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 Istruzioni sulla pratica di vipassana

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 12/11/2019 : 09:24:59
Istruzioni sulla pratica di vipassana

di Mahasi Sayadaw

sulla pratica di vipassana

(da Pian de' Ciliegi)

La pratica della meditazione Vipassana consiste nello sforzo fatto dal
meditatore per capire correttamente la natura dei fenomeni psicologici
e fisici che avvengono nel proprio corpo. I fenomeni fisici, le cose o
gli oggetti che uno percepisce chiaramente nell’intero corpo,
costituiscono il gruppo di qualità materiali, chiamate Rupa. I
fenomeni della mente o mentali si chiamano Nama. Si percepisce
chiaramente che questi fenomeni di nama rupa o corpo-mente stanno
accadendo ogni volta che c’è vista, odore, suono, gusto, contatto, o
pensiero. Ne diventiamo consapevoli, osservandoli e annotandoli.
Quando vediamo, annotiamo ‘vedere’, quando udiamo qualcosa annotiamo
‘udire, udire’, quando odoriamo ‘odorare, odorare’, quando gustiamo
‘gustare, gustare’, quando tocchiamo ‘toccare, toccare’, e quando
pensiamo ‘pensare, pensare’.

Ogni volta che uno vede, ode, odora, gusta, tocca o pensa deve
prendere nota dell’avvenimento, del fatto. Ma all’inizio della pratica
uno non riesce a prendere nota di tutti gli avvenimenti che capitano.
Deve però prendere nota per lo meno di quei fenomeni che sono
facilmente e chiaramente percepibili. Ad ogni respiro l’addome si alza
e si abbassa e il movimento è evidente. Questa è la qualità materiale
conosciuta come vaiu dathu o elemento del movimento. Uno deve
cominciare col notare questo movimento, cosa che avviene quando la
mente è concentrata ad osservare l’addome. Troverete che l’addome sale
quando inspirate e scende quando espirate. Il salire deve essere
notato mentalmente come salire e lo scendere come scendere.. Se il
movimento non è chiaro, pur continuando a notarlo, tenete il palmo
della mano sull’addome. Non alterate il modo di respirare, non
rendetelo più lento o più veloce, né rendetelo troppo vigoroso:
alterare il respiro vi darà stanchezza. Respirate normalmente come al
solito e notate il salire e scendere dell’addome così come avviene.
Notatelo mentalmente e non verbalmente.

Nella meditazione Vipassana non è importante che nome date, ma è
importante il fatto di notare e percepire. Notate il salire
dell’addome dal principio alla fine del movimento, come se lo seguiste
con gli occhi. Fate lo stesso con il movimento di discesa. Notate in
modo tale che la consapevolezza sia all’unisono con il movimento
stesso. La stessa cosa con il movimento discendente. La mente può
distrarsi mentre state notando il movimento addominale. Anche questo
va notato, dicendo mentalmente ‘divagare, divagare’. Quando è stato
notato una volta o due la mente smette di distrarsi e allora ritornate
al salire e scendere dell’addome. Se immaginate di incontrare
qualcuno, notate ‘incontrare incontrare’ e poi tornate al salire e
scendere dell’addome, se immaginate di incontrare e parlare con
qualcuno notate ‘parlare parlare’. Insomma ogni pensiero che sorge va
notato. Se state immaginando, notate ‘immaginare’, se pensate annotate
‘pensare’, se progettate ‘progettare’, se percepite ‘percepire’, se
riflettete ‘riflettere’, se siete contenti notate ‘contentezza’, se vi
sentite annoiati notate ‘noia’, se siete sereni ‘serenità’, se vi
sentite scoraggiati ‘scoraggiamento’; notare tutti questi oggetti di
consapevolezza è chiamato in pali citta nupassana. Se non riusciamo a
notare questi atti di coscienza, saremo portati a identificarli con
una persona o un individuo. Pensiamo che ci sia un ‘io’ che immagina,
pensa, pianifica, conosce o percepisce. Crediamo che ci sia una
persona che, dall’infanzia in poi, sia vissuta e abbia pensato. Nella
realtà una persona così non esiste. C’è invece una successione
continua di atti della coscienza. Ecco perché dobbiamo conoscere
questi atti di coscenza e conoscerli per quello che sono, conoscere
ogni singolo atto di coscenza, man mano che sorge. Quando li si
osserva, tendono a scomparire e se questo capita, allora torniamo a
notare il salire e scendere dell’addome.

Dopo un po’ che meditate, sensazioni di rigidità e bruciore tendono a
sorgere nel corpo. Anch’esse vanno annotate attentamente. Lo stesso
con le sensazioni di stanchezza o dolore. Tutte queste sensazioni sono
dukkha vedana o sensazioni di insoddisfazione e il notarle è vedana
nupassana. Se mancate di notarle potreste arrivare a pensare: ‘Io sono
rigido’, ‘io sento caldo’ oppure ‘io ho un dolore’... E’ sbagliato
identificare queste sensazioni con l’ego. Non c’è un io coinvolto, ma
solo una successione di sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. E’
solo una successione continua di impulsi elettrici, come in una
lampadina.

Ogni volta che vi è un contatto spiacevole nel corpo, sorgono
sensazioni spiacevoli, una dopo l’altra. Queste sensazioni vanno
notate attentamente, sia che si senta rigidità, bruciore o dolore.
All’inizio della pratica di meditazione queste sensazioni possono
aumentare e portare al desiderio di cambiare posizione. Va notato
anche questo desiderio e poi lo yogi deve ritornare a notare le
sensazioni di rigidità, caldo, eccetera.

“La pazienza porta al Nibbana” è un detto che va tenuto presente.
Bisogna essere pazienti nella meditazione. Se uno si muove o cambia
postura troppo spesso perché non sa essere paziente con le sensazioni
spiacevoli che sorgono, non può sviluppare la concentrazione o
samadhi. Se samadhi non si sviluppa non può sorgere la visione
profonda (insight) e non ci può essere la realizzazione del sentiero
che conduce al Nibbana e del phala o frutto di questo sentiero, e
quindi il Nibbana. Per questo c’è bisogno di pazienza nella
meditazione. C’è bisogno di pazienza soprattutto con le sensazioni
spiacevoli del corpo, come rigidità, calore, dolore, ecc.. In altre
parole, le sensazioni difficili da sopportare richiedono di stare con
loro pazientemente e attentamente, e questo significa essere
consapevoli, man mano che sorgono. Uno non deve abbandonare la sala di
meditazione non appena sorgono queste sensazioni, ma anzi deve andare
avanti, notando ‘rigidità’, ‘calore’, ecc. Le sensazioni deboli come
queste spariranno se si continua ad annotarle pazientemente. Quando la
concentrazione è forte, perfino le sensazioni più intense tendono a
scomparire. Poi uno ritorna a notare il salire e scendere dell’addome.
Naturalmente se dopo un lungo periodo di tempo e avendo continuato ad
annotarla, la sensazione non sparisce o diventa insopportabile, allora
si può cambiare posizione. Si comincerà a notare ‘desiderio di
cambiare’ e se si alza il braccio notare ‘alzare’ e quando lo si muove
notare ‘muovere, muovere’. Tutti i movimenti per cambiare posizione
vanno fatti lentamente e annotati ‘alzarsi, muoversi, toccare,
eccetera’. Se il corpo oscilla, notare ‘oscillare’, se il piede si
alza notate ‘alzare’, se si muove notate ‘muovere, muovere’, se si
abbassa ‘abbassare, abbassare’. Se invece non c’è cambiamento,
ritornate a osservare il salire e scendere dell’addome.

