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UN DIVERSO GENERE DI NASCITA - parte 2
Buddhadasa Bhikkhu (1906 - 1993) http://www.suanmokkh.org/ (in inglese)
«Tutto ciò che si crea e si distrugge non è che il riflesso momentaneo dei fenomeni»
Conversazione tenuta a Phattalung (Thailandia) il 16 luglio 1969.
La presente traduzione italiana, a cura di Mauro Barinci, è stata condotta sulla traduzione inglese dell'originale intitolata Another kind of birth, e non recante indicazione dell'editore né della data di pubblicazione (rilevabile per altro dall'indicazione dello stampatore: 1969).
Roma, novembre 1994
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Un diverso genere di nascita
* La nascita è sofferenza perpetua. La vera felicità consiste nell'eliminare la falsa idea «io».
* I problemi dell'umanità si riducono al problema della sofferenza, sia quella inflitta da un altro oppure da se stessi.
* Linguaggio quotidiano/Linguaggio del Dhamma: nel linguaggio quotidiano il termine nascita denota semplicemente la nascita fisica, dal corpo di una madre; nel linguaggio del Dhamma nascita si riferisce a un evento mentale che trae origine dall'ignoranza, dalla brama e dall'attaccamento.
* Ogni volta che nasce l'idea errata «io», è nato l'«io»; suoi genitori sono l'ignoranza e la brama.
* Il genere di nascita che per noi costituisce un problema è la nascita mentale.
* Se non si afferra bene questo punto non si riuscirà mai a capire nulla dell'insegnamento del Buddha.
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Il «retto vivere»
I varî esseri illuminati che sono apparsi al mondo hanno scoperto che è possibile prolungare questi periodi di nibbana, e hanno insegnato la forma di pratica più diretta per ottenerlo: il Nobile Ottuplice Sentiero. E' una pratica intesa a prolungare i periodi di quiete, o nibbana, e a ridurre i periodi di sofferenza, o samsara, impedendo per quanto possibile la nascita dell'«io» e del «mio». E' tanto semplice quanto difficile a capirsi - come l'affermazione del Buddha: «Se i monaci praticheranno il retto vivere, il mondo non sarà privo di arhat (esseri illuminati)». (Sace me bhikkhu samma vihareyyum asuñño loko arahantehi assa). Lo si trova difficile da credere. Però, se lo si analizza, non si può fare a meno di crederci. Nella semplice affermazione: «Se i monaci praticheranno il retto vivere, il mondo non sarà privo di arhat», l'espressione «retto vivere» ha un significato importante e profondo. Retto vivere implica l'assenza dell'idea di «io», «mio». Noi viviamo alla giornata, ma non viviamo rettamente, e così nasce l'idea di «io» e «mio». Viene fuori ogni giorno, ripetutamente, così che il nibbana non ha possibilità di avere luogo, e non diventiamo arhat.
Retto vivere vuol dire vivere secondo il Nobile Ottuplice Sentiero: retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta consapevolezza, e retta concentrazione. Se abbiamo questi otto generi di perfezione, stiamo praticando il retto vivere. E se viviamo rettamente in questo senso, le impurità mentali non possono venire in essere, «io» e «mio» non possono nascere; vengono meno, come un animale che sia privato del cibo. Il retto vivere sottrae l'alimento all'«io» e al «mio», e un giorno infine si inaridiscono del tutto e scompaiono definitivamente, e questo si chiama raggiungere il Frutto del Sentiero, il nibbana totale.
L'importante è la continuità nella retta comprensione e nella retta azione, così che «io» e «mio» non possano sorgere, non vi sia nascita. Quando non c'è nascita di nessun genere, non c'è sofferenza di nessun genere, e quella è vera felicità, come ha detto il Buddha. Una volta che si sia esaminata la questione e si sia arrivati a rendersi conto che nascita è sempre sofferenza, senza eccezione, si fa accuratamente attenzione a evitare la nascita. E' facile capire che la nascita alla quale ci si riferisce è qualcosa di mentale, qualcosa della mente; è molto difficile però controllarla. In un giorno, anche in un'ora, di questo genere di nascita si può fare l'esperienza molte e molte volte.
