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 La musica nelle teorie del Settecento 1
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Inserito il - 20/12/2006 : 11:44:00  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
La musica nelle teorie del Settecento 1


Piero Giordanetti

Kant e la musica



INTRODUZIONE

Sebbene la teoria musicale della Critica del Giudizio sia stata oggetto di giudizi disparati, vi è consenso generale almeno su di una affermazione: “Kant non capiva assolutamente nulla di musica”. Le motivazioni sono individuate ora in idiosincrasie personali, ora nell'assoluta assenza di rilievo teoretico della sua concezione dell'arte in generale e della musica in particolare. Kant avrebbe attribuito alla musica la posizione inferiore nel sistema delle arti perché essa si limiterebbe a “giocare con le sensazioni”: la musica non è arte bella, ma solo piacevole; il suo paradigma è ben rappresentato dalla musica da tavola in uso nel Settecento. Il razionalismo estetico sfocerebbe, così, in una condanna dell'arte musicale che la sacrificherebbe al procedere meccanico dell'intelletto e alla struttura rigoristica della ragione. Le sue osservazioni sugli effetti fisici della musica sarebbero mere curiosità sull'unico aspetto che al filosofo interessasse veramente. Kant avrebbe dunque elaborato una teoria irrilevante per la storia dell'estetica musicale, ed entro il contesto del suo sistema filosofico le affermazioni sulla musica sarebbero completamente prive di interesse. Analizzata in profondità, la teoria si rivelerebbe disseminata di contraddizioni e priva di qualsiasi coerenza interna. In breve: Kant era in questo ambito “ignorante", non era a conoscenza delle teorie musicali contemporanee, né aveva mai assistito a concerti di grandi maestri. Quando poi ci si chiede quale fosse il motivo di tanto accanimento contro quest’arte sublime, si asserisce che esso risiede nei tratti particolari della personalità del filosofo: elementi personali, individuali e biografici sarebbero il vero motivo del suo atteggiamento teorico. Così si esprimono, per non citare che alcuni esempi, Wieninger, Schueller e Weathertson:



Nell'estetica musicale di Kant rimangono quindi difficoltà essenziali, il cui […] fondamento ultimo […] è la personalità del pensatore stesso, l'assenza in lui della facoltà di una viva intuizione musicale (Wieninger 1929, p. 74).



Kant ha aggiunto alla sua teoria estetica osservazioni psicologiche, sociologiche e moralistiche sulle arti […] Si dice spesso che queste osservazioni rispecchiano l'assenza in Kant di sensibilità estetica. E, di fatto, egli sembra trattare soggetti empirici e psicologici che noi pensiamo non siano propriamente oggetto di studio della filosofia (Schueller 1953, pp. 232-233).



L'analisi kantiana della musica è chiaramente inadeguata. Prende le mosse da un iniziale esame trascendentale e si indirizza verso una concezione della musica fondamentalmente personale e poco plausibile (Weatherston 1996 p. 63).



Questa, in poche righe, l'immagine quasi universalmente accettata. È veramente accettabile questo ritratto?

Le ricerche che qui si presentano si prefiggono di ricostruire fonti e genesi della teoria musicale elaborata dalla Critica del Giudizio. Il capitolo I traccia il quadro delle discussioni nel quale la teoria di Kant si è inserita, riportando alla luce le dottrine note al filosofo. Il capitolo II ricostruisce le diverse fasi dell'estetica musicale kantiana nelle loro linee fondamentali, mettendone in rilievo l'evoluzione. Il capitolo III è incentrato sull'opera pubblicata nel 1790 in prima edizione, nel 1793 e nel 1799 in seconda e terza edizione.


---


Gli studi sulla genesi dell'estetica di Kant non si soffermano in genere sulle fonti della teoria musicale. Otto Wieninger ritiene che una ricerca sulla genesi non possa offrire alcun aiuto per la spiegazione dell'opera matura (Wieninger 1929); non si può quindi accettare la valutazione ottimistica di Nachstheim, secondo la quale “esclusivamente il lavoro di Gustav Wieninger” si sarebbe “sforzato di valorizzare in modo possibilmente esaustivo le fonti” (Nachstheim 1997). Sebbene abbia raccolto un gran numero di affermazioni sparse nei 30 volumi dell'Edizione dell’Accademia, neppure l'edizione curata da Nachtsheim, nel volume Zu Immanuel Kants Musikästhetik del 1997, si può considerare un progresso in questa direzione. In essa sono state ristampate Riflessioni ricavate dai manoscritti postumi sulla chimica e la fisica, ma non si fa alcun cenno agli appunti dalle Lezioni di fisica contenuti nel volume XXIX dell'Edizione dell’Accademia. Benché il curatore noti che le lezioni e i manoscritti postumi possano essere di aiuto per comprendere lo sviluppo della teoria di Kant ed eventualmente per interpretare passi difficili degli scritti a stampa, questa constatazione rimane allo stato di esortazione: l'introduzione non tratta, infatti, né la genesi né le fonti storiche, ma analizza alcuni aspetti della Critica del Giudizio

