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 Chiave del Buddhismo: La produzione condizionata
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24815 Messaggi

Inserito il - 11/07/2014 : 11:06:15  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
La Chiave Cardinale del Buddhismo: La produzione condizionata

di Isi Dhamma

da it.dhammadana.org


"La produzione condizionata"

(Ossia,lo schema innato della sofferenza universale, prima che esso
sia trasceso e vinto dalle verità del Dharma)

(di Bhikku Sasana)


- Introduzione -

Pa#7789;icca samupp#257;da:


A causa dell'ignoranza si producono...

... le formazioni mentali.


A causa delle formazioni mentali si produce la coscienza.
A causa della coscienza si producono i fenomeni fisici e mentali.
A causa dei fenomeni fisici e mentali di producono le sei sfere sensoriali.
A causa delle sei sfere sensoriali si produce il contatto.
A causa del contatto si produce la sensazione.
A causa della sensazione si produce la bramosia.
A causa della bramosia si produce l'attaccamento.
A causa dell'attaccamento si produce il divenire.
A causa del divenire si produce la nascita.
A causa della nascita si producono la vecchiaia, la morte,
i lamenti, le pene, i dolori, i dispiaceri, le disperazioni (dukkha).

In tal modo nasce questo cumulo di sofferenza.


In ordine inverso...

A causa della completa cessazione dell'ignoranza...
... cessano le formazioni mentali.
A causa della cessazione completa delle formazioni mentali, cessa la coscienza.
A causa della completa cessazione della coscienza, cessano i fenomeni
fisici e mentali.
A causa della completa cessazione dei fenomeni fisici e mentali,
cessano le sei sfere sensoriali.
A causa della completa cessazione delle sei sfere sensoriali, cessa il contatto.
A causa della cessazione completa del contatto, cessa la sensazione.
A causa della cessazione completa della sensazione, cessa la bramosia.
A causa della cessazione completa della bramosia, cessa l'attaccamento.
A causa della cessazione completa dell'attaccamento, cessa il divenire.
A causa della cessazione completa del divenire, cessa la nascita.
A causa della cessazione completa della nascita, cessano la vecchiaia, la morte,
i lamenti, le pene, i dolori, i dispiaceri, le disperazioni (dukkha).

Questa è la cessazione completa del totale fardello di sofferenza.

- Il processo della vita -

Di tutto quanto Buddha ha insegnato durante la sua vita,
pa#7789;iccasamupp#257;da appartiene agli insegnamenti più profondi, più
sottili, più difficili a comprendersi ed è intimamente legato all'idea
di anatta, che significa assenza di un "sé"; assenza delle
caratteristiche primitive.
Si può affermare che pa#7789;iccasamupp#257;da sia la spiegazione del processo
di anatta. anatta è una realtà ineluttabile, universale, completamente
a-temporale. Viene chiamato un "dhammata". Si può dire che
pa#7789;iccasamupp#257;da sia lo svolgimento che organizza lo stato di fatto
ineluttabile e incrollabile, rappresentato da anatta.

Buddha ha esposto, a più riprese, in diversi sutta, questa dottrina
della produzione condizionata. Notoriamente, in uno di tali sutta,
qualcuno gli chiese:" Voi affermate che non esiste reincarnazione;
eppure, malgrado ciò, parlate di vite passate, di vite future, di
rinascite." Buddha, per tutta risposta, gli dette esattamente la lista
(appena elencata) dei dodici elementi, che formano questo processo, in
ordine logico ed inverso. Ecco, in cosa Buddha riassume la propria
visione del ciclo delle rinascite.

In effetti, si tratta di un processo; cioè, di una successione di
avvenimenti, che nascono senza l'intervento di alcun fattore, o
essere. Un susseguirsi del tutto incontrollabile, ineluttabile ed
irreversibile; salvo, beninteso, quando il processo termina il suo
ciclo.
Per definizione, esso è incontrollabile. Di fatto, gestisce, si può
dire, l'evoluzione della materia, dei suoi fenomeni e l'evoluzione
della mente, con le sue proprietà. Tutti gli eventi che la coscienza
può seguire, ed essa stessa, ne sono contenuti. La legge fondamentale,
irremovibile, iniziale, è anatta, che si manifesta nel processo; che,
dunque, risulta inevitabile.

- L'unità elementare -

L'unità elementare di coscienza può avere una durata di vita che
misura, forse, un miliardesimo di miliardesimo di secondo; oppure, un
millesimo di miliardesimo di secondo. Ogni secondo conta così 1 000
000 000 000, oppure 1 000 000 000 000 000 000 particelle elementari di
coscienza; o, piuttosto, momenti fondamentali di coscienza. Ognuno di
questi possiede la particolarità di apparire e di sparire
immediatamente, secondo un processo chiamato pa#7789;iccasamupp#257;da.

La successione di numerosissime unità di coscienza forma un ciclo,
considerando le stesse unità come dei cicli elementari, a loro volta.
La sequenza risultante e, anch'essa, condotta dalla legge e dal
principio di pa#7789;iccasamupp#257;da. Ed entra a fare parte della
composizione dei cicli, che si situano in uno strato superiore. Che, a
loro volta, sono condizionati da pa#7789;iccasamupp#257;da.