State attenti a questo problema della nascita: è un problema che ci troviamo di fronte qui e ora. Se possiamo essere padroni di questo genere di nascita qui e ora, potremo esserlo anche della nascita che segue la morte fisica. Perciò non preoccupiamoci della nascita che viene dopo la morte fisica, preoccupiamoci piuttosto con serietà della nascita che viene prima della morte fisica, il genere di nascita che ha luogo quando siamo vivi, che si dà molte e molte volte ogni giorno; impariamo a controllarla, e il problema sarà eliminato. Se la nascita può essere eliminata adesso, in questa vita, questa sarà la fine definitiva della nascita.
Gli otto tipi di rinascita
Tutti ci preoccupiamo della banale questione della forma nella quale rinasceremo dopo la morte, ci chiediamo in quale degli otto mondi dell'esistenza rinasceremo: se come essere infernale, animale, preta (spirito avido), asura (spirito pauroso), essere umano, divinità del paradiso dei sensi (kamavacara), brahma incarnato, o brahma incorporeo. Ognuna di queste possibili forme di rinascita fa capo o ai Sugati o ai Duggati, secondo la natura delle sensazioni corrispondenti. Gli stati desiderabili, o appaganti, sono chiamati Sugati; quelli di tipo contrario sono chiamati Duggati.
Questa però non è la dottrina insegnata dal Buddha. Il suo insegnamento è stato: «dove c'è nascita non c'è che sofferenza perpetua»; ed è così indipendentemente dal mondo nel quale si nasce, perché «nascita» si riferisce ad acquisività ed attaccamento, come già detto. Indipendentemente dalla forma in cui si nasce, c'è sofferenza. La forma della sofferenza può essere diversa, come nel caso del milionario e del mendicante, ma è pur sempre sofferenza, dura come quella dei mondi dei Duggati. La nascita nei mondi dei Duggati comporta le sofferenze dei mondi dei Duggati, la nascita nei mondi dei Sugati comporta le sofferenze dei mondi dei Sugati. La nascita deve essere arrestata completamente.
Non state a chiedervi come rinascerete, a pensare di rinascere come essere umano, o come divinità, o come brahma. Il risultato sarà la sofferenza di un essere umano, di una divinità, o di un brahma, perché finanche i brahma provano sofferenza, la sofferenza dei brahma. Se i brahma ne fossero liberi, non ci sarebbe alcun bisogno del buddhismo. Il buddhismo è venuto in essere al fine di produrre arya, persone che hanno posto fine alle sofferenze di qualsiasi genere, a quelle degli esseri umani, delle divinità, e dei brahma. Per questo motivo il Buddha ha l'appellativo di «Maestro di dèi e di uomini»: egli ha insegnato a porre fine alla sofferenza per tutti gli esseri.
Qui bisogna essere cauti. Una persona in questa particolare vita ha la possibilità di rinascere in uno qualsiasi dei mondi dell'esistenza nel vasto ciclo del samsara: in uno dei mondi inferiori, o Duggati, come essere infernale, animale, preta, o asura; nel mondo di mezzo, come essere umano; oppure in uno dei mondi superiori, come divinità della sfera dei sensi, o come brahma incarnato, o (a livello più elevato) come brahma incorporeo. Ci sono perciò otto possibilità: i quattro stati dolorosi, o mondi inferiori, il mondo umano, o mondo di mezzo, e i tre stati celesti, o mondi superiori.
