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Inserito il - 01/06/2007 : 13:00:02  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Per « reincarnazione » s'intende...

Tratto da un articolo di Claudio Petrolati nella rivista "Luce ed ombra"

Per « reincarnazione » s'intende il passaggio dell'individualità, sopravvissuta alla morte fisica, in un altro corpo, dopo un intervallo più o meno lungo.
La reincarnazione è un archetipo o idea madre, nel senso che essa esprime un'esigenza profonda dell'inconscio di tutta l'umanità. Forse essa è stata suggerita all'uomo primitivo dagli stessi ritmi della natura con i suoi cicli e le sue stagioni e si è espressa poi in numerose figure simboliche come quella dell'araba fenice, uccello mitico che arde per poi rinascere dalle sue ceneri con la freschezza della gioventù. Al tempo stesso la reincarnazione è il sistema religioso più seguito nel mondo, intuita e discussa da pensatori, alcuni dei quali vi hanno visto l'unica ipotesi di sopravvivenza a cui la filosofia possa prestare seriamente attenzione.

Il problema della reincarnazione è da qualche anno anche oggetto d'indagine sperimentale da parte della parapsicologia. Soprattutto uno psichiatra-parapsicologo, l'americano Ian Stevenson docente universitario, ha legato il suo nome a questa ricerca.
La « Virginia Schoo of Medicine », l'università per la quale egli lavora, ha raccolto numerosi casi autentici di apparente reincarnazione, sottoponendoli ad analisi computerizzata per evidenziarne i punti in comune.

Il metodo di ricerca dello Stevenson s'ispira a quello dei grandi pionieri della ricerca psichica relativo ai casi spontanei ed è un chiaro esempio di sperimentazione rigorosa ed ineccepibile.

Lo studio dello Stevenson e di pochi altri parapsicologi si basa su determinate persone che presentano ricordi di un'ipotetica esistenza precedente. Questi ricordi, generalmente, compaiono sotto forma di sogni chiari e ricorrenti, per effetto di ipnosi o di intossicazione di droghe come la dietilamide dell'acido lisergico o LSD, e durante la meditazione. Poiché in questo campo di studi la suggestione e le motivazioni religiose giocano un ruolo decisivo, lo Stevenson ha incentrato la sua ricerca sui bambini, che difficilmente presentano questi condizionamenti e che hanno ricordi spontanei.

Ad esempio un bambino dai due ai quattro anni può comportarsi in modo da far credere che in lui sia rinata una « personalità precedente »: termine ipotetico per definire l'io che rinascerebbe in un altro corpo.
Egli parla di un'altra vita o, se non parla ancora bene, pronuncia parole e compie dei gesti particolarmente significativi a favore della reincarnazione. Qualche bambino ricorda pochi particolari; qualcuno giunge a ricordane settanta.
I riferimenti a una vita precedente s'intensificano fino a cinque-sei anni, periodo in cui il bambino smette di ricordare o non racconta più. Generalmente all'età di Otto anni i riferimenti ad una vita precedente cessano.
Oltre a ricordare, il bambino si comporta come se realmente egli fosse la « personalità precedente »: può comportarsi da adulto, è attratto o respinto dalle cose che in vita la « personalità precedente » amava o respingeva; talvolta pretende di visitare i luo­ghi e le persone già conosciute che lo attraggono fortemente. Spesso il bambino presenta segni e deformità congenite nello stesso punto in cui la « personalità precedente » era stata mortalmente ferita; talvolta soffre semplicemente di una disfunzione interna legata alla sua ipotetica vita precedente.

Il parapsicologo interviene quando il bambino presenta i primi sintomi, per raccogliere informazioni di prima mano. Allo stato attuale lo Stevenson ha raccolto centinaia di testimonianze di questo genere: una casistica di notevole valore. Tutti i casi indagati, sottoposti ad analisi computerizzata, offrono due caratteristiche «universali », perché presenti in tutte le culture studiate:
a) la « personalità precedente » generalmente è morta in modo violento;
b) i ricordi collegati alla morte assumono nel soggetto un'importanza decisiva. Di fronte a questi casi di apparente reincarnazione, la parapsicologia fa generalmente ricorso all'ipotesi della percezione extrasensoriale con « personificazione ».
Il bambino capterebbe, tramite telepatia o retrocognizione, le informazioni relative al de­funto dai suoi amici o parenti e successivamente le drammatizzerebbe come se la persona scomparsa si fosse realmente incarnata in lui.

