della malattia, Bach deriva l'idea che la cura deve tendere a risolvere il conflitto esistente tra anima e coscienza. Compito del medico sarà quello di aiutare il paziente a individuare tale conflitto, partendo dal modo stesso in cui esso si manifesta nella vita quotidiana: con rabbia, timidezza, insicurezza? quale emozione o atteggiamento della persona può indicare la disarmonia presente? di conseguenza, qual é la qualità positiva da ritrovare e stimolare? " L'azione di questi rimedi é di risvegliare le nostre vibrazioni e di aprire i nostri canali per ricevere il nostro Sé spirituale, per pervadere la nostra natura con la particolare virtù di cui abbiamo bisogno, e di purgarci dal difetto che causa il male." (idem, pg.26) In questo senso l'ottica bachiana si differenzia anche dall'omeopatia in quanto allarga il concetto del "simile curante il simile" alla malattia stessa che, mettendoci in scacco, ci obbliga ad affrontare i conflitti che sono alla sua origine. Bach, pur essendo stato egli stesso un famoso e qualificato omeopata, si mise in posizione critica anche nei confronti di questa branca della medicina, ritenendo contraddittorio il voler curare con sostanze tossiche, seppur in quantità infinitesimali. "Il simile può combattere il simile, il simile può respingere il simile, ma nel senso della vera guarigione il simile non può curare il simile." (idem; pg. 19)
In questa visione della malattia, i termini di salute e terapia acquistano un altro significato e così anche il processo di guarigione. primum non nocere Viene allora da chiederci se il fatto stesso di dare un farmaco solo per mettere a tacere dei sintomi più che per debellare la malattia nella sua complessità non produca di per sé un danno. Il paziente, nell'approccio tradizionale, si può facilmente sentire non ascoltato, o non compreso, nelle sue motivazioni più profonde e resta con la vaga sensazione che "se neanche il medico ci capisce qualcosa, certo non posso capire io; in fondo non si può fare nulla per cambiare". Questa mancata riflessione sul perché della sofferenza non é priva di conseguenze, in quanto aumenta il senso di ineluttabilità e incomprensibilità della malattia, con la vana speranza di avere comunque una risposta nel farmaco,lasciando il paziente da solo, in una lotta spesso impari.
Quale era il significato dei suoi disturbi? Se servivano per veicolare un messaggio e questo non ha trovato ascolto, in quale altro modo nefasto si ripresenterà per farsi ascoltare? "Addirittura, in molti casi, una guarigione apparente é dannosa, poiché nasconde al malato la vera causa dei suoi problemi. Nella gioia per la salute ritrovata, agendo inosservato,il male può rafforzare il suo potere."
Anche Gadamer ci fa riflettere su questo tema cruciale, riferndosi alle osservazioni di von Weizsacker: "La sua domanda era questa: che cosa si cela all'uomo, cosa viene nascosto, quando le sue condizioni fisiche scelgono la via della ribellione? Non abbiamo forse qualcosa da imparare quando ci ammaliamo, finché non ritorniamo in quello stato di salute che manifesta un benessere incomprensibile e inverosimile?" (...) Essa (la malattia) ci può insegnare lo stato di limitazione e di dolore. Imparare ad ammettere la malattia: forse questo é uno dei più grandi cambiamenti del nostro mondo civile, che pone nuovi compiti ed é stato provocato dai progressi della medicina. Deve pur significare qualcosa il fatto che il medico oggi sappia apparentemente far svanire per incanto così tante malattie, al punto che esse scompaiono con facilità senza aver insegnato nulla al paziente. Necessariamente vuol dire qualcosa anche la circostanza per cui oggi le malattie croniche rivestono sempre più un ruolo di primo piano nell'interesse medico, perché non si é in grado di eliminarle."
Viene spontaneo chiedersi se non é proprio la mancata comprensione del significato nascosto della malattia a creare nel tempo tante patologie croniche, ma questo é un argomento spinoso che lascio a voi. Altre volte invece é il paziente stesso che ci induce sottilmente a negare i reali problemi e a scappare per la scorciatoia offerta dal farmaco, e noi ci sentiamo usati come un distributore automatico. Fermiamoci a pensare: che cosa stiamo mettendo in atto? quale messaggio é presente nel comportamento del paziente che "esige" un farmaco o nel nostro che tende a soffocare i sintomi dando una prescrizione? Stiamo rispondendo a degli effettivi bisogni o solo alla tendenza generale di negare il dolore e la morte per poterci sentire, assieme al nostro paziente, vittoriosi e onnipotenti?