Ognuna di queste otto forme di nascita è sofferenza, ciascuna nella sua propria particolare forma. Se ci si identifica con lo stato nel quale si è nati, inevitabilmente si proverà la sofferenza del genere corrispondente - ed ognuno di noi nella vita quotidiana ha sperimentato questi otto generi di nascita. Cerchiamo di capire che cosa significa. Cominciamo dalla nascita negli stati dolorosi, la nascita come essere infernale, animale, preta (spirito avido), o asura (spirito pauroso).
Il vero significato di «inferno» è ansia (letteralmente «fuoco nella mente»). L'ansia divora come il fuoco. Se qualcuno ne è intriso, consumato, riconosciamo in lui una creatura dell'inferno. Sia egli monaco, novizio, converso, capofamiglia o cos'altro, se è pervaso di ansia («fuoco nella mente»), se si strugge nelle implicazioni dell'«io» e del «mio», egli è nell'inferno. Se in un dato momento la mente di una persona è fissata su un'idea, in quel momento la persona è un essere ottuso, un animale. Ogni volta che la mente di una persona, maschio o femmina, monaco o laico, o cos'altro, è illusa, quella persona nasce come animale. Il significato della nascita come animale è illusione.
Ogni volta che l'«io» e il «mio» prendono la strada della fame e della sete della mente, così come un giocatore o uno che compra biglietti di una lotteria provando bramosia per il denaro, bramosia di vincere un premio, una bramosia della mente - questo è nascita come preta (spirito avido). Nascere come preta è estrema avidità nella mente.
Se c'è paura, timore, questo è nascere come asura (spirito pauroso). Il termine «a-sura» significa «non coraggioso»; un asura è una qualsiasi persona timorosa, facile a spaventarsi. In un giorno solo possiamo nascere in tutti e quattro questi stati. Fate attenzione! Notate in quale forma sorgono l'«io» e il «mio». Se sorgono nella forma dell'ansia, si nasce come essere dell'inferno; se in quella della fissazione, come animale; se in quella della fame della mente, come preta; e se sorgono nella forma della paura, si nasce come asura. Mostriamolo con un esempio.
Un giocatore fa uno sbaglio grossolano e perde tutto; prova ansia, come se un fuoco lo divorasse; è finito nell'inferno qui nella casa da gioco. Di nuovo, quando si illude che il gioco può risolvere i suoi problemi, è un essere ottuso, un animale - anche prima di iniziare a giocare. Quando nel corso del gioco ha una fame mentale incontrollabile, allora è un preta. E quando ha paura di non vincere e di perdere tutto, è un asura. Questo esempio da solo, il caso di un giocatore in una casa da gioco, mostra come si può nascere come essere dell'inferno, animale, preta, asura.
I nostri nonni erano saggî, altrimenti non avrebbero avuto il detto: «Il paradiso è nel cuore, l'inferno nella mente». Evidentemente i loro figlî e nipoti non sono saggî, perché ritengono che si vada in paradiso o all'inferno soltanto dopo morti, dopo essere stati deposti nella bara. Esaminate questa idea, e vi renderete conto di come sia poco saggia. Siamo intelligenti allora come i nostri nonni, almeno limitatamente al renderci conto che il paradiso e l'inferno stanno nella mente.
Pensate all'esempio del giocatore, che può divenire una creatura dell'inferno, un animale, un preta, o un asura. L'ansia può derivare dal non retto agire, o essere un risultato del kamma. L'ansia è dolore. A volte l'illusione può essere incredibilmente dolorosa. Pensateci bene; analizzate e vedrete che qualche volta ci illudiamo in modo incredibile. Questa illusione ci porta a una azione inadeguata, o non retta. Quanto alla bramosia, è sempre presente: di piacere, di notorietà, e così via.
Se arriva al punto di essere una arsura della mente, si diviene un preta. Perché essere avidi? Abbiamo abbastanza intelligenza per sapere che cosa dobbiamo fare; dunque facciamolo e siamone contenti, senza l'arsura che hanno i preta. Anche se compriamo i biglietti di una lotteria, non è necessario farlo con l'arsura dei preta. Possiamo comprare i nostri biglietti semplicemente per divertimento, o possiamo pensare che in questo modo contribuiamo a raccogliere fondi per lo sviluppo del paese. Non è il caso di comprare i biglietti per avidità, come i preta.