Utili, a questo proposito, sono invece alcune indicazioni di Richard Grundmann sulle lezioni di antropologia pubblicate nel 1831 da Johann Adam Bergk con lo pseudonimo di Friedrich Christian Starke, di Otto Schlapp nella monografia sulla teoria del genio del 1901, di Erich Adickes nelle note al volume XIV dell'Edizione dell'Accademia, e di Marie Rischmüller nelle annotazioni alla riedizione delle Bemerkungen in den Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen [Annotazioni alle “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”] comparsa nel volume terzo delle Kant-Forschungen.

Benché spesso sia stata espressa la convinzione che le rapide annotazioni di Kant sulla musica rivelino in modo evidente come egli non abbia approfondito la conoscenza degli sviluppi dell'estetica musicale a lui contemporanea, un'analisi dei volumi dell'Edizione dell'Accademia permette di riportare alla luce il confronto con una serie di dottrine che erano patrimonio comune dei teorici della musica nel Settecento. Non si tenterà qui una ricostruzione storica della riflessione filosofica sulla musica, ma si prenderanno in considerazione unicamente quegli autori dalle cui opere si possa dimostrare con certezza che il filosofo di Königsberg ha desunto spunti determinanti; le dottrine non saranno quindi presentate nella loro completezza, ma se ne esaminerà il contenuto esclusivamente riguardo ai temi che saranno affrontati da Kant, approntando così materiale di cui si mostrerà la presenza nella teoria della Critica del Giudizio e nelle fasi della sua genesi.





1. L'organista e l'inconscio



Quali processi sono implicati nell'esecuzione di improvvisazioni all'organo? La domanda è impostata nel secondo libro dello Essay on Human Understanding [Saggio sull'intelletto umano] di John Locke, che considera impossibile stabilire con sicurezza l'esistenza di contenuti oscuri della nostra mente, perché proprio per la loro natura non possiamo sapere che cosa essi siano. L'esecuzione di una melodia non può quindi essere ricondotta a processi o contenuti oscuri dell'intelletto umano, ma deve essere spiegata grazie al principio psicologico dell'associazione d'idee. Sebbene sembri molto probabile che la causa dell'idea delle note e del movimento regolare delle dita del musicista sia il movimento dei suoi spiriti animali, questa determinazione fisiologica non può esserci d'aiuto per comprendere le abitudini intellettuali e i legami fra idee. Si può notare che non appena un musicista richiama alla mente l'inizio di una melodia a lui nota, le idee delle diverse note si presentano al suo intelletto in una successione corretta, benché egli non debba forzare la sua attenzione: le note si succedono l'una all'altra secondo una struttura regolare, e altrettanto si può dire del muoversi delle dita della sua mano sui tasti dell'organo; il principio psicologico dell'associazione delle idee è dunque l'unica spiegazione plausibile in un Saggio sull'intelletto umano (Locke 1690, II, 33, 6, p. 463).

Al contrario di Locke, Leibniz ammette che vi siano rappresentazioni oscure nel profondo della nostra anima. Leibniz attribuisce la percezione della normatività matematica a un calcolo compiuto dall'anima al di sotto della soglia della coscienza; scrive a Christian Goldbach da Hannover, il 17 aprile 1712, che la musica è un'attività aritmetica nascosta svolta dall'animo in uno stato di incoscienza, avvalendosi di percezioni confuse o di cui non si può avere la sensibilità né un'appercezione distinta. Vagano nel buio coloro i quali sono dell'avviso che nell'anima nulla possa verificarsi al di là dei limiti della coscienza. Sebbene non abbia sensazione della propria attività di calcolo aritmetico, l'anima ne avverte l'effetto sotto forma di piacere per le consonanze, di dispiacere per le dissonanze che ne risultano (Leibniz 1738-1742, vol. I, p. 241). Leibniz commenta il § 6 del capitolo XXXIII del libro secondo di Locke nei suoi Nuoveaux Essais sur l'entendement humaine [Nuovi saggi sull'intelletto umano] mettendo in risalto non il ricorso alla legge dell'associazione, ma la fondazione sugli spiriti animali: “§ 6. Le disposizioni e gl'interessi individuali v'hanno pur parte. Certe tracce del frequente processo degli spiriti animali diventano vere vie battute; e, quando si cerca un'arietta, si sa cantarla fino in fondo appena trovatala” (Leibniz 1988, p. 257).



2. Musica e Bildungsvermögen



Nel Settecento la musica è di norma contrapposta alle arti figurative (cfr. ad esempio Meiners 1772, pp. 232-233; d'Alembert 1761, Sulzer 1771-1774); inserendo la musica fra le arti figurative, Schelling presenta la sua partizione come un progetto completamente nuovo, del quale non si trovano tracce nei secoli precedenti; dichiara di voler costruire le tre forme fondamentali dell'arte figurativa, la musica, la pittura e la plastica, che comprende scultura e architettura, e ricorda che, sotto il profilo storico, la musica è sempre stata separata dall'arte figurativa.