Non ci deve essere nessuna soluzione di continuità, nessun intervallo
tra un atto di notare e il successivo, tra uno stato di concentrazione
e il seguente, tra un atto di coscienza e l’altro. Solo così si
creeranno graduali e sempre più elevati gradi di comprensione nel
meditatore. La conoscenza del sentiero e della sua fruizione sarà
raggiunta solo quando c’è questo tipo di spinta in alto. Il processo
meditativo è come sfregare insieme energicamente e senza sosta due
bastoncini di legno per ottenere la giusta intensità di calore che
faccia nascere la fiamma. Allo stesso modo l’annotazione nella
meditazione Vipassana deve essere continua e senza soste, senza
nessuna pausa tra i vari atti del notare ogni singolo fenomeno che
sorge. Per esempio, se si prova una sensazione di prurito e lo yogi
vuole grattarsi perché non riesce a sopportarla, va annotata sia la
sensazione che il desiderio di liberarsene, senza però grattarsi
immediatamente. Se uno continua e persevera a notare in questo modo il
prurito generalmente sparisce, nel quale caso uno ritorna al salire e
scendere dell’addome. Se il prurito non va via, invece, si deve
naturalmente eliminarlo grattandosi, ma prima bisogna notare
accuratamente il desiderio di farlo. Tutti i movimenti coinvolti
nell’eliminazione della sensazione vanno annotati, come il toccare,
spingere e grattare e infine ritornare al salire e scendere
dell’addome. Ogni volta che cambiate posizione, cominciate con il
notare l’intenzione o il desiderio di fare il cambiamento e andate
avanti notando attentamente ogni movimento, come alzarsi dal sedile,
alzare il braccio, il movimento e la tensione del braccio. Dovete
notare i cambiamenti nello stesso momento in cui li fate. Se il corpo
oscilla in avanti notatelo. Quando vi alzate il corpo diventa leggero
e si alza. Concentratevi la mente e annotate gentilmente ‘alzarsi
alzarsi’.

I meditatori si devono comportare come se fossero degli invalidi.
Generalmente le persone si alzano facilmente, velocemente e
improvvisamente, ma questo gli invalidi non lo possono fare e si
alzano lentamente e con molta attenzione. Anche quelli che hanno mal
di schiena si alzano con molta attenzione per evitare delle fitte
dolorose. La stessa cosa con il meditatore. Deve iniziare a fare il
cambiamento di postura con consapevolezza, gradualmente e lentamente,
e nel contempo annotare “alzarsi, alzarsi”; solo allora, la
consapevolezza e la concentrazione faranno sviluppare e gradualmente
maturare l’insight. E non solo questo: sebbene gli occhi funzionino il
meditatore deve comportarsi come se non vedesse, e la stessa cosa con
le orecchie che odono Quando medita lo yogi deve solo occuparsi di
essere consapevole e annotare. Non lo riguarda ciò che ode o vede;
deve comportarsi come se non vedesse e non sentisse. Ci deve essere
solo una annotazione continua e accurata.

Quando durante la giornata, lo yogi si muove, lo fa gradualmente come
se fosse debole; deve muovere le braccia e le gambe lentamente e
sempre lentamente abbasserà o alzerà la testa. Tutti questi movimenti
devono essere fatti gentilmente. Quando è seduto e si alza, lo deve
fare gradualmente notando ‘alzarsi’, quando sta in piedi notando ‘in
piedi’, quando si guarda qua e là notare ‘guardare’, ‘vedere’, quando
cammina nota i passi, se sta camminando con la gamba destra o con la
sinistra. Inoltre lo yogi deve essere consapevole di tutti i
successivi movimenti dal momento che alza il piede fino a quando lo
abbassa. Questo quando si cammina velocemente.

Quando si cammina lentamente o si fa la meditazione camminata bisogna
notare tre movimenti in ogni passo: quando si alza il piede, quando lo
si avanza, quando lo si posa. Cominciate col notare solo i movimenti
di alzata e di abbassata. Uno deve essere consapevole quando alza il
piedi e lo stesso quando lo abbassa. Deve notare ‘alzare’ e
‘abbassare’ ad ogni passo. Questo nominare diventerà facile dopo
qualche giorno, e allora cominciate a nominare i tre movimenti di
‘alzare’, ‘avanzare’, e ‘abbassare’. Ricapitolando, all’inizio o
quando si cammina veloce basta sapere che piede si muove e notare
“sinistro, destro”. Quando si cammina un po’ più lentamente si notano
i due movimenti di ‘alzare’ e ‘abbassare’. Quando si cammina
lentamente si notano tre movimenti come spiegato sopra.. Mentre si sta
camminando e viene voglia di sedersi notare ‘voglia di sedersi’.
Quando vi sedete veramente osservate con concentrazione il cadere del
corpo sulla sedia. Quando siete seduti notate i movimenti che si fate
per sistemare le gambe e le braccia. Quando non ci sono movimenti e il
corpo è fermo notate solo il salire e scendere dell’addome.

Se mentre state notando la rigidità del corpo o degli arti sorge una
sensazione di calore, annotatela accuratamente. E poi ritornare al
salire e scendere dell’addome. Se poi viene voglia di sdraiarsi
notatelo e notate anche il movimento delle gambe e delle braccia
mentre vi sdraiate. Il movimento del braccio, l’appoggiarsi del gomito
che tocca il pavimento, l’oscillare del corpo, lo stendersi delle
gambe, il graduale ripiegamento del corpo mentre si prepara a
sdraiarsi. Tutti questi movimenti vanno notati. E’ importante annotare
tutto questo processo, perché nel farlo potete avere una chiara
conoscenza del sentiero e del suo frutto. Infatti, quando la
concentrazione e l’insight sono forti e maturi, la conoscenza può
venire ad ogni istante, può arrivare in un singolo piegamento o
stiramento del braccio.