Questo é il dramma di fondo: non certo la morte ma la presunzione di poterla sconfiggere._La nostra scienza può tutto: anche allungare la vita a un moribondo, non importa a quale prezzo. Seguendo un tale mito, il medico é costretto in un'area di tecnologia sempre più specialistica che non corrisponde più alla necessità di una visione d'insieme della persona e della sua vita. L'oggettività tanto ricercata si perde così nella minuziosità dei particolari e delle classificazioni nosografiche.
La persona é sparita, quel che resta é un concetto di malattia astratta, anche se clinicamente accertata. primum non nocere
D'altronde poter domare la malattia dà un grande senso di potere, soprattutto se lo facciamo in modo un po' magico, prescrivendo un farmaco dall'alto della nostra conoscenza. Siamo noi che comprendiamo, il paziente ci può solo seguire passivamente. E' realistico pensare che il paziente non ha studiato medicina e non può certo avere le nostre conoscenze scientifiche. Ma é anche vero che se non lo aiutiamo a prendere coscienza - almeno nella misura in cui é disponibile a farlo - del significato dei suoi disturbi all'interno della sua vita, non solo non gli permettiamo di cogliere l'importanza delle cure ma gli togliamo anche la possibilità di modificare qualitativamente la propria esistenza, al fine di ridurre l'incidenza dei suoi disturbi e il rischio di recidive.
Di fatto gli togliamo potere: il potere sulla sua vita, il potere di autoguarirsi, il potere di comprendere. In questo modo, inconsapevolmente, lo danneggiamo. "Il paziente di domani deve comprendere che lui, e lui solo, può portare a se stesso sollievo dalla sofferenza, sebbene egli possa ricevere consiglio ed aiuto da un fratello più anziano che lo assisterà nel suo sforzo." ci fa notare Bach.
Questo significa ridare potere all'individuo, nelle scelte di vita e di morte, al limite anche accettando ciò che per noi medici é la cosa più dolorosa: che il paziente non voglia curarsi e guarire. Nella mia esperienza questo problema é spesso stata causa d'irritazione , amarezza e di una malcelata disapprovazione da parte mia. Negli anni, però, ho scoperto che era fondamentale rispettare anche le scelte più contrastanti con i miei desideri terapeutici per lasciare all'altro la libertà totale di scegliere che cosa veramente voleva fare della sua malattia.
In tal modo gli restituivo il suo potere e gli facilitavo il confronto con le proprie responsabilità. Al contrario, se restavo all'interno del conflitto, correvo il rischio di colludere con le tendenze autodistruttive del paziente, senza riuscire a renderle manifeste e consapevoli. Il dott. Bach diceva che ciascuno di noi ha la capacità di autocurarsi con i Rimedi, in un lavoro di ricerca e di consapevolezza. Dal suo punto di vista il medico é semplicemente un facilitatore del processo, non un dispensatore di verità assolute, perché la verità é individuale e presente in ciascuno di noi, quindi anche nel paziente.
Come abbiamo visto la malattia per Bach nasce dalla discrepanza esistente con il nostro Sé superiore: quando il nostro corpo-mente si riallinea con esso, la malattia non ha più ragione d'esistere. Se leggessimo questa idea dal punto di vista psicodinamico, potremmo dire che il conflitto tra conscio ed inconscio, se non trova soluzione, porta nel tempo alla manifestazione di sintomi e malattie. Quale psicanalista o psicosomatista metterebbe in dubbio questa ipotesi?
Il lavoro del medico, pertanto, non sarà più quello di eliminare o ridurre dei sintomi, ma aiutare la persona a coglierne il senso, il messaggio implicito e a trovare nuove soluzioni possibili al problema.