Per fare un esempio: vi è l'atomo, che è una piccolissima quantità di
materia conosciuta. Una raccolta di atomi forma quella che viene
chiamata molecola. Una unione di molecole determina una cellula.
L'assemblaggio di cellule forma un organo. Quello di organi crea un
individuo umano, o animale. L'accorpamento di esseri umani dà origine
ad una comunità; l'insieme di comunità determina una nazione, ecc.

Si può anche utilizzare la metafora, riferita al tempo; vi sono i
secondi, che costituiscono i minuti, che costituiscono le ore, che
costituiscono i giorni, e l'alternanza del giorno e della notte;
quest'ultima si riproduce nel ciclo delle lunazioni, delle stagioni,
ecc..

Questo ciclo, che è il più grande che noi possiamo apprendere, è lui
stesso suddiviso in numerosi sotto cicli, in numerose alternanze.
Ognuno di questi cicli, di questi sotto-cicli, di questi
sotto-sotto-cicli è costituito, partecipa e reagisce a quel che viene
chiamato il pa#7789;iccasamupp#257;da.

C'era nel Myanmar (Birmania) un Venerabile, specialista nell'esporre
il pa#7789;iccasamupp#257;da. Seppe effettuare questa analisi nei suoi diversi
livelli di astrazione, nei suoi diversi strati. Io sono incapace di
fare la stessa cosa, ma voglio tentare di presentare un aspetto del
processo, per quanto io riesca affrontarlo; e spero che per voi sarà
la stessa cosa...

Questo processo come si introduce nella vita?

L'assenza di reincarnazione

Cerchiamo, attraverso quanto esporremo, di arrivare a meglio
comprendere come mai Buddha, questo monaco, è giunto a spiegare, a
suggerire che il ciclo delle reincarnazioni, che la nozione di
emanazione, è completamente assente. Egli dice che è, addirittura,
mancante dall'universo intero.

Studiamo una situazione concreta di quanto, ad un dato momento,
percepiamo. Per esempio, proviamo un dolore al piede; un dolore
violento. Che succede? Generalmente, per la maggioranza di noi, esso
si accompagna ad un impeto di collera. Quando qualcuno ci cammina su
un piede, nella metropolitana, è raro che compaia, subito, uno stato
di compassione, di amore, uno spirito del tutto aperto e lucido. Il
più delle volte, quanto sorge è piuttosto un atteggiamento tinto di
irritazione, di avversione, di odio. Fatto che arriva a provocare una
parola rude, o un gesto pesante.

Qui, osserviamo, in maniera molto schematizzata, che avviene un
processo: si esprime una consapevolezza dolorosa. Subito dopo, viene
fuori una sensazione spiacevole, che la accompagna. Non sappiamo
perché, né come; ma, tutti ne abbiamo fatto l'esperienza: è una cosa
praticamente automatica.

A seguito di questa collera, scaturisce un'intenzione — spesso
malevola — che, a volte si ferma lì, ed a volte può trasformarsi in
una frase del genere:" Avreste potuto fare attenzione!", oppure"
Avreste, almeno, potuto chiedere scusa!"; o, ancora con più rudezza:"
Pezzo di imbecille!" — o che so io.

La situazione può anche andare più avanti; spingendoci a fare un gesto
che mostra la nostra collera, o il nostro senso di vendetta, come
affibbiare un calcio nella tibia, o spintonare la persona. Anche se è
praticamente certo che chi ci ha camminato sul piede non lo ha fatto
proprio apposta.

Ecco esposto, in modo molto succinto, questo processo: vi è
l'apparizione della coscienza (esempio: coscienza dolorosa), che farà
rapidamente nascere un fenomeno materiale (esempio: movimento della
mano, emissione di un suono, sotto forma di una parola offensiva). E'
così che tutto funziona in quel che noi chiamiamo universo, mondo
cosciente. E per ogni essere, in ogni momento.

Tutto ciò che noi possiamo pensare, dire o fare, è la fase terminale,
visibile, riflessa, studiata, di un processo che è cominciato prima,
semplicemente attraverso un impulso cosciente, una percezione
sensoriale.
Per esempio, stiamo riflettendo sulla musica di Giovanni Sebastiano
Bach, dicendoci:" Era un compositore prodigioso, di sicuro ispirato da
uno slancio mistico..." Possiamo anche starne a discutere con
qualcuno. Se facciamo tutto questo è semplicemente perché nella
metropolitana, nell'aereo, o nel bus abbiamo ascoltato, per qualche
secondo, una radiolina, che diffondeva una melodia di Giovanni
Sebastiano Bach.Tutto quel che è successo non è che una apparizione
della coscienza auditiva, tinta da una sensazione piacevole, che ha
prodotto una reazione emotiva, passionale, ecc.