Se c'è consapevolezza, «io» e «mio» non vengono in essere, e non si è avidi, non si è un preta. Se la consapevolezza invece manca, si è avidi, si è divenuti un preta, all'istante. Lo stesso è con la paura. La paura può diventare un modo di essere. Pensateci. Avere paura, come certa gente ha, finanche dei lombrichi, delle lucertole, dei gechi e dei topi è un po' troppo. Questa è una paura ingiustificata. Poi c'è la paura degli spiriti, cose delle quali non può essere dimostrata neanche la presenza. E qualcosa di cui certe persone hanno molto timore è il Dhamma. Temono che il praticarlo renderà la loro vita piatta e arida, che tale sia il nibbana. Perciò hanno paura del Dhamma e del nibbana. Persone del genere sono veri e proprî asura, nel pieno senso del termine.
Passiamo ora al mondo degli esseri umani. Il termine «essere umano» qui implica fatica, anche intensa, sudore versato, durezza del lavoro, ottenere cibo e soddisfazione dei sensi con il sudore della propria fronte. Non ha niente a che vedere con ansia, illusione, e tutto il resto; è l'onesto scambiare il sudore della propria fronte con ciò che si vuole ottenere. Questo è il significato del termine «essere umano». Non pensate che abbia qualcosa in comune con i termini «creatura dell'inferno», «animale», «preta» e «asura»; questi si riferiscono a qualcosa di molto inferiore. «Inferno» significa ansia, «animale» significa fissazione, «preta» significa avidità, «asura» significa paura. «Essere umano» significa qualcosa di un genere del tutto diverso. Significa semplicemente impegnarsi, perseverare, lavorare per ottenere quello che si vuole in modo onesto e retto, guadagnarlo col sudore della propria fronte. Questo è proprio dell'essere umano. In breve, il significato di «essere umano» è fatica, una condizione in cui la fatica è consuetudine. Al di sopra vi sono le divinità del paradiso dei sensi (kamavacara). Queste sono le divinità delle quali sentiamo dire che risiedono nei cieli, che hanno angeli per servirle, e così via. Il riferimento è a una condizione di libertà dalla fatica, e di abbondanza di ogni piacere sensuale.
Più in alto ancora c'è lo stato delle persone ormai insoddisfatte dei piaceri sensuali, che sono giunte a vederli come qualcosa che contamina, e che vogliono essere pure, senza contaminazioni. Questo è il cielo dei brahma incarnati (rupabrahma), nel quale sussiste l'interesse alle cose materiali. Più in alto ancora c'è il livello nel quale si percepiscono l'impermanenza del proprio corpo, e l'estraneità dell'interesse per esso; si preferirebbe non avere corpo del tutto. Una persona che sente questo è detto brahma incorporeo (arupabrahma).
Questi termini hanno un significato differente da quello dell'uso quitidiano. Ad esempio l'inferno raffigurato nelle pitture murali dei templi, con calderoni di rame, mari di acido, piogge di lance e di spade, è una metafora: un'illustrazione in termini materiali di stati mentali che sfuggono alla raffigurazione. E' una concreta illustrazione dell'ansia, dell'irrequietezza, («fuoco della mente»). In modo analogo abbiamo rappresentazioni fisiche dell'illusione, dell'avidità, della paura. E parimenti il «mondo umano» è la condizione della fatica; e il cielo dei kamavacara è completo appagamento dei sensi; quando qualcuno, per via del suo denaro, potere, fortuna, o qualsiasi altra cosa, ha conseguito l'appagamento nel piacere sensuale, ed è libero dalla fatica, è una divinità nel regno dei sensi, chiamato kamavacara. E un brahma incorporeo è una persona che non è più soddisfatta di tutto questo, che non ha più interesse alle cose materiali, e che gode soltanto di ciò che è puro, di ciò che non contamina.