Determinante per il discorso kantiano è la contrapposizione fra musica europea e musica orientale; alla prima si attribuirà la facoltà formatrice, la seconda rimarrà, nelle sue Lezioni e nelle sue Riflessioni, in balìa dei sensi. In alcuni resoconti di viaggio settecenteschi si nota come i cinesi si credessero inventori dell'arte musicale; se si dovesse attribuire valore di verità a queste loro pretese si dovrebbe concluderne che la loro musica si sia deteriorata col tempo, perché ora, si constata in quei resoconti, giace in uno stato di imperfezione tale da non meritare nemmeno il nome di musica. La musica europea piace ai cinesi se una voce sola accompagna gli strumenti, ma essi non apprezzano affatto le composizioni più belle e più complesse in cui si realizza un intersecarsi di diverse voci di timbro grave o acuto, né i semitoni, le fughe, le sincopi che appaiono loro solo come un caos disordinato e confuso (cfr. anche Du Halde 1747-1749, vol. 3, pp. 347-348; AHR 1750; Schwabe 1747-1774, vol. 6, pp. 312 sg; AA XXV 77).

Sullo stesso tema, Johann Georg Sulzer, che pubblica fra il 1771 e il 1774 una Allgemeine Theorie der schönen Künste [Teoria generale delle arti belle], afferma che il fatto che i Cinesi non comprendano la musica europea non è sufficiente a dimostrare che essa non abbia principi immutabili (Sulzer 1793, p. 423); la diversità nella valutazione non deriva da un preteso arbitrio del gusto, ma dall'applicazione, propria a ogni popolo, dei principi generali dell'ordine, della simmetria e dell'armonia a casi specifici di composizione musicale (cfr. Sulzer 1793, p. 424).





3. Musica, matematica e fisica



3.1. Intervalli musicali e proporzioni matematiche



Il nesso fra musica e proporzioni matematiche appare sin dall'antichità classica, in Pitagora e in Platone. A prescindere dalle fonti, difficilmente determinabili, della conoscenza kantiana di Pitagora, si può affermare che tre furono i punti i quali richiamarono la sua attenzione su questo autore che avrebbe ripreso la musica dagli Indiani introducendola fra i Greci: l'armonia aritmetica dei rapporti fra i suoni, l'armonia delle leggi della natura e l'armonia delle sfere celesti. Il fondamento della musica è dato dall'aritmetica, da rapporti numerici e dipende da una legge fissa e regolare dalla quale i suoni non possono discostarsi; la natura stessa, il mondo fisico e i corpi celesti sono sottoposti alle leggi di un intelletto che li domina. Pitagora compie così un passaggio dall'armonia della musica all'armonia della natura e dei corpi celesti, ipotizzando l'esistenza di un intelletto divino; l'aritmetica come scienza dei numeri conduce in lui all'idea di un intelletto non sensibile. Anche per Platone la musica riveste una funzione specifica; il decimo libro della Politeia, laddove ravvisa la necessità dell'allontanamento dei poeti dallo Stato ideale, riconosce alla musica una funzione positiva come arte propedeutica alla contemplazione delle idee, in quanto in virtù del suo stretto rapporto con la matematica e con le leggi dell'armonia nobilita l'uomo (si veda Platone, Repubblica 386a - 395b o 398c - 403c; vedi AA XXV, p. 994).

Seguiamo ora la ripresa e lo svolgimento di questo rapporto nella filosofia moderna. Nel Compendium musicae di Descartes sono definiti belli i rapporti che si possono percepire con facilità, mentre quelli che si percepiscono con difficoltà non possono essere considerati tali; sono segnalati i diversi gradi in cui questi rapporti possono essere avvertiti: non nimis difficulter; facilius, facillime, sine labore. Come già abbiamo visto, per Leibniz la percezione della musica è calcolo inconscio; se poi la rilevanza della matematica come forma da opporre alla mera materia è ripresa da Andreas Werckmeister, per il quale “i numeri e le proporzioni danno la forma e il suono è la materia” (Werckmeister 1687, p. 39; Arthur Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922, p. 36), secondo Baumgarten la musica può essere intesa in senso generale come scienza dell'ordine; il concetto di ordine, a sua volta, è strettamente connesso con quello della coordinazione. Nel § 78 della Metaphysica si legge, infatti:



Si multa iuxta vel post se invicem ponuntur, CONIUNGUNTUR*). Coniunctio plurium vel est eadem, vel diversa, § 10, 38. Si prior, est COORDINATIO**), et eius identitas ORDO***). Ordinis scientia olim erat MUSICA LATIUS DICTA. *) verbunden werden. **) zusammenordnen. ***) Ordnung.