Questo accadde ai tempi del Buddha, subito dopo la sua morte, quando
il venerabile Ananda, il suo attendente divenne un completo aharant.
Il ven. Ananda tentò disperatamente di raggiungere lo stato di aharant
nella notte precedente il primo grande concilio. Aveva praticato tutta
la notte vipassana. Notava i passi destro sinistro, l’alzarsi,
avanzare e scendere del piede, notando tutto ciò che man mano
accadeva, come il desiderio fisico di camminare e il movimento
coinvolto in ogni passo. Sebbene tutto questo andasse avanti fino
quasi all’alba non aveva ottenuto la realizzazione. Capì che aveva
fatto la meditazione camminata per troppo tempo, e che avrebbe dovuto
equilibrare la concentrazione con lo sforzo. Decise perciò di
continuare a fare meditazione nella posizione sdraiata. Entrò nella
sua stanza, sedette sul giaciglio e poi cominciò a sdraiarsi. Mentre
faceva ciò annotando accuratamente ‘sdraiarsi’, raggiunse il primo
stadio verso lo stato di arahant in un istante.

Il Venerabile Ananda prima di quel momento, era stato solo un
sotapanna, uno che era entrato nella corrente, cioè il primo stadio
del sentiero verso il Nirvana. Dallo stato di sotapanna raggiunse il
secondo stadio (cioè di colui che ritorna una volta sola), poi il
terzo, quello del non ritorno, e raggiunse l’ultimo stadio nel cammino
della illuminazione, divenendo un arahant. Passare attraverso questi
tre eccelsi stadi del sentiero gli prese pochissimo tempo. Pensate a
questo esempio del Ven. Ananda. Questo raggiungimento può arrivare da
un momento all’altro. Ecco perché gli yogi devono notare tutto
diligentemente e in continuazione. Non bisogna rilassarsi nel notare
pensando: ‘questo non è poi così importante’. Tutti i movimenti che si
fanno per sdraiarsi sono importanti e devono essere notati il meglio e
il più accuratamente possibile. Se non ci sono movimenti e il corpo è
fermo ritornate al salire e scendere dell’addome. Anche quando si fa
tardi e arriva il tempo di andare a dormire lo yogi non va a dormire
lasciando perdere la concentrazione. Un meditatore serio e impegnato
cercherà di praticare la concentrazione anche mentre sta per
addormentarsi. Andrà avanti a meditare fino al momento che il sonno
verrà da solo.

Se la meditazione è buona e profonda, non si addormenterà; ma può
capitare invece che il sopore abbia la meglio e lo yogi si addormenti.
Se sente sonno deve notare ‘sonno, sonno’ o se le palpebre si
chiudono, notare ‘chiudersi, chiudersi.’. Se diventano pesanti notare
‘pesanti’, se gli occhi bruciano notare ‘bruciare’. Notando in questa
maniera può accadere che il sopore sparisca e gli occhi diventino
chiari di nuovo. Allora notare ‘chiari’, e andare avanti, notando il
salire e scendere dell’addome. Così si può continuare a meditare e se
sorge un pesante torpore finalmente il meditatore si addormenterà per
davvero. Se meditate nella posizione sdraiata, diventerete sempre più
sonnolenti e infine vi addormenterete. Ecco perché i principianti non
devono meditare nella posizione sdraiata. Ma quando poi si fa tardi e
viene il tempo di dormire, meditate nella posizione sdraiata seguendo
il salire e scendere dell’addome. E poi naturalmente ed
automaticamente vi addormenterete. Il tempo del sonno è il tempo di
riposo del meditatore, ma uno yogi molto impegnato dovrebbe cercare di
limitarlo a quattro ore. Quattro ore di solito sono sufficienti. Se il
meditatore principiante pensa che quattro ore non siano sufficienti
alla salute può dormire anche cinque o sei ore. Sei ore sono
chiaramente abbastanza per la maggioranza della gente. Quando lo yogi
si sveglia deve subito ricominciare a notare. Lo yogi che vuole
raggiungere l’illuminazione sospende la meditazione solo quando dorme.
Nel resto del tempo, deve notare continuamente e senza sosta,
nominando il più accuratamente possibile, fin dal risveglio “sveglio,
sveglio”e altri stati; se non ci riesce subito, osserva il salire e
scendere dell’addome. Se intende uscire dal letto nota l’intenzione di
uscire dal letto e poi tutti i movimenti delle gambe e delle braccia
nel far ciò. Quando alza la testa nota ‘alzare’, quando siede
‘sedere’. E’ importante che ogni volta che cambia posizione, muove le
braccia o le gambe prenda nota di tutti questi movimenti.

Se non ci sono movimenti e si sta seduti tranquillamente, allora si
nota il salire e scendere dell’addome. Uno deve notare anche quando si
lava la faccia, fa la doccia e siccome i movimenti in questo caso sono
piuttosto rapidi si cerca di notarli il meglio possibile. Poi c’è il
vestirsi, il sistemare il letto, aprire e chiudere la porta: tutto
deve essere notato il più accuratamente possibile. Quando il
meditatore pranza e si avvicina al tavolo nota ‘guardare’, quando
allunga la mano, prende il cucchiaio, si serve del cibo, quando lo
mette nel piatto, quando porta il cucchiaio alla bocca, quando la
testa si china, mette in bocca, abbassa il braccio, lo alza per un
altro boccone: tutti questi movimenti vanno notati il più
accuratamente e continuamente possibile. Quando il meditatore mastica
noterà ‘masticare’ quando sente il sapore del cibo dirà ‘gustare’, va
notato anche il movimento di masticare, rendere liquido e ingoiare il
cibo e bisogna continuare a essere consapavoli di tutto ciò che sta
capitando. Durante i pasti c’è talmente tanto da notare che il
principiante spesso salta molte cose che andrebbero notate, ma
comunque dovrebbe metterci la migliore buona volontà. Man mano che
samadhi diventerà più intenso e continuo il meditatore riuscirà a
seguire sempre più ciò che sta capitando.

