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 La realtà dell'impermanenza
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Inserito il - 31/05/2006 : 11:01:29  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
La realtà dell'impermanenza


(a cura del Vipassana Research Institute)


Ogni cosa esistente è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Dhammapada, XX (277)


Per spiegare in maniera più ampia e dettagliata l'importante concetto di
'anicca', l'impermanenza, proponiamo questo articolo redatto dal Vipassana
Research Institute.

--------------

-Anicca, l'impermanenza -

Il cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica. Non vi è nulla nel
campo animato o inanimato, organico o inorganico che possiamo definire
permanente, e anche se dessimo questa denominazione a qualcosa,
inevitabilmente essa sarebbe destinata a cambiare, a sottoporsi a qualche
metamorfosi. Avendo compreso questo fatto fondamentale attraverso
l'esperienza diretta all'interno di se stesso, il Buddha dichiarò:

"Sia che nel mondo ci sia o no una persona completamente illuminata,
tuttavia rimane una condizione ferma, un fatto immutabile e una legge
fissata: tutte le formazioni fisiche e mentali sono impermanenti, soggette
alla sofferenza e prive di sostanza.

Anicca (impermanenza), dukkha (sofferenza) e anatta (inconsistenza dell'io)
sono le tre caratteristiche comuni ad ogni esistenza cosciente. Tra queste,
la più importante nella pratica di Vipassana è anicca.

Come meditatori ci troviamo ad affrontare l'impermanenza di noi stessi. Ciò
ci permette di comprendere che non abbiamo alcun controllo su questo
fenomeno, e che ogni tentativo di manipolarlo non ci crea altro che
sofferenza. Impariamo quindi a sviluppare il distacco e l'accettazione di
questo fatto, l'apertura al cambiamento, permettendoci così di vivere
felicemente tra le vicissitudini della vita.

Perciò il Buddha disse:

"Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente
la percezione della inconsistenza e mancanza di un io. E in chi percepisce
questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene
la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca
conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha, chiunque
realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori
dalla sofferenza."

Data la cruciale importanza di 'anicca' non sorprende che il Buddha ne
sottolineasse ripetutamente l'importante significato per coloro che cercano
la liberazione. Nel Maha-Satjpatthana Suttanta, il testo principale in cui
viene spiegata la meditazione Vipassana, egli descrisse i differenti stadi
della pratica, che devono in ogni caso condurre alla seguente esperienza:

Il meditatore si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere... si
sofferma ad osservare il fenomeno del passare... si sofferma ad osservare il
fenomeno del sorgere e passare.

Dobbiamo saper riconoscere il fatto dell'impermanenza non solamente nel suo
aspetto facilmente riconoscibile, intorno e all'interno di noi stessi. Oltre
a ciò, dobbiamo imparare a vedere la realtà sottile che noi stessi stiamo
cambiando ogni momento, che l'io di cui siamo così infatuati è un fenomeno
in flusso costante, in continuo cambiamento. Con questa esperienza possiamo
facilmente emergere dall'egoismo e così dalla sofferenza.

In altre circostanze il Buddha disse:

"L'occhio, o meditatori, è impermanente. E ciò che è impermanente è
insoddisfacente. Ciò che è insoddisfacente è senza sostanza. E ciò che è
senza sostanza non è "mio", non è "io", non è "me stesso". Ecco come
osservare l'occhio con saggezza, come è realmente."

La stessa cosa si ripete per l'orecchio, il naso, la lingua, il corpo, per
tutte le basi dell'esperienza sensoriale, per ogni aspetto dell'essere
umano.

Il Buddha così continuò:

"Vedendo ciò, o meditatori, il meditatore bene istruito ne ha abbastanza
dell'occhio, dell'orecchio, del naso, della lingua, del corpo, e della
mente. Essendo ormai sazio non prova più la passione per essi. Essendo senza
passione per questi sensi, si sente libero. In questa libertà nasce la
comprensione di essere liberato."

In questo passaggio il Buddha fa una netta distinzione tra il conoscere per
sentito dire e la personale comprensione dovuta all'esperienza diretta. Si
possono ascoltare numerosi discorsi e accettarli per fede, o anche
intellettualmente. Comunque, questa accettazione è insufficiente per
liberarci dal ciclo della sofferenza. Per ottenere la liberazione ognuno
deve vedere e sperimentare la verità da solo, all'interno di se stesso. Ecco
ciò che Vipassana ci permette di fare.

Se vogliamo capire l'eccezionale contributo del Buddha, dobbiamo mantenere
questa distinzione bene in mente. Le verità di cui egli parlava erano
conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi.
Egli non inventò i concetti dell'impermanenza, della sofferenza e
dell'inconsistenza dell'io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver
trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta
esperienza della verità.

Un testo in cui ritroviamo l'attenzione per questo particolare aspetto
dell'insegnamento del Buddha è il Bahiya Sutta, che si trova nel gruppo di
discorsi del Samyutta Nikaya. In esso viene descritto l'incontro del Buddha
con Bahiya, un ricercatore del cammino spirituale. Nonostante non fosse un
discepolo del Buddha, Bahiya gli chiese di essergli da guida per la sua
ricerca. I1 Buddha rispose ponendogli delle domande:

Che cosa ne pensi, Bahiya: è l'occhio permanente o impermanente?

