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Inserito il - 12/07/2017 : 11:02:36
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L'assoluto e' un essere oppure una qualita' dell'essere?
di Guido da Todi
Dopo aver ricevuto il dono delle molte rivelazioni, che i Risvegliati amano porgere all’uomo comune, mentre Essi stanno sulle rive della loro visione universale, e contemplano il sacro sciabordio d’onda del grande Oceano di gioia e di compimento, sediamoci simbolicamente accanto a loro, e parliamo un pò, tra di noi; facciamoci qualche domanda, e diamoci alcune risposte.
O, forse, sarebbe meglio dire: liberiamoci dal fardello di molti errori concettuali – nell’atmosfera tersa e cristallina del Tempio - e di molti luoghi comuni, che ci siamo portati appresso, sin qui.
L’assoluto.
L’assoluto è un <essere>, oppure una <qualità> dell’essere? Di tutti gli esseri? Ecco, questo è un quesito fondamentale. Ho rilevato che affrontare con coraggio e decisione alcuni concetti nevralgici del Metafisico regale, è un atto che ricompensa ampiamente – se gestito con armonia ed equilibrio – di ogni sforzo compiuto in quella direzione.
Si passeggia nell’eden della filosofia, dell’esoterismo; si colgono, qui e là, i fiori, che figliano, nell’ineffabile territorio - stupendi e profumati - e ci si inebria del loro profumo.
Ma, in effetti, abbiamo, in fondo, percepito il significato dei concetti-cardine, che ne costituiscono la natura?
Uno di essi è il seguente:<l’assoluto è un essere, oppure una qualità dell’essere?> Fermiamoci, quindi, ad analizzare la trama della domanda. Continuiamo a porre, sullo sfondo del nostro orizzonte spirituale, una <costante> stabile, una metrica definita e compiuta, nella quale scorgiamo dei significati ed una natura diversa da ogni altra.
La chiamiamo Meta, Perfezione, Indicibile. Ma, forse, un termine privilegiato e caro a molti spiritualisti di ogni tempo è, appunto, <assoluto>.
Man mano – è inutile negarlo – questo concetto si è annidato, stabilmente, in una stratificazione di abitudini comuni, in una tradizione di significati che gli si danno, tanto da essere stato fagocitato, lungo i secoli, da quella prepotente impronta antropomorfica, con cui l’uomo è solito imprigionare i pensieri che ama.
Molto spesso – ma, ovviamente, non sempre – dire :<Io tendo all’Assoluto; La Vita Assoluta ci ospita in sè; L’Assoluto è la meta di ognuno> suole indicare – da parte di colui, o di colei che esprimono questo pensiero – una Realtà, sicuramente sublime, ineffabile; ma, tuttavia, con dei risvolti formali, posseduti da un’Individualità macrocosmica.
L’Assoluto è, per molti, Dio.
Vorrei fermare un po’ le risonanze dell’affermazione, per darvi modo e tempo di trovare, nella vostra mente, tutti gli altri esempi – simili, o dissimili dal mio – per vedervi d’accordo con me.
Questo fenomeno mentale, osservato sicuramente in un’atmosfera filosofica molto più aristocratica delle prime religioni storiche, non si allontana, però – nelle radici – dal dio antropomorfico che esse, istintivamente, sempre costruirono, a proprio ed altrui consumo.
Mi rende abbastanza sereno e tranquillo il fatto di vedermi allineato alle più alte volute di contenuto d’ogni antica metafisica orientale, mentre indico uno dei grossolani errori di valutazione dei moderni spiritualisti (in massima parte, occidentali).
Nei Veda non esiste traccia di un dio, identificabile, sia pur molto lontanamente, a questo <assoluto antropomorfico> che stiamo analizzando; piuttosto, si parla del Logos, che è tutt’altra cosa.
È pur vero che - come insegnò, anche, Eraclito - i Veda indicano la somma chiave di ogni cosa, nell’antichissimo <panta rei>; ossia, nel fatto che ogni vita esistente segue un infinito ciclo di mutazioni costanti, regolate dalla legge degli opposti; ma, essi parlano, anche, del cosmico Motore Immoto: appunto, l’assoluta natura dell’universale.
Cosa vuol dire, questo?
Che la forma, in qualunque modo essa ci appaia; rarefatta come l’espressione del più sublime tra gli esseri; oppure, limitata e semplice, quale la più bassa e più caduca delle
manifestazioni, possiede un minimo comun denominatore: l’essenza indicibile ed infinita del proprio nucleo segreto.
Tutto è infinito, e tutto è privo di un ultimo circuito, che limiti una sua ipotetica area di essenza.
Quanto ogni uomo ed ogni donna; ogni animale, ed ogni pianta; ogni minerale, ed ogni vita angelicata, manifestano – come marginale assieme di contenuti formali, in quel ciclo di manifestazione nel quale essi si stanno esprimendo – tutto ciò è solo un gracile velo alla natura infinita che soggiace ad essi. Ecco, il vero <assoluto>, verso la cui piena consapevolezza tutti noi stiamo tendendo. Non una meta distante, quindi, e resa, comunque, <umana>, dalle caratteristiche di una perfezione inesprimibile e sublime. Un assoluto che sia, pure, Dio.
Uno dei cicli spirituali che l’uomo scopre lungo il sentiero dell’evoluzione, è di far parte di un Alfa e di un Omega cosmici.
poi.
L’Uno ed il molteplice costituiscono una legge, i cui significati dovremo assimilare, prima o
Tuttavia, indicando l’Uno, i Veda parlano, sempre, del Logos. Ed affermano che <l’assieme dei Logoi è Dio>.
Il legame che passa tra l’uomo ed il Logos è regolato dalla Legge, e richiede un futuro esame, che esula dalle intenzioni del presente articolo.
Tuttavia, il Logos non intende – nè ha mai inteso – significare <l’assoluta qualità> della vita universale.
Quando il ricercatore scopre la fresca e rigenerante verità che abbiamo appena indicato, e che tutte le più antiche tradizioni insegnano, ecco iniziare per lui quella <nuova vita>, descritta come una svolta radicale dell’anima, da ogni vera filosofia orientale.
Il concetto dell’assoluto, inteso come <qualità innata dell’universo> dona l’equilibrio stabile, e fa scoprire e riconoscere il Motore Immoto, che pulsa, eterno, nell’ovunque.
Se ognuno di noi si facesse, allora, permeare dalla sua propria <natura assoluta>, che gli appartiene come gemma spontanea, per il solo fatto di esistere; se vedesse, anche fuori di sé, la medesima universalità, che costituisce il vero e reale fattore indicibile ed il vero mistero della vita; se accettasse questa esperienza, come unica chiave ad ogni ulteriore libertà e gioia di esistere, ebbene, avrebbe, finalmente, mozzato il capo all’idra dell’ignoranza e del dolore, in questi tre piani dell’illusione, e comprenderebbe – senza false apparenze – cosa significhi la vera liberazione dall’oscuro mondo di maya.
A misura, amici miei, che voi comprenderete l’identico nesso che vi salda al Logos ed al lombrico, alle galassie, ed al nostro sistema solare, riuscirete, anche, a sfilarvi fuori – gradatamente – dal sarcofago della sofferenza quotidiana e personale.
E mi auguro di cuore, e con la più solerte delle umiltà, che ognuno di voi realizzi quanto l’assoluto, sia, appunto, una vostra attuale qualità…
…anzi! La vostra sola qualità!
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