L'armonia che si fonda su principi matematici è esaltata da Rameau come il fondamento dell'intera musica e dei sentimenti che ne derivano; la melodia non è se non una conseguenza dell'armonia, dalla quale dunque deriva il piacere che si prova per la musica; i sentimenti che sono mediati dalla musica debbono la loro origine alla semplicità divina della natura stessa, che si può rappresentare esclusivamente come un sistema di leggi rigorose. I principi di Rameau sono ripresi da d'Alembert in uno scritto tradotto in tedesco nel 1757 con il titolo Systematische Einleitung in die Musicalische Setzkunst, nach den Lehrsätzen des Herrn Rameau [Introduzione sistematica all'arte della composizione musicale, secondo i principi del signor Rameau]:



Tutto ciò che si è detto sin qui è, a mio parere, più che sufficiente a convincerci che la melodia ha il suo fondamento nell'armonia e che nell'armonia che è o effettivamente presente o la cui presenza si può presupporre si debbano cercare gli effetti della melodia (d'Alembert 1757, p. 70, § 153).



Un'importanza del tutto particolare rivestono, in una ricerca sulle teorie note a Kant e da lui discusse, le Lettere di Leonhard Euler, matematico, fisico e filosofo svizzero, nato a Basilea nel 1707, morto a San Pietroburgo nel 1783. Fu allievo di E. Bernoulli e insegnò dapprima a San Pietroburgo, per passare nel 1741 a Berlino e ritornare in Russia nel 1766. Numerosi sono i suoi saggi e trattati sulla musica e sull'acustica; in particolare Le lettere a una principessa tedesca, scritte originariamente in francese con il titolo Lettres à une Princesse d'Allemagne sur diverses sujets de Physique et de Philosophie (Petersburg 1768-1772) e subito tradotte in tedesco come Briefe an eine Deutsche Prinzessinn über verschiedene Gegenstände aus der Physik und Philosophie (Leipzig 1769-1773). La traduzione tedesca del primo e del secondo volume comparve nel 1769 con il titolo Briefe an eine deutsche Prinzessin. Nel 1773 fu pubblicato il terzo volume. Euler ammette che le sue ricerche si devono considerare il risultato del giudizio di un uomo che non conosce a fondo l'estetica musicale e che quindi devono essere giudicate con prudenza sotto questo aspetto. Confessa alla principessa del margravio di Schwedt, più tardi contessa di Anhalt-Dessau, il proprio imbarazzo poiché, non comprendendo egli assolutamente nulla di musica, dovrebbe vergognarsi, a suo parere, di osar spiegare ad altri qualcosa su questo tema (Euler 1769, p. 27). Le Lettere prendono spunto dalla domanda relativa al fondamento della sensazione di piacere generato in noi dall'ascolto di una musica bella, confrontandosi con l'opinione che tende a vedervi il risultato della semplice azione dell'immaginazione. Se si assumesse come valida quest'ultima prospettiva, sarebbe coerente non ricondurre la musica ad alcun principio e lasciarla in balìa dei molteplici effetti da essa prodotti. Peraltro, il piacere per un brano musicale non deriva dalle stranezze dell'immaginazione, ma dalla percezione dell'ordine. Se ci chiediamo quale azione possano produrre sull'orecchio due suoni che sono uditi contemporaneamente (Euler 1769, I, p. 14), vogliamo determinare come l'orecchio percepisca i rapporti fra due note e intendiamo indicare il fondamento di questa percezione nei rapporti stessi; questo rapporto fra le note può risultare al senso dell'udito sia piacevole sia spiacevole. A pagina 16 del primo volume delle Lettere nell'edizione del 1769 si legge:



Si può dire che tutte le proporzioni fin qui considerate di 1 a 2, di 1 a 4, di 1 a 8, di 1 a 16, proporzioni che racchiudono sempre la natura di un'ottava semplice, doppia, tripla o quadrupla, traggono la loro origine dal solo numero 2, poiché 4 è due volte due, 8 due volte quattro, e 16 due volte otto. Quindi, ammettendo nella musica il solo numero due, si potrebbero conoscere soltanto quegli accordi o consonanze che i musicisti chiamano ottava, sia essa semplice, doppia o tripla. E poiché il numero 2, moltiplicato sempre per se stesso, fornisce soltanto i numeri 4, 8, 16, 32, 64, dove ciascuno è sempre doppio del precedente, tutti gli altri numeri ci rimangono ancora sconosciuti. Ma se uno strumento avesse solo ottave, come appunto i suoni indicati con C, c, c, c, c, e tutti gli altri ne fossero esclusi, la musica che esso produrrebbe non sarebbe affatto piacevole a causa della sua eccessiva semplicità. Introduciamo dunque, oltre il numero 2, ancora il numero 3, e vediamo quali accordi e quali altre consonanze ne risulteranno. Anzitutto la proporzione di 1 a 3 ci rappresenta due suoni, di cui l'uno ci dà, per uno stesso tempo, un numero di vibrazioni 3 volte maggiore dell'altro. Questa proporzione è senza dubbio la più facile a comprendere dopo quella di 1 a 2, e capace quindi di fornirci consonanze bellissime, di natura però completamente diversa da quella delle ottave (Euler 1769-1773, vol. I, p. 16; Eulero 1958, p. 18).