Porto un esempio per essere più chiara. Alcuni giorni fa é venuta in ambulatorio, per una prima visita, una signora di mezza età, accompagnata dal figlio. Aveva un'aria dimessa, il suo viso era segnato dai solchi dell'amarezza e della disperazione. Il figlio appariva molto forte, sano e affettuoso. Mi raccontarono una triste storia familiare che da due anni metteva a dura prova la signora che si era sempre appoggiata al marito, personalità forte e autoritaria ma che per alcuni errori commessi aveva perso la sicurezza economica e con essa anche la fiducia della moglie e dei figli. Correvano seri rischi finanziari e la signora diceva che non si fidava più di nessuno e aveva paura di tutto; i suoi pensieri ripetitivi sulla sua situazione la assillavano giorno e notte, procurandole insonnia e cefalea. Molto scarsi i risultati ottenuti con un antidepressivo triciclico, assunto per un tempo sufficiente e a dosaggi adeguati. Dormiva poche ore per notte, risvegliandosi alle due del mattino con una forte cefalea e la sensazione di non aver smesso di pensare. Non mi nascondeva idee suicidarie che criticava e cercava di allontanare. Emergeva anche chiaramente che era molto arrabbiata col marito ma, per il tipo di atteggiamento remissivo che aveva sempre avuto, sfogava la rabbia su se stessa, perdendo i capelli e cadendo in depressione con idee autolesive.
Era una donna intelligente e sensibile e colse subito il significato simbolico del suo malessere, mentre da parte mia restavo soprattutto in ascolto per aiutarla a esprimere tutte le emozioni che serbava così gelosamente e trovarne poi insieme le connessioni. Concordammo sul fatto che, in quel momento, i sentimenti più disturbanti erano la paura e il pensiero circolare in una situazione generale di grande allarme; per questo scelsi di darle Rescue, Mimulus e White Chestnut (4 gtt.X 6); le lasciai per poco tempo l'antidepressivo per cautela, ma in cuor mio sapevo che i Rimedi l'avrebbero aiutata ad approfondire la sua presa di coscienza. Solo dopo avrei potuto curare altri aspetti di personalità più profondi, per esempio con Centaury.
Se avessi usato il punto di vista psichiatrico, probabilmente mi sarei limitata a notare la condizione stressante in cui la signora versava e avrei cercato l'alleanza del figlio per un sostegno più ravvicinato; avrei forse aumentato il triciclico e l'avrei salutata con una certa apprensione. Dal punto di vista psicodinamico, invece, mi sarei facilmente sentita oppressa dall'abbondanza di materiale simbolico, difficilmente fruibile da una persona di mezza età, senza una psicanalisi alle spalle. In realtà, spesso i nostri utenti hanno capacità di introspezione molto sviluppate e, se li stiamo ad ascoltare, anche loro imparano subito a prestare ascolto ai significati più profondi. Nella mia modesta esperienza di psichiatra di base,ho visto che questo può succedere anche in una sola seduta e con le persone più semplici.
La differenza sostanziale con la visione psichiatrica classica consiste nel guardare tutto l'insieme della vita della persona che abbiamo di fronte, senza limitarsi alla classificazione diagnostica; in questo caso, per esempio, aveva un'importanza secondaria la depressione reattiva, anche se di una certa gravità, se non la si poneva nella prospettiva d'insieme delle caratteristiche personologiche e delle modalità relazionali della paziente, che indicavano le possibili linee evolutive che la signora doveva seguire per potersi realizzare e mettere in sintonia col proprio Sé. A cosa sarebbe servita l'eliminazione della depressione se non se ne coglieva il senso? Dove sarebbe andata tutta quella rabbia inespressa? Cosa sarebbe successo se la signora non si fosse resa conto che doveva uscire dal rapporto di sudditanza e dipendenza dal marito, pena la malattia e la depressione? Aiutando la paziente a riconoscere tutti questi messaggi, le si dà il potere di autocurarsi e intravvedere nuove prospettive che la distolgono dai desideri suicidari molto più di qualsiasi rassicurazione. Ribadisco, però, che la scelta di fondo di affrontare la vita e i cambiamenti necessari sono solo suoi; i Rimedi le saranno di aiuto se lei glielo permetterà. So di creare scompiglio tra i colleghi con questa asserzione, ma quanti di noi hanno visto pazienti inguaribili superare ogni più ottimistica prognosi con la loro volontà di vivere e altri pazienti che si arrendono invece a malattie guaribilissime ma su cui i nostri interventi terapeutici diventano impotenti?
Quello che conta in questo sistema di cura é chiedersi sempre:
- qual é il conflitto intrapsichico e spirituale che sta dietro al disagio?
- qual é il messaggio che si deve cogliere da questa malattia?
- qual é la carenza della personalità che ha procurato lo squilibrio?
Qual'é la qualità positiva che può rimpiazzare tale carenza?