Abbiamo parlato di molte cose che vanno notate, ma per riassumere
basta menzionare poche cose che vanno assolutamente notate: quando si
cammina velocemente notare passo sinistro e passo destro e quando si
cammina piano l’alzarsi ed abbassarsi del piede e quando si cammina
molto lentamente “alzarsi”, “avanzare” e “abbassarsi” del piede;
quando si è sdraiati o seduti fermi notare l’alzarsi e l’abbassarsi
dell’addome, se non c’è niente altro di particolare da notare Se la
mente divaga, notate i vari atti di coscienza che sorgono e di nuovo
poi tornare al salire e scendere dell’addome. Notate anche le
sensazioni di rigidità, dolore e prurito man mano che vengono poi
tornare all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Notate man mano che
avvengono il sollevamento, lo stiramento e il movimento degli arti, il
chinarsi e il movimento della testa, l’oscillare e il chinarsi del
corpo, e poi ritornate all’alzarsi e abbassarsi dell’addome. Man mano
che procedete, vedrete che ci sono sempre più cose da conoscere nei
fenomeni che avvengono. All’inizio siccome la mente vaga qua e là, il
meditatore non riesce a notare molte cose che accadono, ma non deve
scoraggiarsi. Tutti i principianti incontrano le stesse difficoltà.
Con la pratica il meditatore riuscirà ad accorgersi della mente che
divaga fino a quando questa non divagherà più. La mente rimane fissa
sull’oggetto e la consapevolezza è quasi simultanea con l’oggetto
dell’attenzione come l’alzarsi ed abbassarsi dell’addome. In altre
parole l’atto di alzarsi e abbassarsi dell’addome è simultaneo
all’atto di notarlo. Gli oggetti fisici dell’attenzione e i contenuti
mentali sono notati appaiati, insieme, e si capirà che non vi è
nessuno coinvolto in questa azione: c’è solo l’oggetto fisico
dell’attenzione e l’attività mentale del notare che avvengono
simultaneamente. Il meditatore sperimenterà personalmente questi
fenomeni. Mentre segue l’alzarsi dell’addome imparerà che vi è il
fenomeno fisico dell’alzarsi e l’atto mentale del notare. Lo stesso
con l’abbassarsi dell’addome. Lo yogi imparerà a vedere la
simultaneità di ciò che capita, vedendoli come fenomeni fisici e
mentali appaiati. Quindi in ogni atto del notare lo yogi imparerà che
c’è solo una qualità materiale come oggetto di attenzione e una
qualità mentale che ne prende nota. Questa conoscenza è la prima dei
vipassana nana ed è importante raggiungere tale conoscenza
correttamente. Poi il meditatore raggiungerà la seconda vipassana
nana, distinguendo tra causa ed effetto.

Man mano che meditano gli yogi vedranno da loro che tutto ciò che
sorge, dopo un po’ sparisce. La gente comune pensa che i fenomeni sia
fisici che mentali durino tutta la vita nella stessa maniera dalla
gioventù alla vecchiaia. Ma non è così. Non esiste fenomeno che duri
per sempre, anzi ogni fenomeno avviene e sparisce continuamente, non
dura più di un batter d’occhio. Lo sperimenterà lo yogi andando avanti
nel notare. Si accorgerà

dell’impermanenza di tutti i fenomeni. A questa comprensione seguirà
la consapevolezza di dukkha (dukkha nupassana nana), cioè la
comprensione che tutto quello che non dura crea sofferenza. Il
meditatore sperimenterà anche molti dolori nel corpo che non è altro
che un aggregato di sofferenze. Anche questa è dukkha nupassana nana.
Poi lo yogi si convincerà che tutti questi fenomeni psicofisici
capitano senza la sua volontà e senza il suo controllo. Non fanno
parte di una entità personale o egoica. Questa realizzazione è anatta
nupassana nana. Quando, proseguendo nella meditazione, gli yogi
arriveranno a capire chiaramente che tutti questi fenomeni sono anicca
(impermanenti) dukkha (insoddisfacenti) e anatta (vuoti di un’entità
egoica), otterranno il Nibbana. Tutti i buddha e gli aharant hanno
raggiunto il nibbana seguento proprio questo sentiero. Tutti i
meditatori dovrebbero sapere che sono sul sentiero del satipattana,
verso il Nibbana. Dovrebbero essere contenti per questo e per la
prospettiva di poter sperimentare questo nobile tipo di samadhi o
tranquillità della mente dovuta alla concentrazione e ottenere la
conoscenza ultramondana, sperimentata nel passato dai buddha, dagli
aryia e che loro stessi ora potrebbero sperimentare. Questo può
avvenire nello spazio di un mese o 20 o 15 giorni di pratica. Quelli
che hanno paramita eccezionali possono arrivarci anche in soli 7
giorni. Lo yogi deve dunque essere contento nella certezza che
raggiungerà questi traguardi presto. Deve proseguire nella pratica,
fiducioso nella riuscita.

Che tutti possano praticare la meditazione e possano raggiungere
l’illuminazione che buddha e aharant hanno sperimentato.


ISTRUZIONI E DIMOSTRAZIONI PRATICHE DI U VIVEKANANDA

Vorrei parlarvi, a livello pratico, della meditazione seduta, della
meditazione camminata, di cui darò una breve dimostrazione e delle
attività quotidiane.

Cominciamo con la meditazione seduta: quando vi sedete in meditazione
scegliete una postura confortevole, che può essere o nella posizione
del pieno loto o, se questo risultasse troppo difficile, nella
posizione del mezzo loto o in quella che viene chiamata la postura
birmana che consiste nel porre una gamba piegata di fronte all'altra
senza sovrapporle: l'alluce della gamba che sta all'interno si posa
tra la coscia e il polpaccio dell'altra gamba che sta all'esterno.

Chi non riesce a stare in queste posizioni, può usare due o più
cuscini in modo che alzando le natiche si crei meno tensione nelle
cosce. Forse più tardi, con la pratica, riuscirete a togliere il
secondo e anche il primo cuscino e a sedervi direttamente sul tappeto
di meditazione. Chi ha problemi di ginocchia può sedersi su piccoli
sgabelli e chi ha seri problemi di schiena può sedersi su una sedia
senza però appoggiare il dorso. La cosa importante è scegliere una
posizione abbastanza confortevole in modo che possiate tenerla a
lungo. Per quanto riguarda le mani, nella pratica di Vipassana non si
attribuisce alcun significato alla posizione delle mani. Potete
tenerle in grembo, o una sopra l’altra con i pollici che si toccano. I
pollici in contatto possono servire a scoprire, quando si allentano,
il sopraggiungere della sonnolenza. E allora, allertati, potete fare
uno sforzo maggiore per vincere il torpore.