La quinta Lettera, Sull'unisono e sulle ottave, si esprime in questi termini:



Ora Vostra Altezza comprenderà facilmente che quanto più una proporzione è semplice o espressa con piccoli numeri, più essa si presenta distintamente all'intelletto, suscitandovi un sentimento di piacere (Eulero 1958, p. 15; Euler 1769, I, p. 14).



Questo principio generale è valido anche per l'architettura, che ricorre a proporzioni matematiche semplici perché suscitano piacere nell'intelletto.



Anche gli architetti osservano con la massima cura questa regola, impiegando ovunque nelle loro costruzioni proporzioni tanto semplici quanto lo permettono le altre circostanze. Essi fanno di solito le porte e le finestre il doppio più alte che larghe, e ovunque cercano di attuare proporzioni esprimibili in piccoli numeri, perché questo piace all'intelletto (Eulero 1958, p. 16).



Per il medesimo motivo le proporzioni semplici sono utilizzate nella musica.



Lo stesso accade per la musica, dove gli accordi piacciono solo quando lo spirito riesce a scoprirvi la proporzione sussistente fra i vari suoni, e tanto più facilmente riesce a coglierla quanto più essa è espressa con piccoli numeri (Euler 1769, I, p. 14; Eulero 1958, p. 16).



Le condizioni che rendono possibile il piacere risiedono nel concetto dell'ordine che, a sua volta, risulta comprensibile sulla base di due elementi: l'armonia e la misura. L'armonia fra i suoni deriva dalle loro differenze, in quanto essi sono bassi o alti, gravi o acuti e questa differenza è data dal numero di vibrazioni che ciascun suono manda in uno stesso tratto di tempo (cfr. Eulero 1958, p. 26). La differenza fra la velocità delle vibrazioni dei diversi suoni è ciò che propriamente si chiama armonia, la quale si produce quando, nell'ascoltare una musica, si comprendono i rapporti o le proporzioni che le vibrazioni di tutti i suoni hanno fra loro. Ma, oltre l'armonia, la musica ha in sé ancora un altro genere di ordine: la misura, per la quale si assegna a ciascun suono una certa durata; la percezione della misura equivale alla conoscenza della durata di tutti i suoni e delle proporzioni che ne nascono e stabilisce se un suono dura 2,3,4 volte più di un altro (cfr. Eulero 1958, pp. 26-27). Una musica perfetta richiede quindi due condizioni: l'armonia e la misura. Nel suono del tamburo e del timballo domina la misura, nell'assenza completa dell'armonia, in una musica in cui tutti i suoni sono eguali tra loro. Vi è però anche un tipo di musica, il corale, nel quale regna sovrana l'armonia ed è assente la misura, poiché tutte le note hanno la medesima durata.

Definita la natura matematica dei rapporti numerici fra le vibrazioni che costituiscono i suoni e dopo aver spiegato come questi rapporti siano percepiti dall'orecchio, l'Ottava lettera elabora un'autonoma teoria del piacere. Inserendosi nella tradizione che prende avvio da Pitagora, Euler afferma che i rapporti matematici semplici relativi al numero di vibrazioni prodotte dagli strumenti musicali nell'aria formano il correlato oggettivo e la base del piacere; il dispiacere è, al contrario, il risultato della percezione di rapporti complessi. Il piacere coincide con la percezione dell'ordine e quindi con l'armonia e la misura, ma esse non sono sufficienti; il piacere nasce anche dalla capacità dell'ascoltatore di indovinare le intenzioni e i sentimenti del compositore, la cui esecuzione, in quanto la si giudica riuscita, riempie lo spirito di una piacevole soddisfazione (Euler 1769, I, p. 27; Eulero 1958, p. 28). L'elemento matematico e l'attenzione al piano del compositore sono entrambi oggetti dell'intelletto: tutta la teoria della musica di Euler è caratterizzata, del resto, dal primato dell'intelletto sulla sensibilità. Nell'Ottava lettera la spiegazione dell'origine del piacere è integrata dall'osservazione che armonia e misura, che si fondano su proporzioni matematiche, non sono sufficienti a dare origine al piacere: una musica che consistesse solo di ottave non susciterebbe in noi piacere con la semplice rappresentazione dell'elemento matematico. Euler rifiuta le teorie che attribuiscono la fonte del piacere non alla semplicità dei rapporti matematici ma a rappresentazioni che richiedano uno sforzo; se infatti una dissonanza è l'esempio di un tipo di rappresentazione che può essere compresa solo con difficoltà e sforzo, una serie di dissonanze non ci piacerà mai di per sé. E, poiché né una serie di consonanze, né una serie di sole dissonanze possono dare origine al piacere, sarà allora necessaria a questo scopo una combinazione fra la rappresentazione dell'elemento matematico e la conoscenza del piano e dell'intenzione del musicista. Anche a questo proposito Euler ribadisce l'importanza dell'intelletto e dell'elemento matematico: la dissonanza è un rapporto fra note espresso da numeri complessi che risulta difficilmente percepibile dall'animo, ma trae la sua legittimazione dal piano e dall'intenzione del compositore (cfr. Euler 1769, p. 19).