Se mi posso permettere di rispondere al posto della paziente di cui parlavo prima potrei dire che il protrarsi di una condizione di dipendenza e sudditanza dal marito ostacolava la sua crescita psicologica e spirituale e che il conflitto nato dalle contingenze recenti la portavano a prenderne coscienza e a cercare nuovi atteggiamenti, più adulti e responsabili. Se non riusciva a trovare un'alternativa rischiava di cronicizzarsi nello stato depressivo o di portare a termine i suoi scopi suicidari. Altra possibilità era quella di vedere risolti i sintomi depressivi grazie ai farmaci, ma rivedere spuntare la rabbia e il vissuto di sconfitta, a distanza di tempo, sotto forma di gravi malattie somatiche. Quanto spesso nell'anamnesi di pazienti tumorali si trovano lutti non elaborati, sentimenti di perdita, sconfitta o rabbia mai riconosciuti ? D'altronde secondo Bach il conflitto e gli aspetti di squilibrio emozionale sono solo la punta dell'iceberg, diciamo pure la fenomenologia di un processo più sottile e spirituale, il travaglio della nostra Anima che cerca di realizzarsi nella vita quotidiana. Anche Thomas Moore, allievo di J. Hillman, ci fa confrontare con l'enigma della malattia attraverso la sua lettura archetipica che non disdegna il punto di vista dell'Anima: "Quel che conta non é tanto capire le cause della malattia e poi risolvere il problema, ma avvicinarsi alla malattia tanto da ripristinare la particolare connessione spirituale con la vita che la malattia addita. Abbiamo bisogno di sentire i denti del dio affondare dentro la malattia per poter venir curati dal morbo stesso. Non siamo noi a curare le malattie, sono loro che curano noi, e non in senso metaforico, ripristinando la nostra partecipazione alla vita spirituale. "Per chi di noi ha una formazione psicodinamica c'é il rischio di vedere tutti i più nascosti conflitti inconsci e desiderare di curarli subito con i Rimedi. Può sembrare una posizione ingenua, ma vi assicuro che la tentazione é grande almeno quanto quella di lenire tutti i sintomi con gli psicofarmaci, soprattutto dopo aver ottenuto qualche successo clinico.
Bisogna in realtà tener sempre presente che si possono curare solo gli aspetti di personalità emergenti ed evidenti in quel momento, anche perché i sottostanti reali conflitti o problemi possono essere totalmente diversi da quelli che noi pensiamo. In ogni caso, non é ancora il momento per affrontarli. Lo psicanalista direbbe che anche una giusta interpretazione data in modo intempestivo cade nel nulla o arreca danno. Questo punto di vista ha anche a che fare con la capacità di stare nel presente, con ciò che realmente abbiamo di fronte, cogliendo poi nel tempo l'evoluzione della persona, man mano che si sciolgono le difese e le caratteristiche più esterne. Tutto ciò permette di non incasellare "una volta per tutte" il paziente in una classificazione diagnostica, bensì di seguirne il continuo divenire.
Avete mai provato a fotografare un ruscello? E non vi siete mai chiesti se aveva senso? il fluire dell'acqua che tocca quella roccia poi l'altra, poi il muschio, poi il fiore e il raggio di sole...quel fluire é il vero ruscello, non l'immagine fissata nel fotogramma._La diagnosi, nella sua rigidità temporale, é come la foto di un ruscello ma noi, col passare del tempo, ci dimentichiamo che era solo una fotografia.
Ormai si conosce bene l'effetto negativo del labelling, dell'etichettatura, nella pratica clinica, soprattutto nelle patologie croniche che tendono ad autoperpetuarsi grazie anche a un meccanismo di identificazione con l'etichetta diagnostica, da parte del paziente e della sua famiglia. Il sistema di pensiero e classificazione di Bach ha quindi il vantaggio di stimolarci di continuo a vedere la persona nel suo divenire, nel suo 'essere nel tempo'.
Un altro elemento importante consiste nel fatto che l'attenzione del curante non viene puntata esclusivamente sugli aspetti negativi della personalità, ma anche sui corrispettivi aspetti positivi, come elementi imprescindibili della medesima caratteristica. Così la paura sarà l'altra faccia del coraggio, l'insicurezza della forza d'animo e via dicendo.
