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Inserito il - 04/02/2006 : 13:16:16
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Non visitiamo il Kashmir
CAPITOLO XX
della "Autobiografia di uno Yoghi"
- di Paramahansa Yogananda"
visto su lista Sadhana >> it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana
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NON VISITIAMO IL KASHMIR
"Padre, vorrei invitare il Maestro e quattro amici ad accompagnarmi sui contrafforti dell'Himalaya, durante le vacanze estive.
Potreste darmi sei biglietti ferroviari fino al Kashmir e anche denaro sufficiente per sopperire alle spese di viaggio?".
Come mi aspettavo, mio padre scoppiò in una sonora risata. "E' la terza volta che mi racconti questa storiella. Non mi hai fatto la stessa richiesta l'anno scorso e due anni fa? All'ultimo momento, Sri Yukteswar rifiuta di partire".
"E' vero, padre mio. Non so perché il mio Guru non vuol dirmi la sua ultima parola riguardo al Kashmir. Ma se gli dico di avere già ottenuto da voi i biglietti, penso che acconsentirà a intraprendere il viaggio".
Mio padre sul momento non parve convinto; ma il giorno seguente, dopo avermi preso un po' in giro bonariamente, mi diede i sei biglietti e un rotolo di biglietti da dieci rupie.
Non credo che il tuo viaggio teorico abbia bisogno di questi appoggi pratici, tuttavia eccoli qua".
Quello stesso pomeriggio mostrai a Sri Yukteswar il mio bottino. Sebbene egli sorridesse al mio entusiasmo, le sue parole non mi persuasero troppo. "Mi piacerebbe andare! Vedremo!". Non fece commenti quando chiesi al suo piccolo discepolo nell'eremitaggio, Kanai, di, accompagnarci. Invitai anche altri tre amici, Rajendra Nath Mitra, Jotin Auddy e un altro ragazzo. La data di partenza, fu stabilita per il lunedì successivo.
Il sabato e la domenica rimasi a Calcutta, poiché a casa si celebrava il matrimonio di un nostro cugino. li lunedì mattina presto giunsi col mio bagaglio a Serampore. Rajendra venne a incontrarmi sulla porta dell'eremitaggio:
"Il Maestro è uscito a passeggiare. Rifiuta di partire".
Ne fui addolorato, ma mi ostinai nel mio proposito. "Non voglio dare a mio padre una terza occasione di porre in ridicolo i miei chimerici progetti sul Kashmir. Vieni, in ogni caso vi andremo noi" .
Rajendra accettò. Lasciai l'ashram per cercare un domestico. Sapevo che Kanai non sarebbe partito senza il Maestro, e ci occorreva qualcuno che potesse occuparsi del bagaglio. Pensai a Behari, un servo di casa nostra che adesso era al servizio di un insegnante di Serampore. Mentre camminavo in fretta, incontrai il mio Guru di fronte alla chiesa cristiana, accanto al tribunale.
"Dove vai?" mi chiese Sri Yukteswar con viso serio.
"Maestro, mi si dice che voi e Kanaí non intraprenderete più il viaggio che avevamo progettato. Vado alla ricerca di Behari; ricorderete che l'anno scorso egli desiderava tanto vedere il Kashmir che ci offrì persino gratuitamente i suoi servigi".
"Rammento. Malgrado ciò non credo che Behari sarà disposto a venire con voi".
Ero esasperato. "Non fa che aspettare con ansia questa occasione! ".
Il mio Guru riprese a camminare in silenzio. Giunsi presto alla casa dell'insegnante; Beliari, nel cortile, mi salutò con effusione amichevole, che sparì bruscamente non appena gli accennai al viaggio nel Kashmir. Mormorando parole di scusa, il servo mi lasciò e rientrò nella casa del suo padrone. Attesi mezz'ora cercando nervosamente di convincermi che il ritardo di Behari era dovuto ai suoi preparativi per il viaggio. Alla fine bussai alla porta d'entrata.
"Mezz'ora fa Behari se n'è andato per la porta di servizio", mi disse un uomo, mentre un lieve sorriso gli sfiorava le labbra.
Me ne andai rattristato, chiedendomi se il mio invito non avesse avuto un tono troppo coercitivo, oppure se fosse in gioco l'invisibile influenza del Maestro. Passando davanti alla chiesa cristiana, di nuovo vidi il mio Guru camminare lentamente verso di me.
Senza attendere che gli dicessi nulla, esclamò: "Behari non è voluto venire! E ora quali sono i tuoi progetti?".
Mi sentii come un bimbo recalcitrante che ha deciso di sfidare l'autorità paterna: "Chiederò a mio zio di prestarmi il suo servo Lal Dhari".
"Va' da tuo zio, se vuoi" rispose Sri Yukteswar con una risatiila, e un accesso d'ilarità cominciò a scuoterlo da capo a piedi. "Terno però che non sarai molto contento della visita". Timoroso, ma ribelle, lasciai il mio Guru e entrai nel Tribunale di Serampore. Sarada Ghosh, mio zio paterno e procuratore di Stato, mi accolse con affetto.
"Parto oggi per il Kashmir con degli amici", gli dissi. "Da anni desidero fare questo viaggio verso l'Himalaya!". "Ne sono felice per te, Mukunda. Posso fare qualche cosa per renderti più piacevole la gita?".
Queste parole gentili m'incoraggiarono. "Mio caro zio", dissi, "potreste forse cedermi il vostro servo Lal Dhari?".