Si tratta esattamente del medesimo processo che ci ha condotti a
giustificarci in una stazione di polizia, dopo che abbiamo
schiaffeggiato qualcuno, a causa della nostra collera, o perché ci ha
camminato sui piedi, ecc..
Discutiamo delle cose esistenziali, delle differenti fasi giornaliere;
diciamo:" ho mangiato, ho guardato la televisione, ok! E' tale partito
politico che ha vinto le elezioni, è la Francia che ha vinto la coppa
del mondo di football...". Tutte queste cose, questo tran-tran
quotidiano di chiacchiere interiori, o con altri, è, in larga misura,
l'ultima fase del processo.

Generalmente, quella in cui trascorriamo la parte maggiore del nostro
tempo; si tratta del discorso dialettico. Il punto a cui accordiamo
più indagini, riflessioni. Assai raramente abbiamo l'idea di
osservarne, o di conoscerne i momenti precedenti. A volte, possiamo
affermare:" Sono consapevole che la vita è proprio questa, sono
consapevole della sofferenza, ci sono sempre simili pensieri che mi
assalgono." Tuttavia, manchiamo, per inavvertenza, per disattenzione,
o, semplicemente, per ignoranza, di preoccuparci di quanto è avvenuto
prima, e che, ora, si conclude in questi discorsi intellettuali, o
filosofici. Abbiamo omesso di pensare alle fasi anteriori, come il
movimento della mascella, la circolazione dell'aria, che ci permette
di parlare; dunque, di emettere dei suoni. Ciò, non lo osserviamo; ci
attardiamo, invece, nei nostri discorsi.

Considerare la fase precedente, cioè, una sensazione piacevole, o
spiacevole, prodotta di un impatto sensoriale (per esempio, un suono).
Se riflettiamo un po', potremo giungere a capire, a percepire che,
quando, nella giornata, abbiamo degli attimi di riflessione
sull'esistenza — nel senso che essa è insoddisfacente, piena di
problemi... - vi sono anche dei momenti in cui non si pensa affatto a
tutto questo, visto che ci troviamo occupati ad assaporare una
deliziosa bevanda, un piatto squisito. A quel punto, ci gettiamo,
piuttosto, su delle considerazioni, tipo "la fortuna che abbiamo di
essere nati in Francia, che è il paese dell'arte culinaria".
Sfortunatamente, passiamo da una situazione di pensieri, basati
piuttosto su delle idee negative, ad un'altra, fondata su idee
positive; ed oscilliamo dall'una all'altra, per tutto il tempo.

E, però, omettiamo di osservare l'intero processo che ci ha condotti
ad elaborare quanto si chiama, in senso largo, la concezione, l'idea,
la progettazione: il tempo, la religione, la filosofia, la politica,
il lavoro, la famiglia, la società... Fino a che si rimane a tale
livello - che è, in verità, solo superficiale — tutto ciò ha una certa
validità, una certa esistenza, una certa verità; ma, si tratta
soltanto della parte più esteriore di un assieme di sotto-cicli, di
sotto-sotto-cicli, di sotto-sotto-sotto cicli, ecc., che, di fatto,
sono sfuggiti alla nostra attenzione.

L'appetito

Così, nella vita, come lo faceva così bene rimarcare il filosofo
Spinoza, esiste sempre un "appetito". Cioè, un desiderio, una
tendenza. In pali, si chiama ta#7751;h#257;. ta#7751;h#257; è quanto fa proiettare la
coscienza sul proprio oggetto, o su qualche cosa.
Prendiamo l' esempio di una pallottolina di pane, che i bambini tanto
amano gettare sui vetri. Adoperano una cerbottana, costruita con una
penna biro svuotata e lanciano, in tal mondo, le palline di pane su
ogni cosa; generalmente, lì ove glielo si proibisce. Il fatto che esse
vengano letteralmente proiettate e che si incollino contro il vetro
illustra il significato di ta#7751;h#257;, che è la tendenza, costantemente
ripetuta — diciamo, perpetua — che la mente ha di scagliarsi su di un
oggetto. A partire dal momento in cui la coscienza si approprierà di
un oggetto, l'operazione si ripeterà; poiché va da sé che,
generalmente, i nostri desideri riguardino fatti piacevoli.

Noi ci lanciamo, ci orientiamo verso la destinazione che ci
prospetterà un certo piacere. La facoltà di restare incollati sul
nostro oggetto di piacere si chiama upad#257;na, che significa fissazione;
illustrata nell'esempio appena citato, in cui la pallina di mollica
resta incollata sul vetro, fino a quando finisce per seccarsi e,
dunque, per scivolare e staccarsi. Sarà, allora, necessario lanciarne
una successiva, per continuare il gioco (io-co).

Allo stesso modo, nella nostra quotidianità, abbiamo, ad un certo
momento, un progetto, che, in effetti, è un desiderio. Sarà quello di
andare a mangiare qualcosa di gradevole, di assistere ad un fatto
apprezzato, o di ascoltare della musica. Noi siamo capaci di
sopportare quanto, in effetto, è più insopportabile nella vita di un
uomo: la quotidianità.

