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 La Cosmogenesi della Dottrina Segreta
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Inserito il - 04/07/2014 : 10:22:49  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
La Cosmogenesi della Dottrina Segreta

di Guido Da Todi

Tratto da: "La Grande Sintesi"
Edizioni Marcovalerio - Torino

[...]

- La Cosmogenesi della Dottrina Segreta -

Uno dei postulati fondamentali della Verità Esoterica è stato, da
sempre, l’identificazione assoluta del microcosmo col macrocosmo. Tale
fusione, naturalmente, ha cancellato ogni minuto frammento
antropomorfico e formale dallo specchio della vita, facendo sfumare i
contorni dei ragionamenti e delle cose in un lago di pura essenza
energetica, da cui proviene l’ondata della molteplicità universa. La
cristallizzazione non ha luogo ad esistere nel palpito eterno della
vita, ma è, invece, l’aspetto finito delle cose. Se noi vogliamo
considerare dal giusto punto di vista la creazione dobbiamo, con uno
scarto mentale innato, come fanno i cavalli selvatici nella brughiera,
per togliere via dal collo qualunque briglia imposta, spazzare dallo
specchio dei cieli la semenza d’oro degli universi, e realizzare,
invece, lo spazio, su cui e con cui essi sono stati disegnati, quale
unica cosa eterna. Lo spazio soltanto, a detta di tutti coloro che
hanno toccato il fondo del problema universale, esiste, ed è la
PRIMORDIALE SOSTANZA ENERGETICA, ETERNO, IN ETERNO MOVIMENTO; il vero
dio degli occultisti, con le sue tre manifestazioni o persone. La
vera tetrakis magica di Pitagora, la vera ed unica realtà .

Un dio ebreo, antropomorfico, che avesse creato ciò in cui egli stesso
sarebbe stato contenuto, non è contemplato dalla Dottrina Segreta.
Tale dio, come ogni cosa definita in qualità e in quantità, verrebbe,
prima o poi, sradicato, nelle sue più intime radici, da quella legge
di movimento assoluto, o il Soffio Perenne degli orientali, che agita
brezze ondulanti sull’energia primordiale, estraendone gli archetipi
eterni in essa contenuti. È una legge, codesta, del movimento innato
di tutte le cose; movimento dinamico e scaturente da sè medesimo,
qualità dell’essere, e che nessuno ha fatto nascere, costituente un
postulato fisso per ogni filosofo degno di tal nome. Come, infatti,
Helena Petrowna Blavatsky dice, si potrebbe, per delle ore discutere
con chi non è pronto, ma solo la sua maturità gli farebbe accettare le
verità occulte; e noi aggiungiamo che è scriteriato voler parlare
sulla primogeneità dell’uovo, o della gallina, tenuto conto che tali
due elementi sono le faccette di una stessa sostanza-base, fons et
origo di ogni cosa. Quindi, un principio universale di vita che, nel
suo aspetto astratto, rimane, rimarrà, per tutti e per sempre,
eternamente inconoscibile, sui cui limiti non verranno mai conficcati
i paletti del confino, sia pur di definizione; un principio che assume
forma di sostanza primordiale onnipervadente e con cui ogni cosa viene
plasmata, quando tale principio, mosso dall’unica qualità che
possiede, il movimento cosmico, il Verbo (che, come sappiamo, è
sinonimo di suono - fattore magico, sia in alto che in basso -),
scende dallo scalino dell’eternità immacolata, e diviene universo,
palese e tangibile. Parabrahaman è il principio astratto;
Mulaprakriti, la corrispondente concretezza energetica, che ne
costituisce il rovescio. Due aspetti di un’unica realtà, non scissa da
sè medesima, ma fluente in un triangolo sostanziale, che non vuole
fessure in esso, o spaccature, quali sono i dualismi tra soggetto ed
oggetto, creato e creatore, ecc..

Ci si perdoni un paragone che può sembrare celia, ma immaginiamo che
lo Spazio-Padre sia un velo gigantesco, i cui confini si sperdano
nell’immensità del per sempre ignoto; le vibrazioni, che scaturiscono,
ovunque, creano delle pieghe, dei corruscamenti sul tessuto, dei
vortici, delle linee. Ecco fatto! Così è, anche, per il nostro caso. I
vortici, le linee, le forme, con le debite proporzioni, sono gli
unici, palesi aspetti di vita, dal microbo, ai gas superiori. Chi ha
dato, allora, l’impulso a tutto ciò ? Nel suo primordiale volto,
nessuno. Il movimento innato è coevo con lo spazio, come dicemmo, e
cicli, e cicli di quella energia che a noi appare come tempo occorsero
a trasformare i gas scaturiti dalla proto-materia metafisica, in globi
e materia infrastellare. Nè, d’altronde, l’armonia delle cose
presuppone un "ens" che le abbia disposte così, poiché, come dice uno
dei Guru della Fratellanza Bianca, ogni essere disarmonico ed ogni
ebete presupporrebbero un dio ebete e disarmonico che li avesse
creati. E, ancora, non esiste - come si può intuire - un’armonia,
archetipo di per sé stessa, ma un fluire universo, che ha per base
solo volontà prorompente di vita.