La concezione di Euler è presente in Johann Peter Eberhard, autore di un testo di fisica che Kant adotterà per un certo periodo per le sue lezioni; una distinzione evidente delle vibrazioni di due corde che suonano armonicamente genera piacere in seguito all'armonia stessa, mentre il dispiacere originato dal rapporto fra due note si può spiegare come la conseguenza di una distinzione non evidente; nel primo caso si ha a che fare con consonanze, nel secondo con dissonanze. Eberhard polemizza con Leibniz: la teoria del calcolo inconscio non può essere suffragata dall'esperienza; che l'anima conti le vibrazioni e le confronti poi l'una con l'altra è assolutamente inverosimile; vi possono infatti essere uomini che non sono capaci di contare e che però sono in grado di percepire l'evidenza dei rapporti fra le vibrazioni. Come in Euler, anche in Eberhard il calcolo inconscio è sostituito dalla percezione dell'evidenza.



Se si possono distinguere con evidenza le vibrazioni di due corde che suonano contemporaneamente si ha la sensazione di un piacere e il timbro [Klang] delle corde diviene piacevole. Se però non si possono distinguere tra loro le vibrazioni il timbro è sgradevole. Le note che causano sensazioni piacevoli quando le si ascolta contemporaneamente sono chiamate consonanze, le altre dissonanze. La spiegazione che abbiamo appena dato è nettamente più verosimile di quella che propone Leibniz. Leibniz crede che l'anima conti le vibrazioni e le compari poi l'una con l'altra. Ciò non è però verosimile. Come potrebbe altrimenti un uomo che non è in grado di contare distinguere le note armoniche da quelle disarmoniche? La spiegazione che abbiamo addotto ha invece il suo fondamento nell'esperienza universale che tutto ciò che è evidente causa in noi piacere mentre ciò che non è evidente causa dispiacere (cfr. Eberhard 1759, pp. 286-287).



La teoria di Euler è esposta fedelmente nel Großes Vollständiges Universal-Lexikon aller Wissenschaften und Künste [Grande lessico universale completo di tutte le scienze ed arti] edito a Leipzig fra il 1731 e il 1750 in 64 volumi da Johann Heinrich Zedler, cui seguirono fino al 1754 quattro volumi di supplementi. I suoni possono trovarsi in un rapporto di contiguità temporale oppure di successione; simultaneità e successione rendono possibile l'ordine poiché, grazie ad essi, si distinguono sia suoni gravi da suoni acuti sia la durata di entrambi. L'ordine è una connessione delle parti secondo una certa regola e colui il quale ha la facoltà di cogliere questa regola è in grado al tempo stesso di provare piacere. La piacevolezza dell'arte musicale non può sorgere se non dalla percezione di rapporti costanti fra grandezze così diverse tra loro. Percepiamo il rapporto fra due suoni quando sentiamo il rapporto fra i numeri delle vibrazioni che si verificano contemporaneamente e percepiamo che un suono compie tre vibrazioni nel medesimo tempo in cui un altro suono ne compie due; riconosciamo il loro rapporto e quindi anche il loro ordine, in quanto percepiamo che sono fra loro in una relazione costante di 3 a 2; ricaviamo piacere, inoltre, dai rapporti relativi alla diversa durata dei suoni (cfr. Zedler 1745, 44. Band, Sp. 1190-1191).