Per quanto riguarda la schiena, cercate di tenervi il più possibili
diritti e per usare un esempio tecnico, formate un angolo di 90 gradi
con il pavimento. Non è difficile capire il perché di questa
raccomandazione. Se uno tiene la schiena incurvata e rilassata, sarà
facile preda della sonnolenza e inoltre la curvatura creerà ostacoli
alla respirazione, problemi al sistema gastrointestinale, alla
digestione, al sistema urinario e alla circolazione sanguigna. Quindi,
per evitare queste difficoltà, è bene meditare tenendosi il più
diritti possibile.

Nella meditazione vipassana seduta non vi è necessità di tenere gli
occhi aperti, per cui chiudete gli occhi e apriteli soltanto se vi
sentite presi da una forte sonnolenza. La luce del giorno o di una
lampada può aiutarvi a superare il torpore.

Per quanto riguarda il respiro, mantenetelo naturale, non cercate di
manipolarlo, controllarlo o forzarlo. Se il respiro è veloce,
lasciatelo così com’è e se, a causa della profonda concentrazione il
respiro si fa sottile e lento, accettatelo così com’è senza cercare di
accelerarlo.

Il principale oggetto di osservazione nella meditazione seduta è il
movimento dell’addome. Quindi quando vi sedete iniziate con
l’osservare l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome. Se all’inizio avete
difficoltà a notare l’oggetto primario, cioè l’alzarsi e l’abbassarsi
dell’addome, potete mettere i palmi delle mani sull’addome e seguirne
i movimenti; vi sarà più facile sentire le sensazioni in quell’area.
Quando, durante la pratica si presenteranno altri oggetti predominanti
nel corpo e nella mente, come per esempio la mente che divaga e se
questo divagare è l’oggetto predominante, lasciate perdere i movimenti
dell’addome e prendete la mente divagante come oggetto di
osservazione, etichettatela ‘divagazione, divagazione’ o ‘pensiero,
pensiero’ e quando finisce ritornate all’addome. Continuate ad
osservare l’addome e quando si presenta, per esempio, un dolore in
qualche parte del corpo, lasciate perdere l’addome e portate
l’attenzione sul dolore, osservandolo ed etichettandolo.

Qualche indicazione su come osservare i dolori o altre sensazioni che
sorgono nel corpo. Quando sorge un dolore o altra sensazione, per
prima cosa osservatene la qualità. Ci sono diversi tipi di dolore:
dolori lancinanti, punture, dolori acuti o brucianti, e pressione,
rigidità, stiramento, tensione, ecc. Cercate di capire esattamente la
natura del dolore che provate. Potete anche osservarne l’intensità,
cioè come si comporta il dolore in termini di intensità, cresce o
diminuisce? Inoltre potete osservare dove sorge un dolore. Il dolore
sta fermo allo stesso posto o si muove da un posto all’altro, o si
diffonde? Alcuni dolori sorgono in un posto e quando uno li osserva e
li annota, presto o tardi scompaiono, sempre nello stesso posto. Altre
sensazioni sorgono in un posto e mentre uno le osserva sembra che si
spostino altrove. Talvolta sentite prurito, nasce in un posto,
sparisce nello stesso posto e un prurito simile rinasce altrove.
Osservate questo tipo di caratteristiche. Per quanto riguarda il
tempo, alcune sensazioni sono molto brevi e non durano più di qualche
secondo o minuto; altre durano cinque o dieci minuti e talvolta per
tutta la durata della seduta. Vanno quindi osservate le seguenti
caratteristiche: la qualità, l’intensità, il luogo e la durata
dell’oggetto osservato e cercate di descriverlo in questi termini. E’
importante che quando uno osserva una sensazione di dolore nel corpo
non tenti di liberarsene annotandola, e invece cerchi di conoscerne la
natura e le caratteristiche.

Quando queste sensazioni diminuiscono e si dissolvono, tornate
all’alzarsi e abbassarsi dell’addome, e continuate ad osservarlo fino
a che non si presenti un altro oggetto predominante sia nel corpo che
nella mente. Quindi se udite un suono forte, etichettate ‘sentire,
sentire’, osservate brevemente il processo dell’udire e tornate
all’addome. La stessa cosa va fatta per gli altri oggetti dei sensi.
Quando vedete qualcosa, etichettate ‘vedere, vedere’ e quando
sparisce, tornate all’addome. La cosa fondamentale è osservare sempre
l’oggetto predominante in quel momento nel corpo o nella mente.
Possono essere cose diverse per cui si comincia con l’alzarsi ed
abbassarsi dell’addome e poi, se interviene un pensiero, passate al
pensiero, nominatelo e osservatelo per un poco e quando sparisce
tornate all’addome. Lo stesso quando sorge un dolore, un suono, ecc.

Può capitare facilmente che mentre sedete in meditazione sorga un
dolore. Cercate di non cambiare posizione fino a che la seduta non sia
finita, a meno che il dolore non sia insopportabile. In questo caso
cambiate pure la posizione, ma fatelo lentamente e con consapevolezza,
notando e osservando tutti i movimenti che si fanno per cambiare
posizione. C’è un altro aspetto importante sia nella meditazione
seduta e camminata che nelle attività quotidiane: il bersaglio. La
mente deve essere portata e focalizzata sull’oggetto. E questo è un
fattore mentale, vitaka. Un altro fattore mentale è lo sforzo, viriya,
nel senso di spingere la mente verso l’oggetto. Con l’aiuto della mira
e dello sforzo la mente “atterrerà” o raggiungerà l’oggetto e con ciò
potrete stabilire la consapevolezza dell’oggetto, che porterà la mente
a ‘cadere’ dentro all’oggetto e ad attaccarsi ad esso. Quindi questi
fattori di vitaka (mira) e sforzo (viriya), consapevolezza (sati) e
concentrazione (samadhi) sono estremamente importanti per sviluppare
l’intuizione profonda, la saggezza. Se questi fattori sono presenti,
riuscirete a capire correttamente la natura dell’oggetto osservato.

Un altro importante aspetto della pratica meditativa è la continuità
della consapevolezza e ciò significa che l’osservazione cosciente deve
procedere di minuto in minuto, di secondo in secondo, senza
interruzioni e questo non solo durante la meditazione formale, ma
anche mentre si cammina o si fanno le attività quotidiane. In altre
parole il meditatore deve sviluppare una continua consapevolezza dal
momento che si sveglia al momento che si addormenta. Naturalmente
questo non è facile all’inizio di un ritiro, ma praticando sempre più
uno può avvicinarsi molto a questo ideale di una continua
consapevolezza.

Ora vi darò qualche indicazione sulla meditazione camminata.

Tenetevi ben ritti e tenete le mani davanti o dietro la schiena. Gli
occhi vanno tenuti bassi e fissi a circa due o tre metri davanti a
voi. Non si deve guardare a destra o a sinistra. Si scelga un percorso
di una quindicina di metri e quando si arriva alla fine del percorso
notare ‘stare in piedi’ e quando ci si gira per tornare indietro,
notare ‘girarsi, girarsi’.