La natura del ragionamento limitato è corrosione; ciò è chiaro. L’uomo
non sa ancora che la vita proviene dalla morte (e viceversa) e, come
dice il Buddha, non appena un fiore nasce, già comincia a morire.
Questo, il valore metafisico del termine Rosacroce. L’uomo non
immagina che determinare i confini di una cosa significa averla già
distrutta, per poter passare all’emanazione nata da tale sacrificio.

Qui, il valore della parabola della Baghavad Gita (il Vangelo indù ):
" Offri sacrifici agli dei; soltanto attraverso la morte del
precedente, ma assoluta, si passa al susseguente!...". Definire una
cosa significa essere già passati alla seconda. Non si può intingere
due volte il dito nella stessa onda. Assioma antico, ma pur sempre
nuovo agli occhi dell’arcana scuola esoterica. Definire, quindi, le
radici dell’universo ( visto e considerato che non esiste il nulla, ma
la stessa definizione è un tipo di energia impressa nelle fotografie
astrali - il segreto occulto dell’eternità -), significherebbe
strappare lo stesso universo dal solco cosmico. Definire il TUTTO,
significherebbe distruggere il TUTTO, che, di per se stesso, è l’unica
cosa che esiste. E preghiamo il lettore di non considerare tale
ragionamento come il profumo di una dissertazione sofistica, ma come
la reale forza che dà l’immortalità cosciente a tutti coloro che ne
hanno scoperto il senso celato.

Se qualcheduno, mentre voi leggete questo brano , arrivasse a
scoprire, per ipotesi assurda, l’origine del TUTTO, quale noi abbiamo
considerato or ora, vi sarebbe immediatamente un’esplosione a catena
di sistemi solari, che schioderebbe i Valori Universali dalla ruota
eterna su cui poggiano. Nessuno lo ha fatto; neanche i più grandi Dei
del nostro sistema solare, come, spesso, è ripetuto nella Dottrina
Segreta, ne sanno, a proposito, più di un bimbo che gioca a palline,
all’angolo del cortile. Lo stesso Logos Solare, mentre forma un
sistema, vede Parabrahaman, o il Principio Universale, sotto forma di
Mulaprakriti, o sostanza energetica primordiale. La vera nobiltà
dell’uomo sta nel rendersi conto che, mai, si potrà arrivare in fondo
alla creazione; ecco, la garanzia dell’eternità del TUTTO, e della
vera libertà e sapienza e potenza metafisica! Ecco, ciò che vien
detto, tra le righe, e fuori delle righe, dai Saggi dell’Umanità, e
dalla Fratellanza Bianca.

Lo spazio primordiale, o il Padre-Etere degli antichi, è una arpa
armonica - prosegue nell’affermare la Dottrina Segreta - e,
esattamente come, nelle sue più basse forme, esso serve da alveo alle
sottili forze, all’elettricità, al suono, nelle più alte, esso
contiene tutto ciò che esiste in archetipico aspetto. Sette, sono le
orme di questo Proteo; sette, le corde di questa arpa; sette, le
graduazioni di questo gas primordiale. Ed è, qui, nelle profonde e
buie cavità del ventre cosmico, che il numero sette, magico elemento
metafisico, fa la sua prima apparizione. La prima forma di etere,
l’alfa della natura, già noi avemmo occasione di mostrarla; essa è la
onnipervadente ed ineffabile sostanza prima, la pietra filosofale
degli alchimisti, il vero, unico potere dei Maestri ed Iniziati della
Fratellanza Bianca. Di esso, uno degli Adepti dice: "Tale forza
esiste, e potrebbe distruggere, sino alle sue più profonde latebre,
l’universo... ("I Primi Insegnamenti dei Maestri", pubblicati da
Jinarajadasa, Parigi, edizione Adyar - 1924)." È l’unico potere della
natura. La mente, lo spirito, l’invisibile; è il polo negativo
dell’elettricità dei mondi stellari. L’ultima forma dell’etere; è
l’aspetto positivo, o l’omega cosmico. Tra i due poli passano le
cinque rimanenti graduazioni, o ondulazioni, sul "lenzuolo
universale".