Esaminiamo lo stato delle nostre menti. A volte siamo infatuati del piacere sensuale, ma quando lo ripetiamo più e più volte finiamo per stancarcene, e vogliamo una pausa. A volte vogliamo giocare, o ci interessiamo ad altre cose materiali; quelle cose non ci soddisfano, e cominciamo a pensare a cose non materiali, come buona sorte, prestigio, notorietà. Mettiamola in termini più semplici. Ci sono persone che hanno un'infatuazione per il piacere sensuale, e altre che preferiscono coltivare degli hobbies, come il giardinaggio, o allevare pesci tropicali o piccioni, e arrivano a farsene un'infatuazione. La mente è soggetta a questi cambiamenti.
Ora, può accadere che una data persona a un dato momento arrivi a vedere che tutte queste cose sono fonte di confusione e non reggono il confronto con le cose mentali - pensieri e sogni sull'eventualità di una buona sorte, sulla bellezza, o sul prestigio e la notorietà, cose non materiali. Queste varie condizioni differiscono fra di loro in modo considerevole; costituiscono varî livelli. Il punto è che una stessa persona può esperimentare tutti quanti questi otto generi di nascita.
Prendete in esame voi stessi, e vedete per quanti stati diversi la mente può passare. Un giorno uno può essere preso dal piacere sensuale, per un'ora o lì intorno; poi può andargli di interrompere e andare a fare sport o praticare qualche hobby. Un'altra volta può avere voglia di un periodo di pausa completa, senza disturbi. A volte deve essere un «essere umano», lavorare per lunghe ore, stancarsi. E a volte passa qualche minuto nella condizione dell'inferno (ansia); o di un asura (paura). Ecco che una stessa persona può sperimentare in uno stesso giorno più tipi di nascita; e in una settimana può provarli tutti e otto. Può nascere in uno degli stati dolorosi (inferno, animale, preta, asura), nel mondo degli essere umani, o negli stati celesti degli dèi e dei brahma. Però, quale ne sia il genere, la nascita non è altro che sofferenza. Quest'ultima affermazione è difficile da comprendere, ma una volta che la abbiate capita, avete compreso l'intero insegnamento del Buddha.
Libertà dalla nascita
L'espressione «libertà dalla nascita» non implica che non si rinasca dopo la morte fisica, che dopo essere morti ed essere stati deposti nella bara non si rinasca. Pensateci: se nella routine quotidiana c'è soltanto consapevolezza, che impedisce il sorgere dell'«io» e del «mio», l'idea del «sé», l'egoismo - questo è essere liberi dalla nascita.
Quando non rimane altro che la consapevolezza, si è in grado di fare ciò che si deve fare, e di farlo come si deve. In una situazione del genere fare il proprio lavoro è un piacere; poter fare il proprio lavoro come si deve, senza «io» o «mio» di sorta, è una gioia. Questa è l'essenza dell'insegnamento del Buddha. In pratica ci dice di vivere con la mente libera dall'idea dell'«io», «mio». Questo insegnamento è presente in ogni religione; è basato su una legge naturale, che può essere dimostrata in modo rigoroso, scientificamente.