Questo significa che si vedono non solo i limiti di una persona ma anche le sue potenzialità, le parti sane, luminose e creative. Si é già visto, peraltro, anche in ambito psichiatrico, quanto sia importante lavorare sulla parte sana del paziente, più che sulla malattia. primum non nocere
Ciò che più lascia perplessi nel pensiero di Bach é il suo continuo ricorrere a concetti quali Io superiore, Sé, Anima. Il medico organicista, di antica e viscerale costituzione cartesiana, sobbalza sulla sedia a sentire questi termini o lascia distrattamente cadere il libro tra le riviste femminili o i Corrieri Medici mai letti... La dimensione spirituale nella nostra civiltà é confinata in una nebulosa soggettiva che non ha quasi nulla a che fare con l'esperienza fisica e quindi neanche con la scienza. Duramente si é lavorato a partire dal diciannovesimo secolo per recuperare la semplice correlazione, seppur evidente nell'esperienza quotidiana, tra mente e corpo. Solo da vent'anni la fisica moderna ha cominciato a mettere in evidenza possibili e affascinanti correlazioni fra campi del pensiero da molto tempo ritenuti separati e inconciliabili: aspetti della materia e dello spirito.
Ritengo che proprio la scissione operata nel passato tra questi due aspetti - da Cartesio in poi - abbia fatto sì che la scienza medica rimuovesse lo spirito, delegandolo agli operatori del culto, e limitando sempre più il proprio operato alla "pura materia". (....) Fritjof Capra nel suo libro "Il tao della fisica" descrive nel dettaglio il nuovo punto di vista della fisica moderna e mette in risalto quanto esso richiami da vicino la concezione mistica di quasi tutte le religioni orientali:
"essa (la fisica moderna) é giunta a vedere l'universo come una inestricabile rete di relazioni fisiche e mentali le cui parti sono definite soltanto dalle relazioni con il tutto. Per riassumere la concezione del mondo che emerge dalla fisica atomica, appaiono perfettamente appropriate le parole di un buddhista tantrico, il Lama Anagarika Govinda:
'Il buddhista non crede in un mondo esterno indipendente o che esiste separatamente, tra le cui forze dinamiche egli può inserirsi. Il mondo esterno e il suo mondo interiore sono per lui due facce di uno stesso tessuto in cui i fili di tutte le forze, di tutti gli avvenimenti, di tutte le forme di coscienza e dei loro oggetti sono intrecciati in una inestricabile rete di relazioni infinite e reciprocamente condizionate' "
Così la separazione tra sistemi diversi sarebbe solo apparente e non reale e sostanziale.
Il livello energetico-spirituale può essere visto allora come un modo per superare la dicotomia mente-corpo, che altrimenti non sarà mai affrontata alla radice.
Il saper cogliere gli aspetti spirituali in una malattia e nella vita di una persona allarga il campo, spesso apre nuove potenzialità di crescita e determina domande che sollecitano la nascita di nuovi punti di vista. Se non prendiamo in considerazione questa "altra" dimensione, limitiamo la conoscenza al corporeo o allo psichico, impedendo al paziente e a noi stessi di osservare, almeno per un attimo, i problemi dall'alto della montagna invece che dal fondo valle.
Qualcosa si sa dei correlati psico-fisici dell'esperienza mistica ( ) , ma ben poco si é ricercato nella dimensione spirituale delle patologie psichiche e somatiche. Forse non é utile ricercare questa correlazione in ambito clinico in modo sistematico, ma il non prenderla in considerazione, solo perché si scosta dalle linee guida del nostro pensiero, mi sembra tanto pericoloso quanto il non vedere la relazione mente-corpo. Cominciare a usare i Rimedi di Bach per un medico tradizionale é non poco imbarazzante, un mondo di domande si affacciano alla sua mente: ma cosa sto facendo? serviranno a qualcosa? sono solo dei placebo? e se sì, perché non usarli lo stesso? Inoltre, appena ci si appresta a scegliere un rimedio si vede subito che le nostre normali categorie diagnostiche vengono totalmente ribaltate; poco dopo ci si consola dicendo che in fondo la griglia di lettura é molto simile a una griglia di derivazione psicologica o addirittura psicodinamica, ma anche così dicendo si scopre subito dopo che la somiglianza é solo relativa. Qui, la logica da seguire, per restare coerenti con lo schema di riferimento, é totalmente diversa._Finché non ci si arrende a lasciare andare i vecchi schemi di pensiero, non si riesce a usare i Rimedi con dovizia e profitto. Questo non perché gli altri sistemi di riferimento siano errati, ma perché ogni sistema di cura ha una sua intrinseca coerenza che va rispettata, pena l'invalidazione di tutto il sistema.