Riusciamo ad elaborare un mucchio considerevole di strategie, di
progetti, di manovre, che chiamiamo amministrative, professionali,
sociali, ecc., al solo scopo — poiché risulta chiaro che non ne
esistono altri — di vivere. Cioè, di garantirci che gli attimi di
piacere siano i più numerosi a succedersi — possibilmente ad un ritmo
elevato — e che quelli di dispiacere e di pena siano i meno
consistenti possibili; magari, i più distanziati e corti.

Così, noi viviamo. Ecco, quel che chiamiamo la vita di un uomo. Solo
che, per sopravvivere, vi sono i cosiddetti bisogni naturali. Che non
corrispondono affatto a questa idea di desiderio, di attaccamento, o
di fissazione, poiché, molto spesso, d'altronde, sono vissuti come
delle corvées. Poiché dobbiamo inevitabilmente soddisfare questi
bisogni naturali — visto che così funzione la biologia del nostro
corpo — cerchiamo, allora, di fare il possibile per trasformarli in
momenti di piacere.

L'attaccamento - ta#7751;h#257;

La produzione condizionata è un processo che succede a se stesso, in
quanto è una sorta di ciclo che non cessa di ripetersi. Esattamente
come il pendolo di un orologio, che oscilla a destra ed a sinistra, e,
fino a che la molla è tesa —cioè, fino a quando in essa rimane
dell'energia — esso continua a farlo. Il "carburante" che vi è nella
molla è proprio ta#7751;h#257;. Si tratta veramente del motore della vita.
ta#7751;h#257; è il termine impiegato per sintetizzare, in senso lato,
l'avidità, il desiderio e la propensione. Così, alla partenza, vi è
l'ignoranza, la mancanza di conoscenza, l'incapacità di sapere cosa è,
per esempio, quel dolore che appare e la coscienza che lo accompagna.
Poiché esiste questa incapacità, vi è, di conseguenza, l'ignoranza che
produce il processo che si chiama formazione.
Diremo, qui, che la formazione che accompagna la coscienza è, da una
parte, la sensazione (piacevole, o spiacevole) e, dall'altra, la
necessità che abbiamo di esprimere, in tale momento, un'azione.

Non è facile da spiegarsi, poiché il pa#7789;iccasamupp#257;da è un po' come il
serpente che si morde la coda... Quando ci si pone di fronte a questi
dodici elementi, lo si può, in una certa misura, chiarire, cambiandone
l'ordine; che non ha, poi, più importanza di tanto. Sarebbe
impensabile insegnare il pa#7789;iccasamupp#257;da, modificando la disposizione
delle "case"; ma, esiste una natura così particolare nell'apparizione
della coscienza, che il fatto non sarebbe, poi, totalmente inesatto.
Nel senso che il ciclo è breve e aderisce all'apparire di un fenomeno
di primo livello, costituendo, lui stesso, con il suo numeroso
ripetersi, un evento di livello superiore.

Per semplificare, diciamo che, alla partenza, esiste una cattiva
conoscenza di quanto sta per capitarci, sino al momento in cui esso
sopraggiunge. Attraverso tale consapevolezza, appare una sensazione
piacevole, oppure spiacevole. In seguito, sorge una reazione; cioè, il
nascere di un'intenzione, di un progetto — motivato, in genere, dal
desiderio di soddisfare qualche cosa. Di conseguenza, una volta
acquisito l'oggetto, nasce l'attaccamento ad esso. Lo si accaparra; e,
ciò, è, dunque, un legame.
Quando un bambino va in collera, all'inizio ne conosce la ragione. E'
irritato perché gli hanno preso il giocattolo. A forza di restare
costantemente in questo stato di rabbia, finisce che si fissa, alla
lettera, su quest'ultimo. Dopo un po', continua a piangere. E
persisterà nel suo capriccio, anche quando ne avrà completamente
dimenticata l'origine. Spesso, è così che succede.
L'abitudine
All'inizio, ci proiettiamo su qualcosa. Giunge il momento, soprattutto
perché è divenuta un'abitudine, in cui l'impulso iniziale che ci aveva
lì condotto, svanisce. Non sapremo neppure perché avviene. Si tratta
dell'attaccamento. Che è la facoltà che ci intrattiene sugli oggetti,
o sui nostri discorsi. Esiste l'attaccamento ai nostri punti di vista,
alle nostre credenze; per esempio, un cristiano, o un buddhista sono
molto avvinti alle loro concezioni, ai loro concetti. Spesso, non ne
sanno neppure il perché. Sovente, è per la ragione che li posseggono
in loro stessi, o qualcuno ha loro narrato "quelle cose", da che sono
giovani, ed allora hanno finito per crederci. Di conseguenza vi si
attaccano e, perciò, rinnovano costantemente un appetito alla vita.

L'attaccamento è una situazione che ci spinge letteralmente a fissarci
e ad agganciarci. Aderiamo, anche, beninteso, a questa idea del
divenire — ossia, di vivere; perché di ciò si tratta. Crediamo
nell'essere, e che esistiamo, e siamo molto avvinti a ciò. Non
soltanto alla concezione (sono un uomo, sono una donna, sono Piero,
sono Paolo, sono buddhista, sono cristiano, sono ateo); ma,
semplicemente al fatto.