Il buddhismo insegna che se fra i nostri pensieri c'è l'idea del sé, dell'autoriferimento, quella è sofferenza. Il Cristianesimo insegna la stessa cosa: ci dice di non pensare in termini di «io» o «mio», di non commettere l'errore di identificarci con «io» o «mio». La maggior parte dei cristiani però non comprende questo insegnamento, proprio come la maggior parte di noi buddhisti non comprende l'insegnamento del Buddha al riguardo. E' lo stesso dappertutto e in tutte le religioni: nessuno comprende la vera essenza della propria religione. Noi buddhisti non capiamo cosa si intende con «Non nascete! Cessate di nascere!». Non lo capiamo, e così siamo perplessi, non ci crediamo o addirittura lo consideriamo un insegnamento sbagliato. Forse non arriviamo ad accusare il Buddha di insegnare una falsa dottrina, però nonostante tutto quell'idea ci rimane in mente; oppure possiamo pensare che un monaco che espone quella dottrina stia travisando il Buddha. Questo succede. Così non riusciamo proprio a capire la dottrina dell'anatta (non sé) e della suññata (vuoto), la dottrina per cui non c'è «io» o «mio». Di conseguenza soffriamo. Nasciamo spesso; esperimentiamo più samsara che nibbana.
La dimostrazione di tutto questo è il fatto che gli ospedali per le malattie nervose e mentali sono sovraffollati. Questa è la dimostrazione, e ce n'è a sufficienza, non abbiamo da chiederne di ulteriori. La gente semplicemente non capisce la verità sul come impedire l'infermità mentale. Questo è l'obiettivo dell'insegnamento del Buddha. Il Buddha aveva per fine una vita consapevole, di consapevolezza continua, il vedere il mondo vuoto di «io» e «mio», mantenere la mente sempre libera dall'idea «io», «mio», lasciando soltanto la consapevolezza, così da sapere quale sia il proprio dovere, e così farlo. Questa è l'essenza dell'insegnamento del Buddha; a parte questo, non c'è altro.
L'essenza della religione
Adesso vorrei dire qualcosa su un insegnamento del Cristianesimo per il quale i cristiani stessi non hanno interesse. E' un passo del Nuovo Testamento, dall'epistola ai Corintî, nel quale San Paolo riassume l'intero insegnamento di Gesù. E' un breve passo che contiene un'esortazione al popolo di Corinto:
Se hai moglie, pensa come se non avessi moglie. Se possiedi ricchezze, pensa come se non avessi alcuna ricchezza. Se stai soffrendo, pensa come se non stessi soffrendo. Se sei felice, pensa come se non fossi felice. Se vai al mercato per fare i tuoi acquisti, non portare nulla a casa.
[Prima epistola ai Corintî, 7, 29-30. (N.d.T.)]
Qui abbiamo l'essenza dell'insegnamento del Buddha nella Bibbia: «Se hai moglie, pensa come se non avessi moglie». Paolo si rivolge agli uomini; non dice esplicitamente che una donna che ha marito dovrebbe pensare come se non avesse marito, ma si intende che l'affermazione vale sia per la moglie che per il marito. Il significato è: «Non nutrire acquisività, attaccamento; non identificatevi con il "mio"». Se possedete ricchezze, non siatevi attaccati, pensando ad esse come alle vostre ricchezze; realmente, pensate di non averne. Se nasce una sofferenza, prendetela per quale è, e se ne andrà. Non pensate ad essa in termini di sofferenza vostra. Se avete un motivo di felicità, non consideratelo il vostro motivo di felicità. Se andate a fare acquisti al mercato, non riportate niente a casa. Questo vuol dire: portando i nostri acquisti a casa dal mercato, la nostra mente non li identifica come «nostri». In questo senso non riportiamo nulla a casa.
Questo è un insegnamento cristiano, l'essenza del Cristianesimo. Un volta ho chiesto a un cristiano, una persona di elevata condizione sociale, un insegnante, in che modo avesse capito il passo che abbiamo citato. Inizialmente non sapeva che dire, poi mi ha risposto: «Non gli ho mai prestato interesse». Non aveva mai avuto alcun interesse per questo passo della Bibbia perché lo riteneva senza importanza. Aveva prestato grande interesse alla questione della fede, eccetera, ma nessun interesse a questa questione, che è la più importante di tutte. Ogni religione degna di questo nome tende fondamentalmente a insegnare a essere liberi dall'autoriferimento. In ogni religione c'è l'importante insegnamento della libertà dal sé e dalla preoccupazione per il sé. I fedeli però non hanno interesse per questo insegnamento. Sono come noi buddhisti, che non prestiamo interesse alla dottrina della suññata e dell'anatta, la dottrina che caratterizza il buddhismo.