I vari strumenti terapeutici, con la loro organizzazione interna, vanno integrati, ma non arbitrariamente sovrapposti fra loro. Ragion per cui, posso scegliere di usare uno psicofarmaco utilizzando i parametri nosografici e farmacologici e, per lo stesso paziente, utilizzare anche un approccio psicologico con cui eventualmente interpretare l'uso stesso del farmaco; ma le due modalità terapeutiche restano epistemologicamente distinte.
Allo stesso modo, dovremo muoverci all'interno del sistema di Bach, usando i suoi criteri diagnostici e metodologici e non altri. Sappiamo ormai, dai precedenti capitoli, che l'attenzione deve essere portata non sui sintomi o sulle categorie diagnostiche bensì sulla struttura di personalità soggiacente.
Non é la malattia in sé da curare quanto la dissintonia che si é venuta a creare fra l'io e il Sé che, per Bach, si manifesta coi disagi psichici e gli schemi disfunzionali della personalità. Se il paziente é depresso, posso dargli un antidepressivo, oppure cercare di capire e sciogliere il problema psicologico che ne é alla base, oppure, ancora, evidenziare le sue modalità relazionali disfunzionali che gli rendono così penoso il vivere.
Facciamo un esempio di fantasia: Il signor. T.Y. soffre di gastralgia, é sempre teso come "una corda", di fretta, ansioso. Non tollera la lentezza degli altri, in particolare della moglie e della figlia. Questi disagi si protraggono da tempo ed é caduto in depressione: si addormenta a fatica, tormentandosi nel letto col suo astio nei confronti della moglie che gli ricorda così da vicino sua madre, si sveglia prestissimo nella fretta di riprendere le sue attività. Mangia male e di corsa.
Potremmo dargli della Amitriptilina o della Sulpiride a bassi dosaggi, oppure tentare con un semplice ansiolitico. Inviatolo dallo psicologo, questi potrebbe riscontrare un conflitto edipico non risolto e consigliare una terapia analitica. Il medico floriterapeuta, dal canto suo, individuerà le modalità relazionali più evidenti al presente ed i relativi Rimedi: in questo caso, sceglierebbe probabilmente Impatiens e Holly, che, seppur scelti solo sulla base delle difficoltà espresse dal signor T.Y., andranno a lenire lo scollamento esistente a livello più profondo fra l'Io ed il Sé, secondo il pensiero di Bach.
Io non credo che esista un sistema terapeutico in assoluto migliore degli altri e ogni caso va visto nella sua specificità , tenendo anche conto della richiesta del paziente. Per esempio, se non ha nessuna intenzione di rivedere il conflitto profondo con la madre, sarà inutile proporre al paziente un approccio psicodinamico. Così, se vuole semplicemente eliminare i sintomi attuali e non é disponibile a modificare i propri atteggiamenti, sarà probabilmente meglio dargli uno psicofarmaco, spiegandogli che dal nostro punto di vista, in questo modo, stiamo solo mettendo a tacere dei problemi senza risolverli e che questi si ripresenteranno verosimilmente sotto altra forma.
Viceversa, se il signor T.Y. ci fa capire che sente, seppur in modo confuso, che ha delle contraddizioni e che vuole affrontarle, i Rimedi di Bach saranno l'intervento di scelta. Ho esemplificato con questo caso un processo di valutazione anche se sono consapevole che la realtà é spesso molto più complessa, sfumata e sfuggente; per cui a volte é più proponibile un approccio integrato che risponda ai vari livelli di aspettative: controllare il sintomo, comprendere e lenire il conflitto profondo, modificare le modalità relazionali presenti. (....) L'uomo quindi fa parte di un insieme più vasto a cui ci dobbiamo costantemente riportare per ritrovare 'il senso' della salute e della malattia in medicina.