Si tratta di un modo particolare di apprendere la nostra realtà, la
nostra verità interiore. Il fatto di esistere, il fatto di divenire è
una realtà, in rapporto alla quale ci troviamo totalmente fissati,
incollati. Ciò fa sorgere numerosi momenti in cui appare ta#7751;h#257;. E ciò
vuol dire che noi ci vediamo attivati costantemente in nuovi progetti,
iniziative, in nuove pratiche. All'origine, lo scopo è di mantenere e
gestire questo blocco. Non abbiamo la voglia di cambiare il nostro
stato. Crediamo di essere un uomo, o una donna, e permettiamo a noi
stessi di rimanere avvinti a simile idea. Perfezioneremo,
completeremo, realizzeremo lo status "di uomo", attraverso i nostri
abiti, i nostri attributi virili — come un profumo, una maniera di
pettinarci, di comportarci, ecc. La stessa cosa avverrà per le donne,
fuse a tale idea di femminilità; cioè, allo stato della donna in sé;
alla maniera di "essere donna", che si manifesterà con un modo di
vestirsi, di profumarsi, ecc.

L'attaccamento alla divinità

Per certuni , quest'ultimo non è il più importante; vi è altro. Si può
essere affascinati ad uno dei legami più alienanti, più pericolosi,
più perniciosi che esistano, che è quello alla divinità, alla
"buddhità". Ossia, allo stato d'essere assoluto, trascendente. Quello
in cui, giustamente, tali nozioni di base, elementari, di uomo, di
donna, di società, o di cultura sono — per così dire — trascesi.

L' attaccamento alla divinità può tradursi sotto forma di concezioni,
di credenze; ossia, a quello stato che dimora in se stesso,
ineffabile, eterno, non mutevole, pulito, puro, non insozzato. Noi
concepiamo, allora, una coscienza primordiale; una coscienza "tout
court", trascendente, senza oggetto, senza proprietà, attributi e
stato. Si tratta di una coscienza che rappresenterebbe lei medesima il
suo proprio stato. E, questo, rappresenta il fantasma assoluto
dell'umanità! Probabilmente, non siamo riusciti a dare alla luce,
nelle nostre filosofie e nelle religioni più elevate, qualcosa di più
folle.

Nell'idea di codesta divinità vi è pure quella dell'attaccamento alla
stessa. E'facile criticare i cosiddetti materialisti, che cercano di
giungere ad un certo successo, nella loro via. Per alcuni, la riuscita
significa essere P:D:G: della società Untel; ministro, o presidente
della Repubblica. Di fatto, la spinta che ci fa intraprendere un
sentiero spirituale, con questa idea di pervenire alla divinità,
oppure alla "buddhità", è anch'esso un desiderio, un attaccamento, una
fissazione di realizzare uno stato. Per molte ragioni, morali,
tradizionali, filosofiche, consideriamo questo stato superiore a
quello del presidente della Repubblica, o altro...

Infine, esiste anche l'ossessione dell'identificazione diretta alla
divinità. E' quando la divinità, la "buddhita", o la fusione è stata
effettivamente attuata.

Cosa è la vita?

Che cosa ci faccio, qui?

Pare che la maniera utilizzata da Buddha per spiegarci la vita ed i
suoi collegamenti sia straordinariamente coerente. E'logica, sana,
semplice, onesta e — diciamo, in ultima analisi — ragionevole.
Potrebbe sembrare, d'altronde, che, dopo lo studio e, soprattutto,
quegli esercizi che Buddha insegna, si possa arrivare alla conclusione
che essa sia la sola cosa esistente (ragionevole). Così, in due volte
dodici righe, ci ha spiegato in maniera straordinariamente
ragionevole, ragionata, sincera e onesta, come funziona la vita,
l'esistenza.
Allo stesso modo, ci chiarisce perché noi vi ci troviamo. A proposito
della domanda che ci poniamo:"Ma, che cosa ci faccio, io, qui?".
Ebbene, stiamo qui solo a causa del desiderio. Viviamo perché lo
desideriamo; siamo il risultato dei nostri desideri , delle nostre
tendenze, delle nostre pulsioni. Per diverse ragioni, di formazione
intellettuale, culturale, universitaria, arriviamo a farci delle
domande. Semplicemente perché le abbiamo in noi; possediamo tale
intuizione, la qualità di porre uno sguardo sulla vita. Ecco perché ci
poniamo queste domande...

Di conseguenza intraprendiamo un cammino il cui scopo, finalmente, se
ci riflettiamo bene, è solo quello di passare da un certo modo
operativo di esistere, ad un livello superiore. Di saltare,
finalmente, da un certo ciclo pa#7789;iccasamupp#257;da ad un altro. Dunque,
per delle ragioni incombenti, immaginiamo che non ve ne sarà più uno
solo. Intuiamo che esisterà una specie di continuità perfettamente
lineare e trascendente, non più sottoposta ad un ciclo.