La mia semplice richiesta produsse l'effetto di un terremoto. Lo zio fece un salto così violento che la sua sedia si rovesciò, le carte sulla scrivania volarono in ogni direzione e la sua pipa - un lungo pipone dal cannello di cocco - cadde a terra con gran fracasso.
"Ragazzo egoista", gridò, tremando di collera, "che idea inaudita! E chi mai si occuperà di me, se per tuo divertimento ti polti via il mio domestico?".
Nascosi la mia sorpresa, riflettendo che il rapido voltafaccia del mio amabile zio non era che un altro enigma in quel giorno interamente dedicato alle cose incomprensibili. Me ne andai dal tribunale con più fretta che dignità.
Ritornai all'eremitaggio, dove i miei amici s'erano radunati in attesa. Si faceva strada in me la convinzione che l'atteggiamento del Maestro nascondesse qualche motivo importante, sebbene estremamente recondito. Fui vinto dal rimorso per aver cercato di contrariare la volontà del mio Guru.
"Mukunda, non vorresti restare ancora un po' con me?" egli mi chiese. "Rajendra e gli altri possono precederti a aspettarti a Calcutta. Ci sarà tempo sufficiente per prendere l'ultimo treno serale che va da Calcutta al Kashmir''.
"Maestro, non m'importa di andarvi senza di voi", gli risposi con tristezza.
I miei amici non fecero caso alle mie parole. Chiamarono una carrozza e partirono con tutto il bagaglio. Kanai ed io sedemmo tranquillamente ai piedi del Maestro. Dopo mezz'ora il Maestro si alzò, dirigendosi verso il patio da pranzo del secondo piano. "Kanai, servi il pranzo a Mukunda. Il suo treno parte fra poco".
Come mi alzai dalla coperta dove ero seduto, improvvisamente vacillai, preso da nausea e da un terribile sconvolgimento allo stomaco. Il dolore fu così lancinante che mi parve d'esser piombato a un tratto in un atroce inferno. Annaspando ciecamente verso il mio Guru, caddi davanti a lui, in preda a tutti i sintomi del terribile colera asiatico. Srí Yukteswar e Kanai mi portarono nel salotto.
Torcendomi dal dolore gridaí: "Maestro, rendo la mia vita nelle vostre mani!», poiché ero convinto di sentirla defluire rapidamente dalle rive del mio essere corporeo.
Sri Yukteswar pose la mia testa sul suo grembo, accarezzandomi la fronte con angelica tenerezza.
"Vedi adesso quello che sarebbe accaduto se ti fossi trovato alla stazione con gli amici", disse. "Ho dovuto prendermi cura di te in questo strano modo, poiché hai preferito porre in dubbio il mio parere sull'opportunità d'intraprendere il viaggio in questo particolare momento".
Alla fine compresi. 1 grandi Maestri raramente ritengono opportuno mostrare apertamente i loro poteri; ecco perché un osservatore casuale del susseguirsi degli eventi di quel giorno li avrebbe giudicati perfettamente naturali. L'intervento del mio Guru era stato troppo accorto e sottile per poter essere sospettato. Egli aveva fatto agire la sua volontà attraverso Bellari, e mio zio Sarada, e Rajendra, e gli altri, in modo tanto discreto da far pensare a tutti, fuorché a me, che gli avvenimentí avessero avuto una sequenza logica e normale.
Sri Yukteswar, che non dimenticava mai i suoi obblighi sociali, disse a Kanai di andare a chiamare uno specialista e d'informare mio zio.
" Maestro", protestai in un debole bisbiglio, "voi solo potete curarmi. Ormai sto troppo male per qualsiasi dottore".
"Figliolo la Divina Misericordia ti protegge. Non preoccuparti del dottore; egli non ti troverà in questo stato. Sei già guarito".
Alle parole del mio Guru le sofferenze che mi straziavano, si calmarono. Mi rimisi a sedere, sentendomi assai debole. Presto giunse un dottore, che mi esaminò accuratamente. "Sembra che abbiate superato il peggio! Preleverò qualche campione per analizzarlo nel mio laboratorio".
La mattina seguente il dottore giunse di corsa. Ero seduto e di buon umore. "Bene, bene! Eccovi qui a parlare e sorridere come se non aveste sfiorato la morte!". Mi diede gentilmente dei colpetti sulla mano.
"Non ero certo di trovarvi in vita, dopo aver scoperto dall'analisi che il vostro male era il colera asiatico! Siete fortunato, giovanotto, di avere un Guru che ha tali divini poteri risananti. Questa è la verità!".
Con tutto il cuore ne convenni. Mentre il dottore stava per andarsene, Rajendra e Auddy comparvero sulla porta. Il risentimento dipinto sulle loro facce si mutò in compassione quando videro il medico e il mio aspetto malandato.
"Eravamo in collera perché non sei arrivato in tempo per prendere il treno a Calcutta, come d'accordo. Sei stato male?".
"Sì". Non potei fare a meno di ridere quando vidi i miei amici posare i bagagli nell'identico posto ove stavano il giorno prima. E citaí: "C'era un battello che in Spagna andò, e prima di giungervi, indietro tornò!"
Il Maestro entrò nella stanza. Mi presi una libertà da convalescente e afferrai con affetto la sua mano.
"Guruji", dissi, "da quando avevo dodici anni ho sempre tentato senza successo di raggiungere l'Himalaya. Sono ormai convinto che senza la vostra benedizione, la dea Parvati non mi accoglierà".
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