Mara
Possiamo dire allora così, che la gente non ha interesse per la cosa che è più importante per essa. La gente è interessata soltanto al chiacchiericcio e al mangiare, modi di passare il tempo incentrati sul sé, che alimentano l'«io» e il «mio». Di conseguenza le persone sono più spesso creature dell'inferno, animali, preta e asura che esseri umani. E quando sono esseri umani, faticano e sono in tensione in modo particolarmente eccessivo, perché non sanno rilassarsi. Se sono in uno dei mondi celesti, esperimentano il genere di sofferenza corrispondente - come divinità, come brahma, o che sia. Questo perché non capiscono. Sono caduti sotto l'infuenza di Mara (Satana); sono stati attratti sulla via di Mara anziché sulla via del Buddha.
Mara (Satana) è un'altra delle cose delle quali non abbiamo una comprensione appropriata. In realtà Mara denota tutte quelle cose affascinanti che attraggono la mente e la riducono in loro potere. Mara è queste cose, in particolare il piacere sessuale e gli altri piaceri dei sensi. Il comandante supremo di Mara ci attira nel regno celeste dei paranimmitava-savattî, il mondo nel quale abbondano le delizie dei sensi, dove poi altri subalterni di Mara si pongono al nostro servizio, ci servono, e si occupano di ogni nostra esigenza. Questo si intende con «il comandante supremo di Mara».
Ora noi siamo vittime di Mara perché desideriamo queste cose e pertanto alimentiamo l'«io» e il «mio». Una volta che «io» e «mio» siano venuti in essere, non c'è più fine; si è al seguito di Mara anziché al seguito del Buddha. Quanto a Mara, è tutto qui. Ogni qualvolta che nella mente esiste l'idea «io», «mio», Mara è presente, si è al suo comando. E ogni qualvolta che la mente è vuota di «io», «mio», si segue il Buddha. In uno stesso giorno si può essere per un po' al comando di Mara e per un po' al seguito del Buddha. Chiunque può rendersene conto, non c'è bisogno perciò di discuterne qui. Chiunque può vedere da solo che in uno stesso giorno per un po' può esservi la presenza di «io» e «mio», e per un po' l'assenza.
In qualunque momento in cui sorgono «io» e «mio», si è nati come questo o come quello, e con questo o con quello ci si identifica; ed è sofferenza, ogni volta. Dovremmo evitarlo, e fare qualcosa per impedirne il verificarsi. Dobbiamo alimentare e prolungare quei periodi di vuoto e di quiete, o nibbana; dopo un certo tempo saremo liberi da tutte le infermità, sia mentali che fisiche.
Diabete, ipertensione arteriosa, disturbi cardiaci - vengono tutti da «io» e «mio». Identificarsi con «io» e «mio» causa una quantità di turbamenti che ci impediscono di riposare a sufficienza. Quando la mente è confusa, il metabolismo degli zuccheri diviene anormale, con forti aumenti e diminuzioni, e con il risultato di una qualche malattia fisica. Ne deriva anche infermità mentale, nella forma della sofferenza mentale. In breve, il corpo non regge la tensione e il risultato è una malattia nervosa o mentale, o anche la morte. Anche se si può sfuggire alla morte, è certo che si proveranno profonda sofferenza e depressione, come se si fosse finiti in uno dei mondi infernali.