Il monaco Gotama ha fatto una grande scoperta; ha avuto un'intuizione
geniale. E, se la ebbe, fu prevalentemente per avere avuto la concreta
esperienza del nibb#257;na. Scoprì che, tutt'al più, ci immaginiamo,
idealizziamo qualcosa che non potrà essere altro che un ciclo di
pa#7789;iccasamupp#257;da. Cioè, l'apparizione, il divenire secondo una
sequenza di tappe riassunte, in modo succinto, da: un contatto, una
sensazione, una reazione, un impulso, una volizione, una coscienza, un
movimento, un atto, un divenire.

Le esperienze spirituali

Cosi, coloro tra i "grandi maestri spirituali", che credono di essere
pervenuti alla divinità, o alla "buddhità" hanno sicuramente
realizzato un'esperienza, ma — come affermano, spesso — consacreranno
il resto del loro tempo a questa divinità, o a questa "buddhità".
Hanno toccato, hanno avuto un contatto, una esperienza, la cui intensa
beatitudine, l'acuto benessere, il forte piacere è tale, che la forza
del desiderio, il vigore di quanto li proietterà nuovamente a
sperimentarli è considerevole. Tanto rilevante che il poderoso
attaccamento che nascerà in questi sarà gigantesco. Se veramente
esiste qualcosa di trascendente nelle nostre esperienze spirituali è
l'attaccamento che proviamo per esse.

Così, il monaco Gotama ebbe una consapevolezza del tutto sconcertante,
e che va contro corrente con tutto il resto; che non viene insegnata
in altra parte che non sia dalla sua bocca. Né all'interno del
cristianesimo, né dell'islam, e in alcuna delle nostre filosofia
d'occidente e d'oriente, e neppure in quel che si chiama, oggi, il
buddhismo.

Una esperienza rivoluzionaria

Egli fece un'esperienza talmente contraddittoria con tutto ciò che può
venire conosciuto nel quotidiano, che il fatto viene illustrato in una
maniera molto interessante: il giorno che precede la notte in cui la
visse, ebbe la gigantesca intuizione che stava per scoprire qualcosa
di veramente nuovo, di veramente rivoluzionario.

Dopo anni di tribolazioni, di sperimentazioni, tra cui, giustamente,
queste consapevolezze mistiche, o divine, posò la sua ciotola nel
fiume, che scorreva proprio davanti a lui e si disse:"Se veramente io
sono destinato a scoprire qualche cosa del tutto nuova, che il mondo
ignora, oggi, completamente, che la ciotola non galleggi nel senso
della corrente, ma che rimonti contro di essa!". Fu quanto avvenne.
Poco importa preoccuparci dell'aspetto leggendario, o miracoloso di
tale storia. Ciò che interessa è che rappresenta un modo per
illustrare come quel che Buddha scoprì fosse assolutamente
rivoluzionario e contrario a quanto si conosceva, a quanto fosse stato
appurato, ed insegnato, sino a quel momento, nell'intero universo. Di
che si trattava?
Riguardava il pa#7789;iccasamupp#257;da in ordine inverso. Il monaco Gotama
visse un'esperienza concreta, considerato che non ne conosceva affatto
la teoria. Egli ha realizzato l'esperienza dell'ordine inverso. Cioè,
non ha mancato di conoscere quel che appariva alla sua coscienza, non
ha omesso di portarvi sopra la propria attenzione, non l'ha ignorato.

Ciò che è successo di straordinario fu che, logicamente, tale
coscienza, tale sensazione, tale contatto e tale oggetto non sono
sorti. Hanno cessato di apparire ed avvenne, a quel punto,
l'interruzione del ciclo in cui la coscienza si mostra, con il suo
oggetto. Non nacque, dunque, una sequela, né un seguito. Cosa divenuta
impossibile a causa di quella interruzione. Egli sperimentò ciò che
viene chiamata la cessazione, la cessazione della non conoscenza,
dell'ignoranza, dell'incapacità di apprendere; fatto che ha provocato
la fine di quanto, per una volta, non venne ignorato.

La cessazione della conoscenza

Ecco perché Buddha non dice:" L'apparizione della conoscenza", ma:"La
cessazione dell'ignoranza". Perché, se avesse dichiarato
"l'apparizione della conoscenza", ciò avrebbe significato che prima si
conosceva, si apprendevano i fenomeni con l'ignoranza; mentre, poi,
essi vengono assimilati con la conoscenza. No, egli dice:" vi è la
cessazione dell'ignoranza", poiché, giustamente, appare l'interruzione
del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere?
Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base
della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di
mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con
essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell'ignoranza. E' un
fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta
di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza
trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa,
quando si trova nel sams#257;ra, mentre, invece, esiste quella
soprannaturale, che sa...

