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Inserito il - 18/11/2008 : 12:44:22
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Le fondamenta del dharma: le 4 Nobili Verità 2f
La mente custodita
di Corrado Pensa
(seconda parte e fine)
Pertanto non si tratta solo di riconoscere e vedere, si tratta altresì di vedere pienamente e affettuosamente, di comprendere, di non alimentare e di lasciare andare la nostra contrazione.
Tutto questo non è facile, perché l.abitudine al disappunto e al giudizio per il disappunto è molto forte, a tal segno che - se non abbiamo sviluppato l'ottica della pratica -. essi appaiono come un corpo unico, e non due momenti distinti e separati.
Attraverso la pratica abbiamo invece l'opportunità di imparare a distinguere questi due momenti : il disappunto e il giudizio per il disappunto - e di lavorare ciò che è lavorabile, ossia in particolare la reazione giudicante al disappunto. Poco, infatti, possiamo fare sul moto di disappunto una volta arrivato, mentre di più, molto di più, possiamo fare sulla reazione ad esso. Proprio questa infatti costituisce il dukkha più insidioso, giacché ,pensandolo come un tutt'.uno con l'accadimento, ossia con il disappunto, non lo vediamo, bensì, semplicemente, lo subiamo.
È questo un processo molto potente, soprattutto perché molto veloce e abitudinario; ed è per questo che occorre un tirocinio continuo per potersi porre davanti a tutto ciò nel modo giusto. Come dice il Buddha:
"Ciò che è coperto marcisce, ciò che è svelato non marcisce, perciò scoprite ciò che è coperto affinché esso non marcisca. Udána, 5,5. 7"
Inoltre il riconoscimento e la comprensione di dukkha, del disagio, ci rendono più forti. Il che è esattamente l'opposto di ciò che insinua il nostro orgoglio, ossia che il riconoscimento delle nostre debolezze, delle sofferenze, delle ottusità ci rende più deboli, non solo davanti agli altri ma anche davanti a noi stessi. Donde la diffusa strategia di far finta di niente, di negare. Strategia che, in apparenza, sembra la cosa migliore, mentre, invece, lavora attivamente alla nostra debilitazione interiore.
Tra l'altro non vediamo molti dei disagi coperti anche perché essi sono comuni e condivisi: e , secondo una famosa immagine di R. Laing , se è un.intera formazione di aerei a sbagliare rotta chi se ne accorge? È dunque una sorta di cecità comune. E proprio in quanto comune e condivisa, anche tranquillizzante. sotto certi punti di vista. Perché se nessuno cambia . anche se non cambiare significa rimanere nel disagio e nella sofferenza . nessuno in qualche modo metterà in discussione la strada comune e condivisa e quindi nessuno ci chiederà di cambiare.
Cambiare, infatti, fa paura così come veder cambiare: in ultima analisi ciò che fa paura è abbandonare un.abitudine. Perché l'abitudine . appunto in quanto abituale! è tranquillizzante, e ad essa (anche per questo) attribuiamo generalmente un gran valore.
Da questo comune non vedere, da questa cecità collettiva e condivisa deriva forse quello che si legge nei Vangeli:
"Quanto è stretta la porta e angusta la via che porta alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano. Matteo 7,13-14"
Proprio perché bisogna fare i conti con l'opinione comune che si annida anche dentro di noi. Di questa opinionececità comune fanno parte tra l'altro le nostre reazioni a brani di questo genere, reazioni che possono prendere forme opposte tra loro, come ad esempio:"..figurati se io appartengo a quei pochi che prendono la via!., oppure, al contrario: ."...io, abituato a stare sempre nel drappello dei primi, ci starò sicuramente!.."
Eppure non possiamo saperne assolutamente nulla. La cosa che conta è lavorare, il resto è speculazione.
RICONOSCERE LA SOFFERENZA, OVVERO L'IMPORTANZA DEL VEDERE
Metterci in contatto con ciò che è vero, scoprire ciò che è coperto, non solo costituiscono un passo fondamentale ma sono anche un elemento di sollievo, perché rappresentano la garanzia di un lavoro buono, non ingannevole; sono pertanto una promessa di ciò che è contrario al disagio, di ciò che è opposto alla sofferenza, e sono una promessa molto realistica, molto concreta. Si tratta però di .fare pulizia.: cittabhávaná, il nome in lingua páli di meditazione, significa proprio coltivazione della mente-cuore, purificazione della mente-cuore perchè al posto del disagio ci sia agio. Il lavoro di riconoscimento della sofferenza si compie in virtù della quarta nobile verità, ossia in virtù degli strumenti a disposizione, a cominciare dalla meditazione, intesa sia come meditazione formale sia come consapevolezza e osservazione affettuosa nella vita di tutti i giorni.