L'intera questione potrebbe essere trattata in modo molto più particolareggiato. Ad esempio, abbiamo parlato di inferno come equivalente di ansia, anche se i testi più analitici distinguono diciotto o ventuno o più ancora regioni nell'inferno. In ultima analisi però, in tutte è presente la sofferenza del non avere requie; non c'è condizione infernale in cui ci sia quiete. Lo stesso per i preta. Si distinguono più tipi di preta: preta-serpenti, preta con bocche dalle dimensioni di una cruna d'ago e ventri dalle dimensioni di una montagna (perciò non possono mai saziare la loro avidità) e altri. Ma tutti fanno capo alla stessa cosa: avidità.
Potete interpretare tutti questi particolari come credete, in modo più o meno analitico, purché comprendiate il significato fondamentale: le creature dell'inferno patiscono per l'ansia, la condizione degli animali è l'oscurità mentale, quella dei preta l'avidità, quella degli asura la paura, quella degli esseri umani la fatica, quella delle divinità dei kamavacara l'infatuazione per i piaceri sensuali, quella dei brahma incarnati l'infatuazione esclusiva per le cose fisiche, e quella dei brahma incorporei l'infatuazione esclusiva per le cose mentali. Sono tutte forme di «nascita».
Non ci sono eccezioni, chi è «nato» è certo di soffrire. Cercate di abbandonare completamente questa identificazione. «La vera felicità consiste nell'eliminare la falsa idea "io"». Mantenetevi consapevoli e capaci di vedere nel profondo; siate liberi da «io» e «mio» e sarete liberi dalla sofferenza. Mantenete questa condizione; quando essa diviene permanente, quello è l'autentico e completo nibbana.
Il nibbana in vita
Il nibbana momentaneo lo abbiamo già. Prolunghiamolo, e riduciamo la sofferenza, o samsara, per quanto possibile. Non sprechiamo questa opportunità, questi ottanta o cento anni di vita in cui siamo nati. Se non concretiamo questo perfezionamento non arriveremo mai in nessun posto, dovessimo vivere anche mille anni; ma se effettivamente lo realizziamo, possiamo giungere pienamente al nibbana già in questa vita.
Che uno sia bambino, adolescente, adulto o ottantenne, se intende a dovere il significato di tutto questo, il sorgere e il cessare della sofferenza, sarà in grado di guarire sul serio dalle sue infermità, di controllare l'autoriferimento, l'«io» e il «mio»; automaticamente ne avrà abbastanza, e inizierà a esperimentare la quiete, la felicità, l'affrancamento dalla sofferenza. Sta tutto qui.
Il Buddha lo ha espresso sinteticamente quando ha detto: «Non siate acquisitivi, non attaccatevi a niente, a nessuna cosa (Sabbe dhamma nalam abhinivesaya)»; vale a dire, non attaccatevi in termini di «io», «mio». Indipendentemente da quello che la cosa è - oggetto fisico, condizione, azione, oggetto mentale, risultato di un'azione o quel che sia - non pensateci in termini di «io», «mio». Pensate che fa parte della Natura, che è la Natura stessa, che ne è una parte e che segue le sue leggi, che è proprietà della Natura. Non consideratela in termini di «io», «mio». Chiunque abbia la sicumera di considerarla tale è un ladro, si appropria di qualcosa che giustamente appartiene alla Natura. Dal rubare non può derivare nulla di buono; inevitabilmente ne verrà la sofferenza di un ladro. Di qui l'insegnamento del Buddha di non essere acquisitivi, di non attaccarsi a nulla come «io» o «mio». Di qui ancora la sua affermazione, tanto stringata che è difficile comprenderla e più difficile ancora accettarla: «Se sarà praticato il retto vivere, questo mondo non sarà vuoto di arhat». Questa affermazione riassume l'intero insegnamento.
Spero che vi interesserete a questo insegnamento del Buddha, che ci rifletterete, lo esaminerete, e che arriverete a comprenderlo. E' il nucleo profondo ed essenziale del Dhamma, e può davvero aiutarci a conseguire la liberazione dalla sofferenza.
fine
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