L'esperienza che ha vissuto il monaco Gotama è del tutto sconcertante,
del tutto incredibile. E, d'altronde, la questione non può più porsi
in termini di credenze. La cessazione dell'ignoranza accompagna,
forzatamente, quella della conoscenza. E' quando non c'è più nulla da
conoscere e neppure la coscienza che possa apprendere, che noi
giungiamo alla cessazione di quel che Buddha chiama l'ignoranza.
nibb#257;na e parinibb#257;na

L'apparizione della coscienza

A partire dal momento in cui la coscienza appare, vuol dire che, da
qualche parte, esiste una falla. Essa sorge, quando vi è, qui o là,
una piega; o, anche, un rilievo. Si mostra con il suo oggetto, perché
c'è dell'ignoranza.
Buddha ha, così, fatto l'esperienza della cessazione della conoscenza
e del suo oggetto. Ecco come, egli dice, si arriva alla fine
dell'ignoranza. Evidentemente, il concetto è un po' radicale. Non si
tratta, tuttavia, di un annichilamento, di uno sradicamento, di un
annientamento completo. Semplicemente, la coscienza, che appare con il
suo oggetto, in funzione di un ciclo ben preciso di successioni e di
concatenazioni (che, in seguito, sperimenterà ogni sorta di collere,
di desideri, di avidità) non si manifesta più.
Tuttavia, per delle ragioni assai difficili da spiegarsi — e,
d'altronde, sembra che non siano neppure chiarite nelle scritture — al
momento in cui la coscienza cessa di mostrarsi con il suo oggetto,
essa ne assume comunque un altro, che è nibb#257;na. E' un fatto molto
particolare, incredibile. La coscienza non può impedirsi di fare
vedere; anche quando non ha nessun oggetto da afferrare (beninteso, se
non esiste nessun oggetto, è chiaro che non può palesarsi) essa
esprime una specie di tendenza, tanto forte, che anche quando un
oggetto palpabile, prensile come un suono, non appare, ebbene prende,
allora, per oggetto, nibb#257;na.

Una scoperta interessante

E' qui che Buddha ha fatto una scoperta interessante; ha realizzato
non soltanto "niroda" — che è la cessazione dell'apparizione della
coscienza e dei suoi oggetti - ma, pure, che quando tutto ciò
sparisce, rimane ancora qualche altra cosa. Non è un foro, né il
nulla, né IL nulla. La coscienza, che non può liberarsi dalle sue
abitudini, prende come oggetto nibb#257;na. Ma, la coscienza che prende
per oggetto nibb#257;na funziona sempre, beninteso, nel ciclo di
pa#7789;iccasamupp#257;da. Essa appare, sparisce, si proietta sul suo oggetto,
vi si incolla, lo sceglie. Quindi, scivola, e sparisce, per lasciare
il posto all'istante coscienziale successivo.

Così, quando lo yog#299; raggiunge nibb#257;na, contempla nibb#257;na, Buddha dice
che questa coscienza che prende per oggetto nibb#257;na è ancora una
fabbricazione insoddisfacente, impermanente, e del tutto
incontrollabile. E tuttavia, se Buddha non avesse visto, toccato
nibb#257;na, come avrebbe potuto sapere che esiste? E' molto particolare,
nibb#257;na. Sarebbe cosa vana cercare di dargli una descrizione
definitiva.
particolarità di nibb#257;na

La particolarità di nibb#257;na è che non appare. Malgrado ciò, la
coscienza lo può assumere ad oggetto, anche se quello non offre nessun
appiglio. La particolarità di nibb#257;na è che può venire conosciuto
dalla coscienza; come la coscienza che lo prende ad oggetto può
totalmente svanire e sparire. Ciò, viene chiamato parinibb#257;na.

E' quel che accade quando lo yog#299; si è allenato, seguendo i consigli
dati dal monaco Gotama, per conoscere nella misura del possibile tutti
i fenomeni che appaiono alla coscienza. Ciò, affinché, giustamente,
l'ignoranza che ne ha provocato l'apparizione cessi e, a quel punto,
prenda ad oggetto nibb#257;na. Da un certo punto di vista, il fenomeno non
è soddisfacente, poiché ancora esiste la coscienza che si lega ad un
oggetto.

Tuttavia, vi è una differenza importante. Tale oggetto non è legato al
pa#7789;iccasamupp#257;da. Non è un oggetto che appare, dispare, ed ha una
forma. Non possiede qualità ed attributi intrinseci; e, neppure,
d'altronde, estrinsechi. Non possiede una forma, non ha una pietra
angolare, non ha asperità. E'molto particolare. Buddha dice che è
vuoto. Non è IL vuoto; è semplicemente vuoto. Finché esiste la
coscienza, vi è una certa forma di coscienza, una certa sua proprietà.
La coscienza senza proprietà... non esiste.
Così, quando la coscienza prende ad oggetto nibb#257;na, a causa
dell'assenza di tessitura, di natura, di definizione; per il fatto che
esso non appare, la medesima non ne risente per nulla. Non ha nulla da
risentire. Poiché, non è né buono, né cattivo; e neppure neutro.