Questa ipotesi è valida per quegli ambienti in cui si crede nella reincarnazione e in cui il bambino è in contatto con la famiglia dello scomparso; non è applicabile agli altri casi. Sorprende soprattutto il fatto che questi bambini general­mente non sono sensitivi o medium ed hanno questi ricordi paranormali limitatamente a pochi anni della loro fanciullezza, inoltre presentano capacità ed abilità che sembrano superare di gran lunga la facoltà ESP, come il fatto di parlare in una lingue straniera mai studiata. Tuttavia, anche in questi casi l'ipotesi di una reale reincarnazione non può essere considerata conclusiva perché noi ancora non conosciamo totalmente la natura ed i limiti della «psi», o facoltà paranormale.

Analisi di un caso indagato da Jan Stevenson

Tra i casi presentati dallo Stevenson nel suo libro « Reincarnazione, 20 casi a sostegno », ne ho scelto uno in cui il soggetto analizzato presenta ricordi precisi di una « esistenza precedente » ed insieme dei segni congeniti. La vicenda si è svolta tra gli Indiani Tlingit, che abitano la maggior parte dell'Alaska sud orientale e tra i quali è molto diffusa la credenza nella reincarnazione.

Nella primavera del 1946 mori Victor Vincent, un Tlingit puro sangue. Nell'ultimo anno di vita, egli frequentava con molto affetto la casa di sua nipote, la signora Chotkin, figlia della sorella. Durante una delle sue visite, egli le aveva detto queste parole: « Ritornerò come il vostro prossimo figliolo; spero che allora non balbetterò tanto quanto adesso.
Il vostro figliolo avrà queste cicatrici ». Poi sollevò la camicia, mostrando una cicatrice nella schiena: il postumo di un'operazione, come evidenziavano i piccoli fori della cucitura. Egli mostrò inoltre una cicatrice sul naso, dovuta ad un'altra operazione, nel lato destro: anche da questo secondo segno sua nipote avrebbe riconosciuto la sua rinascita.
Parlando ancora del suo ritorno, Victor Vincent disse che si sarebbe trovato bene nella nuova famiglia anche perché era convinto che sua sorella defunta, madre della signora Chotkin, era già rinata come figlia di quest'ultima. Rinascere per lui era dunque un 'occasione per vivere nuovamente con sua sorella.

Diciotto mesi dopo la morte di Victor Vincent, la signora Chotkin diede alla luce nel 1947 un bimbo che ebbe lo stesso nome del padre: Corliss Chotkin junior.
Alla sua nascita questi presentava due segni sul corpo, della forma e nel punto delle cicatrici indicate dallo scomparso Victor Vincent. Il segno sul naso, inizialmente nel punto esatto della cicatrice, tendeva a scendere fino alla narice destra e da rossastro che era appariva leggermente pigmentato e definitivamente depresso. Il segno sul dorso, invece, « . . ha la chiara caratteristica di una cicatrice da operazione.
E' situato nel dorso circa Otto pollici sotto la linea mediana.
E' molto pigmentato ed in rilievo, lungo circa un pollice e largo un quarto di pollice. Lungo i suoi margini si discernono chiaramente parecchi piccoli segni rotondi all'esterno della cicatrice principale. Quattro di essi, su di un lato, assomigliano ai segni lasciati dalla cucitura di un'operazione chirurgica.
Dall'altro lato, l'allineamento è meno definito. Anche questo segno è sceso più in basso ed è diventato più fortemente colorato ». La madre attribuiva questa trasformazione al fatto che il bambino grattava spesso il segno che gli prudeva.

Appena fu in grado di parlare, Corliss junior cominciò a manifestare conoscenze paranormali. Alla madre che gli insegnava pazientemente a ripetere il suo nome, egli rispose con impeto: « Non mi conoscete? Io sono Kahkody ».
Questo era il nome tribale di Victor Vincent, pronunciato dal bimbo con un ottimo accento. All'età di due anni, viaggiando con la madre, riconobbe spontaneamente una figliastra di Victor Vincent, che chiamò col suo vero nome provando un'eccitazione incontenibile. Sempre a due anni riconobbe spontaneamente, e all'insaputa della madre, il figlio di Victor Vincent, gridando:

« Qui c'è William, mio figlio ». All'età di tre anni, riconobbe senza nessuna indicazione la vedova di Victor Vincent, scorgendola tra la folla prima di sua madre, e gridando: « Questa è la vecchia signora ».