Kant intrattiene per un lungo periodo uno scambio epistolare con Markus Herz, autore nelle “Königsbergsche Gelehrte und Politische Zeitungen” del 1769 di una recensione alle Lettere di Euler. Nelle Betrachtungen über die spekulative Weltweisheit [Considerazioni dal punto di vista della filosofia speculativa], pubblicate a Königsberg nel 1771, muovendo dalla convinzione che la rappresentazione di un oggetto sensibile sia sottoposta alle forme dello spazio e del tempo e coincida con l'idea di una localizzazione spazio-temporale, Herz sostiene che, analogamente, la rappresentazione di un edificio o di una musica non è possibile senza assumere leggi universali della bellezza. Negare la bellezza ad un edificio o a una melodia conformi a leggi è altrettanto impossibile quanto è assurdo rappresentarsi un oggetto sensibile senza pensarlo in qualche luogo e in qualche tempo (trad. it. Herz 2000, pp. 307-308, qui p. 308). La causa della grande diversità dei giudizi sui singoli oggetti del bello risiede solo nel fatto che le loro determinate impressioni, e dunque anche il loro rapporto con le leggi generali, vengono avvertite in modo diverso dai singoli individui. Così Herz sottopone a critica le teorie che, ponendo sullo stesso piano il senso dell'udito, il tatto e l'olfatto, ritengono che tutti i sensi siano esatti; e polemizza con la Lettre sur la sculpture, à Mons. Theod. de Smeth di Hemsterhuis il quale sostiene che la bellezza non è realmente negli oggetti dal momento che tanto il piacere per una forma bella quanto il dispiacere per una forma brutta svaniscono gradualmente quando li contempliamo a lungo (Herz 1771, p. 22 nota). I sensi sono contraddistinti da arbitrarietà e casualità; se si accettassero le conclusioni di Hemsterhuis, nota Herz, colui che dà a conoscere il suo dispiacimento circa la più grande simmetria in un edificio o la più regolare armonia in una melodia non sarebbe meno corretto nella sua pretesa di quello la cui sensazione tattile o olfattiva non concorda con il giudizio che altri formulano sugli oggetti di questi sensi (Herz 1771, trad. it. Herz 2000, p. 307).

Anche nella Untersuchung über den Ursprung der angenehmen und unangenehmen Empfindungen [Ricerca sull'origine delle sensazioni piacevoli e spiacevoli] del 1773 di Johann Georg Sulzer la presenza di Euler è determinante; la definizione della perfetta armonia come vibrazione contemporanea di quattro corde, che si possono chiamare “unisono”, “terza maggiore”, “quinta”, e “ottava” lascia trasparire la conoscenza del Tentamen novae Theoriae musicae, espressamente nominato. Sulzer segue però, nell'applicazione di questa teoria, la differenziazione fra spirito e senso in base ai gradi dell'evidenza di provenienza leibniziana: i sensi percepiscono l'armonia come unità e successione di oscillazioni e questa percezione dà luogo al piacere per la musica. L'armonia è qui, peraltro, oggetto di una percezione oscura; solo in base a calcoli che determinano il rapporto della velocità in conseguenza delle vibrazioni di un certo numero di corde si può comprendere con lo spirito la bellezza dell'armonia; e ciò che piace all'anima nella rappresentazione oscura dei sensi le piace anche quando lo si può esporre allo spirito in modo evidente. Da questa rappresentazione nasce nello spirito una sensazione piacevole il cui oggetto è la bellezza; l'origine del piacere è sempre la perfezione ed è indifferente se essa riguardi la conoscenza sensibile o la conoscenza intellettuale (cfr. Sulzer 1773, pp. 1-99).

Sulzer passa poi a considerare sia gli oggetti che sono belli per i sensi sia gli oggetti che sono rappresentati all'intelletto da concetti evidenti; fra i primi pone l'armonia, che si colloca sul medesimo piano dei colori e della loro struttura, e i rapporti numerici dai quali essa risulta. La piacevolezza delle sensazioni complesse deriva dal fatto che le diverse serie di impressioni istantanee da cui è formata l'intera sensazione giungono a dar luogo a un intero dotato di regolarità; la loro spiacevolezza, invece, è una conseguenza del fatto che le impressioni istantanee non generano un intero dotato di regolarità. Facendo riferimento al § 13 del capitolo I del Tentamen novae theoriae musicae di Euler, l'articolo “Klang” della Teoria generale delle arti belle afferma che si può dimostrare, ricorrendo alla matematica, che ogni intervallo può essere espresso dal rapporto fra le velocità delle vibrazioni in numeri; 1:2 indica l'ottava; 2:3 designa la quinta. Sulzer riconosce nelle formule algebriche l'esempio di una bellezza puramente intellettuale la cui origine risiede in particolari proprietà dei numeri; la bellezza di un teorema, ad esempio il teorema di Newton sull'elevazione di una radice a una qualsivoglia potenza, nasce dall'avvertire un'unità nella molteplicità ed è tanto maggiore quanto maggiore è la molteplicità (cfr. Sulzer 1771-74, Articolo “Klang”, p. 33).