In questo tipo di meditazione vipassana si fa un’ora di meditazione
seduta seguita da un’ora di meditazione camminata e così per tutta la
giornata. La meditazione camminata a sua volta va divisa in 3 parti di
venti minuti l’una. Nei primi venti minuti si cammina abbastanza
velocemente e si usa tutta la gamba come oggetto d’osservazione,
etichettando ‘destra’, ‘sinistra’ a seconda che sia rispettivamente la
gamba destra o la sinistra e poi si osservano le sensazioni
predominanti nella gamba nominata.

Gli altri 20 minuti si rallenta la camminata e si divide ogni passo in
due parti, cioè l’alzarsi e abbassarsi del piede. L’oggetto di
osservazione non sarà più l’intera gamba ma solo il piede che in quel
momento si alza o si abbassa. Quando il piede si alza, notiamo
‘alzarsi, alzarsi’ e osserviamo tutto il movimento dell’alzarsi
dall’inizio alla fine e cerchiamo di conoscere le sensazioni
predominanti e i vari tipi di movimento nel processo di alzare il
piede. La stessa cosa per l’abbassarsi del piede. Notiamo ‘abbassarsi,
abbassarsi’ e cerchiamo di seguire tutto il processo dell’abbassarsi
incluso il momento in cui il piede tocca terra, dall’inizio alla fine
e cerchiamo di sentire le sensazioni che sorgono in questo processo e
i diversi tipi di movimento.

Negli ultimi venti minuti cercate di andare il più lentamente
possibile; più adagio andate meglio è. Di nuovo usate solo il piede
come oggetto e dividetene il movimento in tre parti, cioè l’alzarsi,
l’avanzare e l’abbassarsi del piede, incluso il momento in cui tocca
terra. Quando alzate il piede notate una o due volte ‘alzarsi,
alzarsi’, quindi tenete l’attenzione sull’intero processo del piede
che si alza e sulle sensazioni che sorgono. Forse vi accorgerete di
diverse sensazioni quali rigidità, pesantezza, leggerezza o il
movimento vi parrà difficile, continuo o discontinuo, ecc. Ci sono
quindi molte cose da osservare. Quando alzate il tallone, per esempio,
che tipo di sensazioni sentite in quella parte del piede? Forse
rilassamento o pressione. E poi quando alzate ancora più il tallone vi
è un cambiamento nell’arco del piede e forse la tensione cresce e
quando si solleva ancora di più questa tensione può arrivare alla
punta del piede. Cercate di essere consapevoli di tutto questo e della
rigidità sulla punta e poi quando si stacca completamente il piede dal
suolo che sensazioni ci sono in quel punto? Quando alzate l’intero
piede verso l’alto vi è pesantezza o rigidità? E’ difficile da
muovere, c’è della resistenza che richiede una certa forza? Queste
sono le cose che vanno osservate Quando avanzate il piede notate
‘avanzare, avanzare’ una o due volte e tenete l’attenzione su questo
movimento dall’inizio alla fine. Scoprirete forse che vi è leggerezza
nel piede, o che questo è caldo o freddo, o che vi sono vibrazioni, o
sensazioni ovattate o che il piede avanza come se scivolasse; forse
osserverete sensazioni piacevoli o spiacevoli e, muovendovi così
lentamente avrete la sensazione di perdere l’equilibrio. Ma altre
volte il movimento è continuo o discontinuo, talvolta sembra che ci
sia una resistenza, talvolta è come se si camminasse tra le nuvole o
talvolta ci si sente spingere da dietro o di fronte all’indietro.

Di nuovo lo stesso quando si abbassa il piede e lo si poggia a terra;
all’inizio notate ‘abbassare, abbassare’ una o due volte e osservate
l’intero processo; cercate di percepirne le sensazioni e i diversi
tipi di movimento. Particolare attenzione va data al momento in cui il
piede poggia per terra, quando il tallone tocca il suolo e poi quando
l’intero piede si adagia sul terreno. Forse sentirete morbidezza o
durezza, ruvidezza o omogeneità. Ci sono moltissime sensazioni da
osservare. Per esempio, man mano che adagiate il piede a terra la
tensione diminuisce, poi vi è il rilassamento di quella tensione e
forse ci sarà una piacevole sensazione nel piede. E nel momento in cui
tutto il peso va sul piede vi sarà forse pressione, irrigidimento e
possiamo osservare come il peso del corpo prema sul piede e crei una
sensazione spiacevole sulle dita del piede. L’attenzione va sempre
tenuta sul piede che si alza, avanza e si abbassa e non su quello che
sta fermo.

Nel corso della meditazione camminata può capitare che la mente
divaghi e quando la mente distratta è molto forte diventa un
impedimento: ciò che potete fare è fermarvi semplicemente e prendere
la mente vagante come oggetto di osservazione, notando ‘divagare,
divagare’ un paio di volte e, se la distrazione cessa, riprendete la
camminata. La stessa cosa si può dire per forti sensazioni che sorgono
nel corpo durante la meditazione camminata. Se vi capita di avere
questo tipo di sensazioni, fermatevi e prendete queste sensazioni come
oggetto di osservazione, notatele e quando cessano riprendete la
camminata.

Sia per la meditazione camminata che per le attività quotidiane vale
la massima: più lentamente vi muovete, più velocemente progredite
nella pratica. Viene dato l’esempio di un ventilatore, di cui vi si
chiede la descrizione. Se il ventilatore gira velocemente vi sarà
difficile osservarne la forma, il tipo di pale, come sono state
fissate, il materiale usato, ecc. Ma quando il ventilatore gira
lentamente vi è tempo per osservarne le caratteristiche e potrete
dire: le pale sono così e così, sono fissate con una angolazione così
e così e il materiale usato è di quel certo tipo. La stessa cosa per
la meditazione: più si va piano più la mente ha la possibilità di
osservare ciò che sta accadendo e vi si aprirà davanti un mondo di
nuove esperienze.

Un altro aspetto importante è il contenimento dei sensi, cioè, anche
se avete occhi per vedere, non guardate in giro, anche se avete
orecchie per udire, non indugiate ad ascoltare i suoni esterni e così
via. Il contenimento degli input sensoriali è molto importante per
approfondire l’osservazione e infatti la distrazione e l’interruzione
della consapevolezza derivano dal prestare attenzione agli input
esterni su cui la mente poi costruisce un’infinità di pensieri e
fantasie. Quando i sensi sono contenuti si sviluppa una grande
concentrazione e si evita che pensieri impuri contaminino la mente.

