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 Quando incontriamo una sensazione
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Inserito il - 04/09/2014 : 11:45:35  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Quando incontriamo una sensazione

di Ajahn Amaro

© Amaravati 2013

(Estratti di "For the Love of the World".

(La traduzione è stata curata da Luca Rossi per il gruppo di
praticanti di Pontedera (PI) e gentilmente condivisa con tutti noi)

Tratto dalla newletter di settembre di:
"Saddha - Associazione Laica Buddhista Santacittarama"


Quando incontriamo una sensazione in­tensa, dei sentimenti intensi,
quando le acque si fanno agitate, cosa facciamo? Come ci comportiamo?
Tal­volta manteniamo le nostre sensazioni in equilibrio, e que­sto può
rinforzarci, esserci di grande aiuto. Altre volte siamo trascinati via
e ci perdiamo nelle turbolenze. Siamo cattu­rati dai flutti,
boccheggiamo per cercare di respirare, o spe­rimentando la distruzione
che può provenire da queste forti sensazioni. Più forte, più in­tensa
è la turbolenza, e più siamo inclini a reagire in modo inconsciente

o semi-consciente. Quel che ci piace, lo vo­gliamo afferrare e
trattenere; contro quel che non ci piace prendiamo posizione. «Io ho
ra­gione. Tu hai torto». «Questo è buono. Quello è cattivo». E quando
ci afferriamo con forza ad un’opinione, ad un punto di vista, il
conte­nuto della nostra posizione sembra diventare più importante
della sofferenza che viene dall’aggrapparsi ad esso.

Questa qualità dell’aggrapparsi, dell’attac­carsi, dell’essere
catturati dalle cose, è quello che il Buddha chiamava «essere trafitti
dalla seconda freccia». (Il Buddha aveva un retro­terra militare; era
stato educato come un no­bile principe guerriero ed era stato allenato
nell’arte della guerra, perciò molte delle sue espressioni e analogie
sono militari. Come disse una volta Robert Thurman, era come “uno di
West Point”).

Dal momento che abbiamo un corpo e una mente, prima o poi siamo
destinati a speri­mentare un qualche tipo di dolore, o di pena, fisica
o mentale. È inevitabile, ed è questo che il Buddha in­tendeva con
«essere trafitti dalla prima freccia». La se­conda freccia è
l’angoscia, il tormento e il risentimento, l’ansia, che si raggruppano
in­torno a questa sensazione di dolore. Dal momento che ab­biamo un
corpo e una mente, non possiamo evitare questa prima freccia. Ma se
siamo at­tenti e ci rendiamo conto di questa verità, allora saremo
capaci di evitare di essere trafitti dalla se­conda freccia. Saremo
capaci di evitare di es­sere presi nella turbolenza.

Vedere che la sofferenza viene dall’attacca­mento è il primo passo per
riguadagnare la propria compostezza e padronanza di sé. Quando
consideriamo come comportarci in queste acque agitate e selvagge che
sono le no­stre vite – questi intensi alti e bassi – ciò di cui
abbiamo bisogno è una buona zattera. Questo è un altro simbolo che il
Buddha usava spesso. Quel che causa il nostro essere cattu­rati, il
nostro perderci nei flutti, è l’essere privi di una buona zattera,
ovvero non compren­dere come funziona la mente.

Per acquisire questa comprensione pos­siamo contemplare le sensazioni
come il se­condo dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza. Le
sensazioni si riferiscono a ciò che è esperito come piacevole,
spiacevole o neutro, come pure al senso del “mi piace” e
del “non mi piace”. Non si tratta solo di una sensazione fisica, ma
anche del più ampio senso dell’essere attratti o respinti da
qual­cosa. Nella psicologia buddhista si chiamano vedan#257;. Si
riferiscono al mondo dei sensi, a quell’impulso sensoriale iniziale ed
imme­diato che qualcosa esercita su di noi: «Mi piace». Oppure: «Fa
schifo». O anche: «Que­sto è bello!»

Quando siamo capaci di conoscere le sen­sazioni così come sono –
«Questo è un suono piacevole, questo non è un suono attraente, questo
è un sapore delizioso, questo è un sa­pore terribile» – allora la vita
può essere molto più semplice e possiamo mantenere le cose in
equilibrio. In un certo qual modo, la qualità della consapevolezza è
ciò che ci rende capaci di mantenere la nostra attenzione sulle
sensazioni in questo modo e di lasciarle essere semplicemente quello
che sono, sensazioni. Questa è la zattera. Vedan#257;-nupassana, la
contemplazione o la consapevolezza delle sen­sazioni, è la zattera più
affidabile per attraver­sare le acque più turbolente ed agitate. Siamo
capaci di mantenere le cose in questa prospet­tiva: «Questo viene
percepito come piacevole, questo viene percepito come spiacevole. Mi
piace, non mi piace». Quando non abbiamo una zattera, o la zattera
scivola via sotto di noi, allora le sensazioni portano alla bramo­sia,
o a quello che viene talvolta tradotto con la parola “desiderio”. Il
“mi piace” si tra­sforma in “lo voglio”, o il “non mi piace” di­venta
“non lo posso sopportare”.

Nella psicologia buddhista, questo movi­mento che va dalla sensazione
alla bramosia, all’attaccamento, al voler diventare, sono nessi di
quella che è chiamata la catena della “Originazione Dipendente”.
Quando non è te­nuta nell’abbraccio della consapevolezza e della
saggezza, l’esperienza ordinaria dei sensi della vista, dell’udito,
dell’olfatto, del gusto e del tatto trascina via il cuore in stati di
disap­punto, delusione, alienazione e incomple­tezza.

Quando non stiamo vedendo e compren­dendo le nostre sensazioni, allora
stiamo co­stantemente andando in cerca della prossima esperienza
eccitante: «Questo prodotto sarà migliore. Oppure questo matrimonio. O
que­sto libro di Dhamma». Siamo semplicemente investiti da un’altra
onda, e poi un’altra, e un’altra ancora. Questo è chiamato il ciclo
della compulsione, il ciclo della originazione dipendente, il ciclo di
nascita e morte.

Il punto debole di questa catena è l’anello tra la sensazione e la
brama. Quanto più pos­siamo sviluppare la consapevolezza delle
sen­sazioni – imparare a sentire le acque, se sono calme e fluide
oppure mosse e agitate – tanto più saremo capaci di rispondere, invece
che di reagire.

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