Nell'undicesimo dei Briefe über die Empfindungen [Lettere sulle sensazioni] del 1771, Mendelssohn concepisce la bellezza sensibile come un'unità del molteplice la quale presuppone la limitatezza della facoltà dell'anima: il molteplice suscita piacere solo in quanto sia ricondotto all'unità e sia in tal modo facile percepirlo; un molteplice che non si fondasse su alcuna unità avrebbe come conseguenza un sentimento di dispiacere. Esempi di bellezza sensibile sono dati sia dall'architettura sia dalla musica: il progetto di un edificio può essere chiamato bello solo se la simmetria fra le parti e la loro varietà possono essere comprese facilmente (cfr. JA, I, p. 58); proprio per questo motivo il gusto gotico non deve essere condiviso, perché la molteplicità non vi si lascia ricondurre a una corrispondente unità. Anche i rapporti fra le vibrazioni dei suoni rientrano nella bellezza sensibile e ne sono anzi fonte. “I rapporti semplici fra le vibrazioni: una sorgente della bellezza!” (cfr. JA, I, p. 85), scrive Mendelssohn, che sembra riferirsi a Euler, quando nota:



Quale sia il significato dei rapporti semplici fra le vibrazioni, lo comprenderà facilmente chiunque; perché è noto che due corde danno luogo a una consonanza se sono in una tensione reciproca derivante da un rapporto semplice; ovvero, se il numero delle vibrazioni dell'una si trova in uno stesso momento di tempo in un rapporto di 1:2, 2:3, 3:5 o anche 5:8 con il numero delle vibrazioni dell'altra. Le vibrazioni delle dissonanze stanno invece in un rapporto di 8:9, 8:15, 45:64, e simili (JA, I, p. 115).



E ancora ad Euler si riferisce implicitamente Mendelssohn quando soggiunge che il piacere dell'anima per la composizione deriva anche dalla possibilità di prevedere certe conseguenze, di avere aspettative e di essere confermati e soddisfatti dal loro sviluppo. Nulla è più piacevole dell'assistere alla soluzione dei problemi, cosa che contribuisce alla bellezza perché le facoltà dello spirito possono essere in tal modo occupate senza incontrare difficoltà (JA, I, p. 315).

Si rivela anche interessante, in relazione alla genesi della teoria di Kant, la seconda parte dello scritto di Mendelssohn Phädon, oder über die Unsterblichkeit der Seele [Fedone o sull'immortalità dell'anima]: la musica e l'architettura sono strutture ordinate derivante l'una dalla coordinazione di molteplici note, l'altra dalla coordinazione di numerose pietre; i singoli componenti sono parti prive di vero ordine e vera simmetria; armonia e simmetria riguardano solo l'intero. Sebbene nessun singolo suono sia dotato di armonia e nessuna singola pietra possieda simmetria né regolarità, l'intero cui essi danno luogo può rivelare queste caratteristiche. Sorge però il problema di chiarire come sia possibile che un intero armonico derivi da parti disarmoniche e che parti che non sono dotate di regolarità possano dar luogo a una totalità dotata di regolarità. L'armonia nella musica e la simmetria nell'architettura sono, in base alle definizioni che ne abbiamo dato, il rapporto fra diverse impressioni; non possono, dunque, essere pensate se non a partire dalla comparazione e dall'unificazione di singole impressioni. Armonia e proporzione si identificano, quindi, con questo rapporto fra le note o le pietre isolate, e il loro fondamento ultimo si trova nell'attività della facoltà di pensare. Ordinamento, simmetria, armonia, regolarità e, in generale, tutti quei rapporti che richiedono un'unificazione o un rapporto di reciproco ordine del molteplice sono effetti della facoltà di pensare. Né le singole note, né l'armonia sono esempi di un ordine già esistente in natura; esse danno luogo a un concerto armonico solo grazie all'intervento della facoltà di pensare dell'anima. L'argomentazione di Mendelssohn, che non assegna alle singole sensazioni alcun significato autonomo, ma riconduce la loro unificazione in una totalità all'attività dell'anima, si inserisce dunque nella tradizione platonica. Tradizione che viene ripresa anche da Francis Hutcheson nella Ricerca sull'origine delle nostre idee di bellezza e di virtù, in un contesto teorico peraltro diverso da quello elaborato da Mendelssohn. Le strutture matematiche regolari operano immediatamente sul senso interno, indipendentemente dall'intervento della mente; il senso interno anticipa l'intelletto in quanto percepisce tutte le idee fra le quali sussistono regolarità; queste ultime sono già presenti implicitamente nella mente e riguardano le configurazioni di idee esistenti. L'origine del piacere per l'armonia consiste in una uniformità, ma nelle migliori composizioni all'uniformità si accompagna la varietà che è data dall'intervento delle dissonanze. Il piacere sorge quindi dall'uniformità nella varietà; questa genesi non prevede l'intervento della riflessione, né della conoscenza, ma solo quello di una sensazione piacevole (si veda A. Lupoli, Introduzione a Hutcheson 2000, p. 39).



Quando le varie vibrazioni di una nota coincidono in maniera regolare con le vibrazioni di un'altra danno luogo a una composizione gradevole, e tali note prendono il nome di accordi. Così le vibrazioni di ogni nota coincidono nel tempo con due vibrazioni della sua ottava, e due vibrazioni di ogni nota coincidono con tre della sua quinta; e così via per gli accordi restanti.


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