"Platone discute della vera arte oratoria e la pone a confronto con la medicina. In entrambe é necessario comprendere la natura, nell'una la natura dell'anima, nell'altra quella del corpo, almeno se si intende agire non solo in base all'abitudine e all'esperienza, ma in virtù di un sapere autentico. Come bisogna conoscere quali medicine e quali alimenti vadano forniti al corpo, al fine di produrre salute e forza, così si deve anche sapere con quale discorso e corretto indirizzo di vita si debba alimentare l'anima, affinché raggiunga la persuasione e la virtù (areté). E qui (nel Fedro di Platone) Socrate chiede al suo giovane amico, entusiasta della retorica:" Ma credi che sia possibile conoscere la natura dell'anima in maniera degna di parlarne, se si prescinde dalla natura del tutto?"
Al che l'amico risponde:"Se Ippocrate fa testo- e lui é un Asclepiade- non si può neppure capire il corpo senza un simile procedimento."" Lo stesso Bach sottolineava l'importanza di cogliere la connessione di ogni cosa. Riteneva infatti che ogni essere facesse parte della totalità e una azione che danneggiasse una parte si ripercuotesse sul tutto. Portava l'esempio del sole coi suoi raggi come rappresentazione del creato: "Così, sebbene ogni raggio ci appaia distinto e separato dagli altri, é in realtà parte del grande Sole centrale. La separazione é impossibile poiché non appena un raggio si stacca dalla sua fonte di luce cessa di esistere. In questo modo possiamo comprendere l'impossibilità della separazione: ogni raggio possiede la propria individualità e tuttavia é parte della grande energia centrale creatrice. Quindi ogni azione contraria a noi stessi o agli altri si ripercuote sulla totalità poiché, causando una imperfezione in un elemento, questa si estende al tutto, che é come dire in positivo che ad ogni particella compete di raggiungere la perfezione finale." La connessione col tutto e quindi con l'altro ha molte implicazioni pratiche, anche psicologiche; mi pare interessante riportare a questo proposito un caso descritto dalla dott. Pastorino in occasione della sua relazione sui fiori di Bach al XII° Congresso Nazionale di Omotossicologia e Medicina Biologica (maggio '97): "Un bambino di circa sette anni é portato alla mia osservazione perché ha problemi di condotta a scuola. E' violento, picchia i compagni ed ha un comportamento aggressivo in genere. Gli indico i fiori per questi stati mentali: Holly, Vervain, Cherry Plum e Impatiens._Un mese dopo, il bambino torna con sua madre che mi dice che sta meglio ma continua ad essere aggressivo. Le domando allora chi é il violento in famiglia e lei rapidamente risponde: il padre. Ho consigliato a tutta la famiglia di prendere Holly compreso il bambino, oltre agli altri fiori che avevo già indicato. Dopo tre mesi la madre mi chiamò per dirmi: "la famiglia é cambiata totalmente, compreso il bambino".
Questo vuol dire che bisogna cercare di percepire il fiore presente nell'ambiente del soggetto. Uno psicoterapeuta di famiglia troverebbe molto naturale questa prospettiva. Dall'ottica di questa medicina energetica e della coscienza, io credo ci fosse una vibrazione o atmosfera Holly in quella famiglia che si esprimeva nella coscienza del padre e del bambino." Dal punto di vista sistemico, può sembrare un esempio abbastanza ovvio, ma se consideriamo la modalità d'uso dei Rimedi che qui viene descritta, rimaniamo colpiti dalle possibili implicazioni terapeutiche. Da notare inoltre che nessuno dei componenti familiari viene colpevolizzato, cosa non così infrequente tra i terapeuti familiari, ma semplicemente considerato come l'amplificatore di un'atmosfera ambientale, e come tale curato. Il vedere l'insieme invece che le singole parti o la somma delle parti, può aiutarci a superare gli angusti confini in cui lo stesso paziente, con le sue problematiche, si trova confinato. Ritornare al tutto, alla circolarità dell'essere e del divenire apre nuove vie di comprensione sia psicologica che spirituale.
"Ogni cosa fatta dalla Potenza del Mondo é a forma di cerchio. Il cielo é rotondo, e ho sentito dire che la terra é rotonda come una palla, e così tutte le stelle. Il vento, al massimo della sua forza, turbina in cerchio. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari poiché la loro religione é la stessa della nostra. Il sorge e tramonta in un cerchio. Lo stesso fa la luna, ed entrambi sono rotondi. Anche le stagioni formano un grande cerchio nel loro mutarsi, e sempre ritornano al punto di partenza. La vita dell'uomo é un cerchio da infanzia a infanzia, e così ogni cosa dove si muove la potenza."
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