Impermanente, signore.

E ciò che è impermanente è causa di sofferenza o di felicità?

Di sofferenza, signore.

Ora, ti sembra giusto considerare ciò che è impermanente, causa di
sofferenza e per natura mutevole, come "mio", "io"," me stesso"?

Certamente no, signore.

Il Buddha continuò a fare le stesse domande a Bahiya sugli oggetti della
vista, la coscienza dell'occhio e il contatto dell'occhio. L'uomo era sempre
d'accordo: essi sono impermanenti, insoddisfacenti, senza un "io".

Non si dichiarava un seguace dell'insegnamento del Buddha, e tuttavia
accettava la realtà di anicca, dukkha, e anatta. Naturalmente la spiegazione
è che per Bahiya e altri come lui, i concetti dell'impermanenza, della
sofferenza e della inconsistenza dell'io erano semplicemente delle opinioni.

A queste persone il Buddha mostrò una via per andare al di là di credenze e
filosofie, e fare esperienza diretta della loro natura come impermanente,
come sofferente e senza un Io.

In che cosa consiste, quindi, questa via che egli ha mostrato?

Nel 'Brahamajala Suttanta', un altro discorso, il Buddha offre una risposta.
Fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo
tempo, e quindi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti
di vista:

"Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare
delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse, il pericolo insito in esse e
il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o meditatori, è diventato distaccato e
liberato.

Qui il Buddha molto semplicemente dichiara che è diventato illuminato
osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. E
invita chiunque voglia seguire l'insegnamento del Buddha a fare altrettanto.
L'impermanenza è il fatto centrale che dobbiamo comprendere per uscire dalla
nostra sofferenza; e la via immediata per fare esperienza dell'impermanenza
è osservare le nostre sensazioni fisiche, corporee. Di nuovo il Buddha
disse:

Ci sono tre tipi di sensazioni, o meditatori, e tutte sono impermanenti,
composte, e sorgono per una causa, destinate a non durare, e per natura a
passare, scomparire, cessare.

Le sensazioni all'interno di noi stessi sono la più palpabile espressione
della caratteristica di anicca, l'impermanenza. Osservandole, diventiamo
capaci di accettare questa realtà, non solamente per fede o per convinzione
intellettuale, ma per nostra esperienza diretta. In questo modo progrediamo
dall'ascoltare solamente la verità allo sperimentarla all'interno di noi
stessi. E la verità, quando la incontriamo faccia a faccia, è destinata a
trasformarci radicalmente.

Così il Buddha disse:

"Quando un meditatore resta consapevole con corretta comprensione,
diligente, ardente, e con pieno autocontrollo, quando piacevoli sensazioni
fisiche sorgono nel suo corpo, egli allora comprende che è sorta questa
piacevole sensazione corporea, ma è dipendente da una causa, non è
indipendente. Dipendente da cosa? Da questo corpo. Ma questo corpo è
impermanente, composto, condizionato. Ora, come potrebbero queste piacevoli
sensazioni fisiche essere permanenti dal momento che dipendono da questo
corpo composto e impermanente, e che è esso stesso condizionato?"

Il meditatore fa esperienza dell'impermanenza delle sensazioni nel corpo,
del loro sorgere, del loro passare, del loro cessare, e quindi del diminuire
dell'attaccamento a esse. Mentre fa ciò, il suo sotterraneo condizionamento
di bramosia viene abbandonato. Allo stesso modo, quando prova sensazioni
spiacevoli nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo condizionamento
di avversione; e quando fa esperienza di sensazioni neutre nel corpo, viene
abbandonato il suo sotterraneo condizionamento di ignoranza. In questo modo,
osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee, un meditatore si
avvicina sempre più alla meta dello stadio incondizionato del nibbana, al di
là delle esperienze sensoriali. Dopo aver raggiunto quella meta, Kondañña,
la prima persona che divenne liberata attraverso l'insegnamento del Buddha,
dichiarò:

"Ogni cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare.

Solamente facendo esperienza in modo totale della realtà di 'anicca' fu
capace di fare esperienza di una realtà che non sorge e non passa. La sua
dichiarazione è un chiaro segnale sul cammino ai futuri ricercatori della
verità, indica la via che essi devono seguire per raggiungere la meta. Al
termine della sua vita il Buddha dichiarò:

"Ogni cosa esistente è impermanente."

Nei suoi ultimi momenti volle riproporre il grande tema di cui aveva parlato
così spesso durante i suoi anni di insegnamento. E poi aggiunse:

"Sforzatevi diligentemente."

Ma per quale scopo, ci dobbiamo chiedere, dobbiamo sforzarci?

Sicuramente queste parole, le ultime dette dal Buddha, non possono che
riferirsi alla frase precedente. Il prezioso messaggio del Buddha al mondo è
la comprensione di 'anicca', la comprensione per esperienza diretta
dell'impermanenza di ogni fenomeno fisico e mentale, come strumento per la
liberazione.

Dobbiamo sforzarci di raggiungere l'impermanenza all'interno di noi stessi;
solo facendo ciò si potrà dire di aver compreso la sua ultima esortazione e
il suo insegnamento.



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