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Inserito il - 12/06/2007 : 13:02:48
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<Limiti delle religioni. Verità e senso>
(di Carlo Baroncelli)
Le "religioni" non hanno il monopolio della religione. (R. Panikkar)
Il dialogo tra religioni è oggi inevitabile e necessario. L'incontro/scontro globale tra popoli e culture comporta ovviamente l'incontro/scontro delle rispettive religioni. Questo evento epocale scuote un Occidente, da una parte secolarizzato e disincantato, ammaliato - e al contempo spaventato - dal potere della propria "tecnoscienza".
Dall'altra, lo attraversano fermenti e bisogni che si esprimono in una sorta di rinascita del senso religioso: una religiosità diffusa, spesso stemperata e fortemente sincretica. Completano il quadro l'emergere sempre più prepotente dei fondamentalismi religiosi. La situazione e tale da rendere impossibile immaginarne gli sviluppi ma, accanto ad aspetti negativi, si presenta ricca di aspetti potenzialmente positivi e fecondi.
Oggi più che mai, come ci ricorda Panikkar, sarebbe un grave errore pensare di essere - quand'anche come collettività - autosufficienti.
Atteggiamenti di fronte al dialogo
Può forse essere utile riportare una breve descrizione di quelli che Raimundo Panikkar considera quattro atteggiamenti che è possibile assumere di fronte al problema del dialogo religioso indicandone, nel contempo, alcuni tratti problematici (1).
a) L'esclusivismo (la mia e basta): questo atteggiamento è caratterizzato dal fatto che, poiché un credente che appartiene ad una religione considera la propria religione come unica espressione della verità universale, allora ogni altra affermazione o tradizione religiosa che si ponga in contrasto con la propria viene dichiarata falsa. Difendere la propria religione come assoluta è come difendere i diritti di Dio. Secondo Panikkar, questa posizione porta con sé, oltre all'ovvio pericolo dell'intolleranza e del disprezzo degli altri, anche "l'intrinseca debolezza di assumere una concezione della verità puramente logica" e ingenuamente acritica.
b) L'inclusivismo (la mia abbraccia tutto): constatando l'impossibilità di fatto di rinchiudersi in uno "splendido isolamento" che rifugga un confronto inevitabile, è possibile sostenere la posizione per cui la propria tradizione religiosa include, a livelli differenti, tutto ciò che c'è di vero, ovunque esista. Ovviamente questa forma di universalismo deve evitare di scendere troppo su contenuti specifici per evitare continue contraddizioni. Inoltre, in questa posizione, sono insiti un atteggiamento di superiorità e di paternalismo (nell'avere il privilegio di questo punto di osservazione talmente elevato da poter abbracciare tutto), nonché il rischio di cadere continuamente in contraddizioni logiche nel momento in cui ci dobbiamo confrontare con i "dettagli" delle varie tradizioni.
c) Il parallelismo (tutte verso una stesso fine): in quest'ottica, tutte le religioni, qualunque siano i loro itinerari specifici, corrono parallele tra loro per incontrarsi (con metafora geometrica) soltanto alla fine dei tempi (nell'eschaton). Questa posizione è tollerante, non giudicante, evita il sincretismo, ma (sempre secondo Panikkar) "sembra andare contro l'esperienza storica, la quale mostra che le tradizioni umane e religiose del mondo sono in generale emerse da reciproche interferenze, influenze e fecondazioni". Inoltre ammette la fondamentale autosufficienza delle diverse tradizioni religiose e "divide la comunità umana in compartimenti stagni".
d) L'interpenetrazione (la mia tra le altre): assumendo questa posizione, ci avviciniamo con interesse alle tradizioni "del nostro vicino" e cominciamo a scoprire "quanto l'altro sia implicato in ciascuno di noi e viceversa". Emerge la possibilità che l'altra religione possa essere complementare alla nostra. Le diverse religioni, allora, sono impensabili isolatamente, non esistendo che in relazione le une con le altre. La difficoltà alla quale è esposta questa posizione viene così espressa da Panikkar: "Siamo noi così sicuri di questa interprenetrazione? Tra il Karma e la Provvidenza c'è interpenetrazione o esclusione reciproca? Su quali basi si può stabilirlo?" Malgrado questi aspetti problematici, Panikkar ritiene che quest'ultimo sia l'atteggiamento che più di altri apra prospettive e si presti ad una possibile crescita spirituale dei soggetti in dialogo, in un processo di reciproco arricchimento, considerato che "il fatto religioso ultimo non risiede in una dottrina e neanche in una coscienza di sé individuale".
Una distinzione opportuna
Spesso sentir parlare di dialogo religioso ci rimanda all'idea di un incontro ufficiale tra rappresentanti di diverse religioni oppure alla necessità di studiare le dottrine di altre tradizioni religiose. Questo è ciò che Panikkar chiama dialogo inter-religioso. In questa prospettiva, l'altro è solamente un mio interlocutore dialettico e "il dialogo non oltrepassa i limiti della sociologia".