Parliamo ora delle attività quotidiane Oltre che alla meditazione
camminata e seduta, la consapevolezza va estesa anche alle attività
generali e quindi per mantenerla ininterrotta, questa si estende dal
momento in cui ci svegliamo, ci alziamo dal letto, andiamo al bagno,
ci laviamo la faccia, ci liberiamo gli intestini a tutte le attività
della giornata come aprire e chiudere gli occhi, fare colazione,
pranzo, prendere il té, lavare la biancheria, farsi la doccia e ogni
altra attività. Tutte queste cose vanno fatte nel modo più consapevole
possibile, sempre prendendo nota ed osservando ciò che capita, e
muovendosi molto lentamente.

Non bisogna pensare che le attività quotidiane non siano importanti:
lo sono quanto la meditazione seduta e camminata. Se riuscirete ad
essere consapevoli senza interruzioni in queste tre attività,
otterrete grandi risultati in poco tempo.


COLLOQUI INDIVIDUALI CON IL MAESTRO DI U PANDITA

Il seguente è un discorso di U Pandita che indica come riferire la
propria esperienza nel colloquio con il maestro.

I colloqui sono una parte essenziale della pratica di vipassana e i
praticanti devono essere in grado di riportare chiaramente ciò che
hanno sperimentato durante la meditazione: devono riuscire a
comunicare l’essenza della loro pratica in dieci minuti circa.
Considerate che state riferendo su ciò che scoprite nella ricerca su
voi stessi, cosa che è in pratica la vipassana. Cercate di aderire
alle norme in uso nel mondo scientifico: brevità, accuratezza e
precisione.

Cominciate il colloquio, riferendo subito sui movimenti di alzarsi ed
abbassarsi dell’addome; infatti, seguendo la tradizione di Mahasi
Sayadaw, l’oggetto primario di consapevolezza è il salire e scendere
dell’addome durante la respirazione. Come spiegano le scritture,
l’impatto con i sensi produce continui fenomeni mentali e fisici nel
meditatore. Quando c’è un oggetto da vedere, gli occhi vedono.
L’oggetto visto è un fenomeno fisico mentre la coscienza che vede è un
fenomeno mentale . La stessa cosa per gli odori, i sapori, i suoni.
Questi fenomeni sono fisici e quando la mente li conosce sono anche
fenomeni mentali. Così per tutti i sensi e per i movimenti del corpo,
come piegarsi, stendere il braccio, girare o chinarsi.

Riportate le vostre esperienze in tre fasi: primo, c’è il verificarsi
dell’oggetto e quindi identificate l’accaduto, secondo, riferite come
e se l’avete notato e terzo descrivete che cosa avete conosciuto circa
la natura dell’oggetto. Prendiamo ad esempio l’oggetto principale, il
sollevarsi ed abbassarsi dell’addome: primo, si verifica il movimento
di sollevamento. Nel colloquio riportate quale è l’oggetto che si è
presentato; in questo esempio è il movimento di sollevamento
dell’addome, non l’abbassamento dell’addome o un dolore, ma solo il
sollevamento. A questo punto non dovete fare niente, perché l’oggetto
si verifica da sé. Il secondo punto riguarda l’annotazione
dell’oggetto: dite se l’avete fatto o no, e nel caso lo abbiate
annotato, come avete etichettato l’oggetto. Per esempio, si è
verificato il movimento dell’addome e l’ho etichettato “alzarsi”. La
terza cosa da riportare nel colloquio è che cosa siete riusciti a
conoscere circa l’oggetto e l’andamento delle sensazioni in quel
momento. Proseguendo l’esempio dell’addome, riferite: “Nel
sollevamento ho notato della tensione e poi la tensione è cresciuta
fino a diventare molto forte alla fine del movimento di sollevamento.”

Questo modo di riferire permette al maestro di vedere quanta
consapevolezza riuscite ad applicare nella meditazione. E’ anche un
incitamento per lo yogi: infatti il dover produrre un rapporto, spinge
a mettere bene a fuoco le esperienze. Nella vipassana non è
sufficiente osservare l’oggetto in modo distratto o automatico. Dovete
esercitare una consapevolezza piena, dirigendo l’attenzione
concentrata sull’oggetto con la massima accuratezza, e mantenerla su
di esso in modo da penetrarne la vera natura Ogni fenomeno
psico-fisico ha tre segni: il primo è la caratteristica particolare e
specifica di ogni fenomeno. Gli oggetti fisici hanno le
caratteristiche dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco)
quindi movimento, coesione, durezza, temperatura, ecc. La particolare
caratteristica della mente è la coscienza, quella di phassa è la
percezione e il portare la mente a contatto con un altro fenomeno e
quella di vedana (sensazioni) è la capacità di sentire ciò che capita
come piacevole, spiacevole o neutro.

Il secondo segno dei fenomeni psico-fisici è la sua condizionalità,
cioè il sorgere, perdurare e dissolversi; l’inizio, il mezzo e la
fine.

Il terzo segno è formato dalle tre caratteristiche universali di ogni
fenomeno psico-fisico: anicca o impermanenza, dukkha o sofferenza e
anatta o impersonalità, mancanza di un sé individuale.

Il meditatore comincia con il comprendere le caratteristiche
particolari dei fenomeni (i quattro elementi, la coscienza, il
contatto e le sensazioni). E come si fa per capire la caratteristica o
le proprietà del fenomeno in questione? Osservandolo e notandolo nello
stesso istante in cui sorge. Solo così capiremo la sua specifica
caratteristica e qualità e non altre. Mentre lo yogi inspira l’addome
si alza. Prima dell’inalazione, non c’è sollevamento dell’addome. La
mente deve seguire il movimento dell’addome dall’inizio alla fine.
Solo allora potrà vedere la vera natura di questo movimento. Qual è la
sua vera natura o la sua caratteristica? Inspirando l’aria entra nel
corpo e com’ è l’elemento aria? Ha la caratteristica di tensione e
movimento. Quindi il meditatore vedrà e riuscirà a conoscere la vera
natura del movimento, ma ci riuscirà solo quando osserva e nota il
movimento mentre e quando sorge, continua e finisce. Quando la
concentrazione è matura l’attenzione avverrà simultaneamente con il
sorgere dell’oggetto di meditazione, cioè il salire e scendere
dell’addome.