Attraverso questo lavoro, abbiamo la possibilità di cominciare a riconoscere la sofferenza e le sue cause (attaccamento, avversione, paura, ignoranza), fino a quando ad un certo punto comincia a prendere corpo uno spostamento, una virata: ossia cresce l'interesse per lo strumento, per la lente, per la consapevolezza, cresce l'interesse per il vedere e decresce, invece, l'abituale e ipnotico interesse per i contenuti del vedere.
Quando, all.inizio, in virtù della consapevolezza e del'attenzione, cominciamo a cogliere i nostri contenuti mentali, visivi e uditivi, essi tendono a catturare completamente il nostro interesse.
Ma tale interesse rischia di trasformarsi in una sorta di .coinvolgimento ruminante.; infatti, dopo il lampo di consapevolezza che ci permette di vedere, per esempio, un nodo di paura, l'attenzione spesso decade, la consapevolezza scompare e cominciamo a essere coinvolti (impigliati, si direbbe) nella proliferazione mentale intorno a quel nodo di paura, proliferazione che semplicemente ingrossa il nodo stesso. Se, a questo punto, si conclude che la cosa più importante è ciò che vediamo e non la capacità di vedere, ciò significa che siamo completamente usciti fuori dai binari della pratica. Ma quando il lampo di consapevolezza non si spegne immediatamente, allora cominciamo a renderci conto meglio di questa presenza, di questa dimensione consapevole che placa e schiarisce la mente.
Cosicché l.interesse, gradualmente, si sposta da quello che vediamo e sentiamo alla possibilità (straordinaria, ma data per scontata) di vedere e di sentire. Questo trasferimento di interesse avviene anche in virtù di una salutare stanchezza rispetto alla ripetitività dei nostri contenuti mentali e della nostra abitudine a girarci intorno, raccontandoci le stesse vecchie storie di sempre. Ed è proprio grazie allo strumento della consapevolezza, alla possibilità cioè di vedere, che la stanchezza non si tramuta in amarezza.
Vedere senza giudicare, osservare affettuosamente e tranquillamente i contenuti della nostra mente, sentire quanto la proliferazione intorno ad essi non porti alcun giovamento: questi sono tutti elementi fondamentali perché diminuiscano il desiderio e l'interesse ad alimentare e ingrossare i contenuti del vedere, a vantaggio di un apprezzamento sempre più concreto e reale della capacità stessa di vedere.
.LA MENTE CUSTODITA PORTA GIOIA.
Si tratta di una grande crescita, una crescita fondamentale che, al contrario delle abitudini che sono automatiche e velocissime, si realizza lentamente e gradualmente. Esiste pertanto una disparità: Mára è fulmineo, la crescita è lenta e graduale. Nonostante ciò, la lentezza smette di essere un fardello nel momento in cui ci si rende conto che, di fatto, la crescita avviene. E da ciò deriva e si rinsalda la motivazione che è, per universale consenso, la chiave di volta del lavoro interiore.
In una delle scritture più antiche, il Dhammapada, si legge:
"La mente tremante, in continuo movimento, difficile da proteggere, difficile da tenere a freno, il saggio mette in linea come l.'arciere un dardo"
ossia in linea con la massima salutarità, salvezza, liberazione.
E ancora:
"È difficilmente visibile, è estremamente sottile la mente, vola via a suo piacimento; il saggio, il praticante, la praticante, deve proteggere la mente. La mente custodita porta gioia."
La buona notizia è che c'è la possibilità di una mente custodita, protetta, curata. Perseguire la gioia lasciando la mente allo stato brado è un.illusione, perseguirla con la mente custodita e curata grazie alla pratica è una realtà. La pratica infatti ci aiuta e ci insegna, in particolare e specificamente, a custodire e proteggere la mente-cuore per permetterle di manifestarsi in tutta la sua capacità.
E, a proposito di .capacità.interiore, viene in mente quella affermazione propria della spiritualità cristiana:
"homo capax Dei."
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