Il dialogo intra-religioso si colloca ad un livello più profondo del precedente configurandosi come un "dialogo dialogale", caratterizzato dal riconoscimento dell'altro in quanto soggetto, in quanto tu, e non soltanto come non-io. Questa scelta è sicuramente più difficile dolorosa. Implica, infatti, un doppio, inevitabile, riconoscimento: dell'altro in quanto non-io e dei nostri limiti individuali. Questa forma di dialogo ci chiama direttamente in causa, è un dialogo che si svolge dentro la nostra stessa persona e che "le toglie la maschera di personaggio religioso all'interno della sua tradizione". È un dialogo che diventa esso stesso itinerario religioso, con tutto il travaglio e lo smarrimento che ciò comporta. Un dialogo nel quale la ricerca della salvezza personale passa attraverso l'accettazione dell'insegnamento che l'altro può darci. "Si partecipa a questo dialogo non soltanto guardando verso l'alto, o indietro, ma anche orizzontalmente, verso il mondo degli altri uomini". Le due forme di dialogo non si escludono, ovviamente, ma un dialogo interreligioso che voglia dirsi reale non può non accompagnarsi a quello intrareligioso.
Un dialogo autenticamente religioso non è una "conversazione da salotto", mette in conto il "rischio" di una modifica dei nostri orizzonti più profondi e personali. Ed è proprio al livello di queste "profondità" che sarà possibile incontrare effettivamente l'altro: non, quindi, mettendo da parte la mia fede ma proprio a partire da questa potrò incontrare e comprendere il mio interlocutore, la sua altrettanto profonda esperienza religiosa.
Una volta intrapreso questo radicale cammino non sarà più possibile mantenere posizioni di superiorità, opinioni precostituite, non sarà possibile prevedere l'esito, il fine del cammino stesso. L'altro potrà realmente essere incontrato solo "all'incrocio delle strade, fuori dalle mura", né la mia casa, né quella del mio vicino possono divenire luogo d'incontro effettivo. Sarà necessario abbandonare la riva sicura per inoltrarsi in mare aperto: solamente quando ogni traccia di terra scomparirà alla vista, quando sotto di me non vedrò altro che un nero abisso, solo allora potrà avvenire l'incontro, il mutuo riconoscimento, l'arricchimento reciproco.
Solo allora si avrà una vera crescita, (crescita che significa sì continuità e sviluppo, ma anche "trasformazione e rivoluzione"), una nuova spirale andrà ad aggiungersi alle precedenti provocando un ulteriore sviluppo dell'esperienza e della coscienza religiosa.
Un'occasione per l'Occidente
In quest'ottica, pensiamo che oggi i tempi possano essere maturi per avviare un dialogo profondo con le grandi religioni orientali. Questo incontro tra occidente e oriente potrebbe rappresentare un occasione unica di crescita, di rigenerazione e di mutua fecondazione. Oggi che, come ricorda Panikkar, "la tradizione cristiana occidentale sembra essersi svuotata, esaurita, quando tenta di dare al messaggio cristiano una espressione significativa per il nostro tempo" (2), accostarsi a religioni dove "l'illusione è chiamata per nome, senza falsi pudori, e viene estesa a ogni realtà" (3), potrebbe essere un forte stimolo affinché un nuovo cammino venga intrapreso: "il vuoto metafisico dell'occidente potrà incominciare ad articolare nuove domande".
Nelle tradizioni orientali grande importanza è assegnata all'esperienza religiosa personale: ciò potrebbe far riscoprire all'occidente il significato, la forza e la profondità degli insegnamenti dimenticati dei grandi mistici (e penso soprattutto a Meister Eckhart (4)). Potrebbe anche rappresentare un invito ad abbandonare le dinamiche di dominio e di potenza veicolate dalla tecnoscenza per, finalmente, ri-trovarsi, riappacificarsi con la nostra esperienza, con il nostro essere qui-e-ora, parte di un pianeta sofferente. Il filosofo zen giapponese Daisetz T. Suzuki, commentando il contrasto fra l'interpretazione occidentale e quella orientale del mistero del rapporto tra Dio, uomo e natura, ha osservato come nella visione biblica "l'uomo è contro Dio, la natura è contro Dio, e l'uomo e la natura sono l'uno contro l'altra" (5). Nella concezione orientale l'uomo non esiste fuori dalla natura: "la natura è il cuore da cui noi proveniamo e verso il quale tendiamo".
Non si tratta certo di riesumare orientalismi di facciata o cedere al richiamo superficiale delle mode correnti, ma riconoscere che "i grandi problemi religiosi passano e attraversano tutte le grandi religioni e hanno ripercussioni analoghe in tutti gli ambiti religiosi" (6). Per questo Terrin propone l'idea di "dialogo nascosto", un dialogo lontano dai clamori dottrinali, attento invece alle risonanze e agli echi.
Note
1. L'analisi di questi quattro atteggiamenti, così come i concetti di dialogo inter- e intrareligio, sono tratti da Panikkar R., Il dialogo intrareligioso, Cittadella Editrice, Assisi 1988. (Per ragioni di spazio abbiamo omesso i riferimenti delle numerose citazioni, n.d.r). 2. Panikkar R., op. cit., p.145. 3. Terrin A.N., Il respiro religioso dell'oriente. Luoghi d'incontro con il cristianesimo, Dheoniane, Bologna 1997, p.7). 4. Sulla riscoperta della "via mistica" del cristianesimo leggi Watts A., Il Dio invisibile. Cristianesimo e misticismo, Bompiani, Milano 1995 5. Citato in Campbell J., Tra oriente e occidente, Mondadori, Milano 1996, p.80. 6. Terrin A.N., op. cit., p.10
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