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 Curare l'ipertensione senza farmaci
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Inserito il - 25/10/2011 : 10:45:04  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Curare l'ipertensione senza farmaci

Denervazione renale e terapia del baroriflesso:
risultati incoraggianti, ma sono ancora cure per pochi

MILANO - La pressione è alta, non scende in alcun modo. Anche se si è ligi alla terapia, i valori restano incollati dove sono. Succede a circa un iperteso su dieci e si chiama ipertensione resistente: le cure sono inefficaci, i rischi per cuore e vasi restano immutati ed elevati. Per questi pazienti potrebbero essere utili due tecniche non farmacologiche di cui si è parlato al recente congresso dell'European Society of Cardiology e poco tempo fa al congresso della Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa: la tecnica di attivazione del baroriflesso e la denervazione renale.

SENZA FARMACI – In entrambi i casi si tratta di interventi, più o meno invasivi, che mirano a riportare la pressione nella norma in chi non riesce a farlo coi farmaci. «Non sono pochi: se si calcola che in Italia ci sono circa 15 milioni di ipertesi, ecco che i pazienti con ipertensione resistente pur essendo appena il dieci per cento del totale ammontano a circa un milione e mezzo di persone – spiega Alberto Morganti, presidente SIIA –. Per ipertensione resistente si intende una pressione alta che non è secondaria ad altre patologie, come ipertiroidismo o irrigidimento delle arterie renali, e che non risponde a una terapia assunta regolarmente per settimane o mesi, che abbia incluso almeno tre farmaci fra cui un diuretico. Per questi pazienti si può pensare a un trattamento non farmacologico come la terapia di attivazione del baroriflesso o la denervazione renale, considerando però che entrambe sono cure arrivate da pochissimo in clinica, per cui la selezione dei pazienti deve essere svolta in modo rigoroso».

BARORIFLESSO – Nel caso della terapia di attivazione del baroriflesso si tratta di inserire a livello delle arterie carotidi, dove si trovano i “barocettori” o recettori per la pressione del sangue, un piccolo strumento (di fatto un elettrodo) che stimola questi recettori portandoli ad attivare la vasodilatazione periferica, che in ultima analisi riduce la pressione. «Lo svantaggio principale è che l'applicazione dello strumento è un vero intervento di chirurgia vascolare, da eseguire in anestesia generale – osserva Morganti –. Il vantaggio è che subito si può verificare se il trattamento funziona o meno: attivando o disattivando la stimolazione da parte dello strumento vediamo “in diretta” se c'è un effetto vasodilatatorio e un calo della pressione adeguato».

DENERVAZIONE – L'altra possibilità consiste nella denervazione renale, un trattamento mininvasivo delle fibre nervose del sistema simpatico che sono presenti attorno alle arterie renali: queste fibre nervose risultano infatti “ipereccitate” in caso di ipertensione. Durante l'intervento si raggiunge l'arteria con un catetere e si applica sulle fibre energia a radiofrequenza a bassa potenza: in questo modo le terminazioni nervose vengono “disattivate” senza danneggiare il vaso e si ottiene una riduzione della pressione. «La procedura non può essere eseguita in pazienti con alterazioni anatomiche delle arterie renali o con calcificazioni di questi vasi: in queste situazioni infatti l'efficacia dell'intervento potrebbe essere compromessa – spiega Morganti –. Il vantaggio rispetto alla terapia del baroriflesso è che in questo caso siamo di fronte a un intervento più “semplice” che si esegue come una semplice arteriografia renale, ha effetti collaterali minimi e può anche essere ripetuto, inoltre non implica l'impianto di alcun “corpo estraneo”; lo svantaggio è che non sappiamo subito quanto sia stata efficace l'ablazione delle fibre nervose, l'entità di riduzione della pressione la vediamo solo dopo e non durante l'intervento».

CAUTELA – Fatti salvi i pro e i contro di entrambe le tecniche, l'esperto sottolinea che «Tutti e due sono metodi arrivati in clinica da pochissimo, che si possono considerare poco più che sperimentali: i dati degli studi scientifici per il momento sono incoraggianti ma per la denervazione, ad esempio, abbiamo risultati soltanto fino a due anni dall'intervento e non sappiamo come procedono le cose in tempi più lunghi, mentre per la terapia del baroriflesso le esperienze sono se possibile ancor più sporadiche. In entrambi i casi i pazienti trattati sono poche centinaia, per cui è presto per estendere l'impiego delle due tecniche a casi che non siano ultra-selezionati». Proprio per capire meglio i risultati possibili con queste tecniche, nell'ambito dello studio internazionale Semplicity HTN2 che sta valutando gli effetti della denervazione renale è stato avviato un Registro (a livello italiano e internazionale) in cui confluiranno i dati di tutti i pazienti denervati: in questo modo sarà possibile definire protocolli e individuare meglio indicazioni e controindicazioni. «Dovremo anche impegnarci a capire bene come e perché queste tecniche funzionano: per ora abbiamo spiegazioni solo grossolane dell'effetto, prima di utilizzare ampiamente le procedure dovremo comprenderne appieno i meccanismi d'azione», conclude Morganti.

Elena Meli corriere.it

20 ottobre 2011 10:40
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