Ci sono tre componenti fisiche nell’alzarsi dell’addome: la prima è
l’aspetto della forma (in questo caso la forma dell’addome), la
seconda è l’aspetto del modo (l’addome è piatto, in stato di
inspirazione o di espirazione?) e la terza è l’aspetto della
caratteristica o qualità. All’inizio della meditazione si vedono i
primi due aspetti, ma questo vedere non fa parte delle intuizioni di
vipassana; solo con l’aumento della concentrazione, lo yogi andrà
oltre la forma e il modo e vedrà l’aspetto essenziale o realtà ultima
cioè la tensione e il movimento durante il reale alzarsi dell’addome.
Il meditatore dovrà essere preparato a riferire brevemente e
accuratamente tutte queste informazioni durante il colloquio, ma deve
farlo su ciò che ha veramente intuito e sperimentato e non su ciò che
pensa di aver visto.

Tutto questo vale anche per la meditazione camminata. Quando alza il
piede lo yogi dovrebbe riuscire a seguire attentamente il movimento
del piede dall’inizio alla fine; e mentre lo fa che cosa vede
veramente? Vede la forma del piede e il modo in cui si alza? O sente
il piede diventar leggero e sollevarsi o diventar teso e come se
venisse spinto indietro? Lo yogi deve essere in grado di riportare con
precisione tutti questi tre aspetti. Quando il piede avanza, la mente
ne è consapevole e ne prende nota proprio mentre avviene l’avanzarsi
del piede? E che cosa viene visto? Lo yogi vede il piede, il modo in
cui il piede si muove o qualche caratteristica di questo movimento
come, ad esempio, una spinta verso l’indietro o in avanti? La stessa
cosa quando si posa il piede a terra. Si è in grado di seguirne il
movimento progressivamente dall’inizio alla fine? Durante questo
processo che cosa si conosce? La forma del piede, la maniera in cui si
abbassa o la qualità di questo movimento come per esempio leggerezza o
morbidezza? Tutto ciò è visto chiaramente o confusamente? La stessa
cosa per quanto riguarda la consapevolezza e l’annotazione di altri
oggetti dell’attenzione, come il girarsi, il flettere, il muoversi,
l’inclinarsi o abbassarsi il corpo, la postura seduta o sdraiata.
Anche riguardo a questi fenomeni è il meditatore in grado di osservare
e annotare i fenomeni nello stesso momento in cui avviene la
manifestazione? E’ importante che lo yogi limiti il rapporto a un
particolare oggetto di attenzione, che è stato osservato sotto i tre
aspetti sopra menzionati e non che riporti cose vaghe e imprecise. A
dispetto dei vostri sforzi migliori, la mente non sempre è disposta a
rimanere a lungo sull’addome. Può divagare. A questo punto si è
manifestato un nuovo oggetto, la mente che divaga. Come ci si
comporta? si diventa consapevoli del divagare e questa è la prima
fase. La seconda è quella di etichettare “divagare, divagare”. Dopo
quanto tempo ci siamo resi conto della divagazione? Un secondo, due
minuti, mezz’ora? E che cosa succede dopo averlo etichettato? Il
divagare della mente scompare all’istante? oppure la mente continua
nel suo divagare? oppure i pensieri si riducono di intensità e infine
svaniscono? Spunta un nuovo oggetto prima di vedere la sparizione del
vecchio?. Se non siete in grado di osservare la mente che divaga,
dovreste riferire anche questo all’insegnante.

Vorrei di nuovo sottolineare che nell’intervista col maestro, lo yogi
deve riportare ciò che ha veramente visto o non ciò che pensa di aver
visto.

Se la mente vagante scompare tornate all’alzarsi e abbassarsi
dell’addome. Spesso i principianti non sono in grado di vedere i
pensieri; per minimizzare questo inconveniente lo yogi deve mantenere
l’attenzione focalizzata sull’oggetto primario.

Dopo 20 o 30 minuti di meditazione possono sorgere sensazioni fisiche
molto intense con effetti corrispondenti nella mente. Anche queste
sensazioni vanno accuratamente notate e durante l’intervista è bene
spiegarle usando parole semplici come prurito, dolore, solletico.
Bisogna inoltre notare se vanno intensificandosi, diminuendo,
cambiando posto o se spariscono. Anche i fenomeni inerenti al vedere,
udire, gustare, odorare e toccare devono essere notati, conosciuti e
riportati. Quindi visioni, suoni e sapori, caldo e freddo, solidità,
vibrazioni, formicolii, l’infinita processione degli oggetti della
coscienza. Qualunque sia l’oggetto dovete osservarlo nelle sue tre
fasi, come detto sopra.

Poi ci sono i fenomeni come piacere o avversione, torpore o pesantezza
mentale, distrazione, dubbio o chiara comprensione, attenzione,
soddisfazione, tranquillità, serenità, calma, meditazione facile,
pazienza, ansietà, eccetera. Tutto ciò viene raggruppato sotto la voce
“oggetti mentali”.

Supponiamo che sorga una sensazione di piacere nella mente, e che
questo piacere, come spesso accade, sia seguito da attaccamento o
desiderio. Il meditatore dovrà essere in grado di riportare questo
avvenimento. Prendiamo un altro esempio: lo yogi sta sperimentando
sonnolenza, torpore o apatia mentale; quando si hanno questi stati
mentali, è facile che sorga la distrazione, spesso seguita da
confusione e dubbio. Cosa succede quando questo viene notato o
osservato? Quando un oggetto mentale sorge va osservato attentamente e
notato. Per riassumere ci sono quattro oggetti di attenzione nella
meditazione vipassana satipatthana, che è la meditazione di intuizione
profonda attraverso la consapevolezza. Il primo oggetto è il corpo
fisico; il secondo, le sensazioni; il terzo gli atti di coscienza e il
quarto gli oggetti mentali. Inoltre durante la meditazione capitano
tre eventi in ordine successivo: il sorgere del fenomeno,
l’osservazione o notazione del fenomeno, e infine che cosa lo yogi
arriva a vedere e conoscere. Per ogni oggetto di attenzione,
appartenente a una delle quattro categorie spiegate sopra, è
importante che lo yogi ne osservi i tre stadi successivi, uno dopo
l’altro. Il compito dello yogi è di osservare o notare ogni cosa che
sorge.

Tutto questo processo avviene come un’indagine silenziosa, senza porsi
domande o perdersi nei pensieri. L’insegnante deve riuscire a capire
dal vostro rapporto se siete stati consci di ogni oggetto sorto, se
avete avuto l’accuratezza mentale di essere attenti nei suoi confronti
e la perseveranza di osservarlo profondamente. Siate onesti con il
maestro, perché solo un rapporto chiaro e preciso gli consentirà di
valutare la vostra pratica e di apportarvi eventuali correzioni o di
darvi consigli per progredire meglio.






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