In un'altra occasione, il bimbo riconobbe un'amica di Victor Vincent la quale passava casualmente dietro la sua casa mentre egli stava giocando: la chiamò col suo giusto nome, anzi col nomignolo. Sempre nello stesso modo riconobbe altri tre amici di Victor e in una di queste tre circostanze era solo, senza sua madre. La signora Chotkin aggiunse inoltre che il bimbo aveva riconosciuto anche altri amici di Victor Vincent, ma ella non era in grado di riferire i dettagli precisi di questi incontri avvenuti all'età di sei anni.

In altre circostanze Corliss junior narrò due episodi della vita di Victor non appresi per via normale. Descrivendo dettagliatamente un incidente capitato in una canale a Vincent mentre pescava sopra un battello, riferì che questi si era cambiato d'abito, indossando l'uniforme dell'Esercito della Salvezza, per attirare l'attenzione su di sé e farsi così soccorrere poiché il motore si era guastato. Sua madre aveva appreso questo episodio dalla viva voce di Victor Vincent, ma era sicura che il bimbo non lo aveva mai ascoltato né da lei né da suo marito.

Successivamente, mentre il bambino era con sua madre nella casa un tempo abitata da Victor, ricordando di aver già sostato in una stanza, disse all'improvviso: « Quando la vecchia signora ed io vi venivamo a trovare, dormivamo in questa camera da letto ». L'osservazione appariva vera, ma sconcertante, poiché quello stabile, un tempo adibito ad abitazione, veniva impiegato adesso per altri usi ed era impossibile scorgervi una camera da letto.

Oltre a riconoscere luoghi e persone legate a Victor Vincent, il bimbo presentava anche atteggiamenti che ricordavano decisamente il suo modo di comportarsi. Contrariamente a quanto sua madre gli aveva insegnato, si pettinava i capelli in avanti sulla fronte esattamente come Victor Vincent; balbettava in modo accentuato finché perse gradualmente questo disturbo grazie ad una cura adatta; come Victor Vincent, egli era assai religioso e desiderava intensamente frequentare il catechismo; come lui manifestava un'intensa passione per la vita sull'acqua e per le barche a motore, al punto da apprenderne da solo il funzionamento.

Esaminato questo caso di apparente reincarnazione, è interessante seguirne brevemente gli sviluppi, poiché lo Stevenson ebbe modo di incontrare ancora Corliss junior e la sua famiglia sette anni dopo. Il giovane aveva ormai 25 anni. Lo Stevenson conversò a lungo con i genitori, e un po' più brevemente con lui, delle sue cicatrici, dei ricordi e del comportamento in relazione a una vita precedente.

Corliss aveva proseguito gli studi fino all'età di 19 anni, con non molta diligenza e, chiamato nell'esercito, aveva trascorso due anni sotto le armi riportando una grave lesione ad un orecchio per l'esplosione di una granata nemica. Rimasto sordo da quel lato e sensibile ad ogni forma di rumore, era stato assunto dopo il congedo come semi-invalido in una fabbrica di carta.

Sua madre disse che il giovane non parlava spontaneamente della sua vita precedente, anzi ne rideva se il discorso veniva fuori. Tuttavia, egli non rise di ciò in presenza dello Stevenson e dimostrò un serio interesse alla cosa. Disse ché non aveva più ricordi della sua vita precedente: ricordava solo l'episodio della sua infanzia in cui alcune vecchie donne Tlingit lo chiamavano « Kahkody », nome tribale con cui era conosciuto Victor Vincent e che era il suo da piccolo.

Per quanto riguarda l'attuale comportamento in relazione ad una esistenza precedente, fu possibile accertare tre dettagli: il giovane continuava ad avere un notevole interesse per i motori di qualunque tipo; la balbuzie non era totalmente scomparsa, perché persisteva in quei casi in cui egli era eccitato o emozionato. Sua madre sottolineava, comunque, che il difetto del figlio era notevolmente inferiore a quello di Victor Vincent, il quale «balbettava sempre quando parlava ». Il giovane, però, non balbettò mai durante l'ora di dialogo trascorsa con lo Stevenson.

Il profondo sentimento religioso, caratteristico della sua adolescenza si era notevolmente affievolito, probabilmente in seguito al dramma della guerra e dopo un'esperienza negativa con i membri del gruppo religioso locale. Dei due segni congeniti, quello sul naso risultava meno appariscente ed appena visibi­le; quello sul dorso era stato asportato chirurgicamente poiché, grattato in continuazione per il prurito, minacciava un cam­biamento maligno dei tessuti. Nel 1972 lo Stevenson potè vedere le cicatrici dell'operazione perfettamente riuscita.
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