La felicità

Si adopera un'espressione che, sfortunatamente, è, spesso, mal
compresa. (ogni volta che Buddha impiega un termine, il vantaggio è
che ci suggerisce qualcosa; l'inconveniente è di applicare in maniera
riduttiva le nostre categorie concettuali, riferite a quel termine).
Si dice "santi sukha". "Santi sukha" significa un piacere, dovuto ad
uno stato pacifico. Quel che è particolare sta nel fatto che chi
conosce nibb#257;na non prova assolutamente alcun piacere. Proprio perché
non vi nulla da vedere in nibb#257;na, nulla da conoscere, nulla da
ascoltare e per definizione è inconcepibile che possa esistervi una
reazione, una collera, un pensiero, una parola, oppure un movimento.

Sta nel fatto che non vi è nulla da vedere, e non esistono sensazioni,
che appare la beatitudine; questo famoso "santi sukha". Cioè, quel
piacere che nasce perché non esiste piacere. Quella felicità che
appare perché non esiste felicità, e neppure quanto possa suggerirla.
Impiego, a volte, l'espressione:" Si tratta di felicità per
contumacia."

Questa esperienza di nibb#257;na Buddha l'ha fatta. Visibilmente, ciò non
gli recato danni, perché ne è ritornato. Ed anche ben ritornato. Ha
toccato nibb#257;na, conosciuto nibb#257;na, osservato nibb#257;na. Subito dopo
avere avuto questa esperienza ed avere sviluppato delle qualità che
sono peculiari ad un monaco come lui, ad uno yog#299; di par suo, che i
suoi successori, i suoi allievi non potranno sviluppare (specialmente,
la capacità di conoscere tutto di tutto). A quel punto, egli ha
naturalmente provato il bisogno di rifare questa esperienza. Ed è
rimasto assorbito, per sette giorni, nella conoscenza di nibb#257;na.

La conclusione definitiva

Così, egli ha compreso che la coscienza che assume ad oggetto nibb#257;na,
se è, beninteso, calma, sta, tuttavia, ancora... là. Ha avuto, allora,
un'altra esperienza, durante sette giorni successivi; è pervenuto alla
cessazione di pa#7789;iccasamupp#257;da, del ciclo di apparizione della
coscienza e dei suoi oggetti ed è riuscito a far sì che la coscienza
non riapparisse, prendendo ad oggetto nibb#257;na; ma, che, proprio, non
si ripresentasse più. Ha sperimentato nibb#257;na senza alcuna coscienza
residua. Ed evidentemente non se n'è potuto accorgere.
E' per avere fatto questa esperienza che è giunto alla conclusione
definitiva che nibb#257;na è proprio la liberazione totale, irreversibile
e definitiva. Se era giunto a toccare nibb#257;na, a conoscere nibb#257;na, ad
osservare nibb#257;na come avrebbe potuto sapere che rappresentava la fine
definitiva di ogni nostro problema, poiché esisteva ancora una
consapevolezza di nibb#257;na? Esisteva ancora l'apparizione di una
coscienza che tocca, che palpa. E' proprio quando è giunto a questa
esperienza di nibb#257;na, stavolta definitiva, senza alcuna coscienza
residua, che ha compreso che nibb#257;na è proprio la fine definitiva.
Bisognerebbe, piuttosto, dire l'assenza definitiva, totale di
sofferenza. Assenza totale di sofferenza, attraverso l'assenza totale
di infelicità, di collera, di odio, di desiderio, di gioia, di amore,
o di qualunque cos'altro; attraverso l'assenza totale di proprietà, di
coscienza, di sensazione, di oggetto, di colorazione, di forma.

Il modo di utilizzo

Il monaco Gotama ci ha donato un modo di utilizzo che si chiama
Dhamma, che rappresenta, in senso lato, il suo insegnamento. Il modo
di utilizzo di cosa? Di quel che ci permetterà di fare l'esperienza
che si chiama nibb#257;na. Ci ha lasciato lo strumento. Lo strumento
necessario per leggere questo modo di utilizzo. Che è come un cdrom.
E' necessario un computer per poter leggere il cdrom. Allo stesso
modo, per potere accedere a tale modo di utilizzo occorre uno
strumento. Questo strumento si chiama sa#7747;gha. Il sa#7747;gha è la
condizione necessaria di protezione e di trasmissione del Dhamma, che
lo rende accessibile a tutti gli esseri, i quali vogliano ben darsi la
pena di praticarlo e di studiarlo.
Questo insegnamento (Dhamma), veicolato, oggi, da quel che Buddha ha
collocato in terra (il sa#7747;gha) è quanto permette di sperimentare ciò
che si chiama il risveglio. Cioè, la cessazione del pa#7789;iccasamupp#257;da,
o interruzione del ciclo della sofferenza (dukkha). Tale insegnamento
ci è pervenuto, sembra, in ottimo stato; ma, tutto è relativo. In ogni
caso, oggi è accessibile. Siamo estremamente fortunati, per questo;
ma, esso sarebbe nullo se non venisse studiato, compreso e,
soprattutto... se non fosse praticato e realizzato.


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