A tal punto, l’innesto tra il macrocosmo e il microcosmo, in maniera
tenace, si avvince a se stesso, ed inizia a baluginare alla coscienza
umana il ponte che unisce le cose metafisiche alle manifeste. Il tempo
e lo spazio sono apparsi; l’energia autogenerata si è trasformata,
sotto il ringhio del caos primigenio, in gas. È già apparsa l’occulta
forza tremenda che l’orientale chiama Fohat: cioè, l’effetto, in alto,
della spinta dell’assoluto sul relativo (o la volontà cosmica, che
accende le scintille di vita, nelle lande celesti); in basso, la
semplice volontà dell’uomo, riflesso dall’innato principio di vita,
latente in ogni cosa, ed essente ogni cosa.

Se la dottrina segreta rinuncia a priori all’idea di un dio
personalizzato, caricatura prepotente degli istinti dominatori
dell’uomo, pur sempre essa non è atea, nel senso che si intende dare a
questa parola. Essa afferma che la divinità è, per così dire, diluita
nello spazio, e che non esiste angolo dell’universo che non possegga,
radialmente e potenzialmente, il suo dio eterno. La Dottrina Segreta,
nella dolce e riposante frescura della vera verità, toglie un
dio-feticcio all’uomo, ma gliene rende infiniti, facendoglieli
riconoscere al loro posto; potenzialmente perfetti, presi singoli;
perfetti, nella loro totalità. Difatti, pur se il TUTTO, Parabrahaman,
non può venire analizzato da mente umana, Esso si manifesta soltanto
attraverso gli infiniti aspetti di se medesimo, ognuno eterno, (le
divinità planetarie: le uniche a cui credono i Maestri di Saggezza, e,
con Loro, i seguaci del verbo della Fratellanza Bianca). Il TUTTO è
inconoscibile, ma in Esso esistono infiniti punti neutri, coscienti,
perfetti quando si identificano con l’anima universale, con cui sono
un tutt’uno (gli jiva, o termini fissi di eterno consiglio); ognuno
dei quali è avvolto da uno strato di cristalli, in immortalizzazione,
a loro volta (o prakriti, materiale in eterno cangiamento).

Guardiamo il cielo, durante una notte calma e placida. Quante stelle
fisse! Quante galassie! Quanti pianeti! Ebbene, ogni stella, ogni
pianeta, ogni corpuscolo di polvere interstellare è uno jiva eterno,
circondato, appunto, da quel peso singolo di materia, che egli dovrà
trascendere (lo spirito, che supera la materia; o, Purusha, che sale
in groppa a Prakriti, secondo l’assioma esoterico orientale), per
acquistare coscienza della sua potenzialità d’infinito. Iddio è
l’insieme degli dei!

Ma, torniamo a noi. Lo spazio, o energia primordiale, è divenuto
idrogeno, il quale si complica in ossigeno e nasce, così, anche
l’ozono. Il fuoco-padre, l’aria-­madre, ed il gas veicolo di altri.
Ecco, ancora, la tetrakis, il numero quattro, che, dagli antichi, era
considerato la magia, per eccellenza; il numero simbolico, che
conteneva in sé tutto il divino, ove divino significa il potere umano
di creare. La radice inconoscibile si è tradotta in realtà visibile,
nascendo da sé stessa, sotto forma di quei gas che sono la triade
necessaria a tutte le forme di vita stellare.

Nessuno di questi gas può venire eliminato dalle provette di un
chimico, se egli desidera formarne degli altri. Dicemmo che Pitagora
considerava il numero quattro, il numero divino, per eccellenza. Esso,
infatti, contiene il numero dieci, che è la sintesi di tutti i numeri:
(1 + 2 + 3 + 4 = 10); ma, il numero quattro rappresenta anche la
graduale formazione dei mondi visibili, poiché, in esso, sono
contenute anche le quattro figure geometriche formanti la base delle
cose tutte. Dice, a proposito, un altro assioma esoterico, che dio
geometrizza. Nel nostro caso, il Movimento Dinamico della Vita
Assoluta, nel passare dallo stato immanifesto a quello manifesto,
imprime un moto circolare, sempre più veloce, agli atomi primi
dell’universo, fino a quando l’attrito di tale velocità diverrà così
infuocato - beninteso durante e dopo ere lunghissime - da distruggere
le forme di ciò che aveva estratto dalla potenzialità archetipica. Ed
ecco il punto, o la prima sosta di vita analizzabile, formare circolo;
il piano del circolo girare e divenire solido. Il pianeta è nato.

Gas, polvere cosmica, cometa, nebulosa, universo visibile: la strada
che il Proteo Universale, mordendosi continuamente la coda, compie. A
tratti, lo spazio congelerà parti di se stesso, e sistemi solari si
spegneranno, entrando in un periodo di oscuramento chiamato in lingua
orientale: Pralaya. A tratti, ancora, lo spazio si infuocherà di vita,
e sgorgherà quella forza cosmica chiamata fohat, o elettricità
universale, a chiamare in manifestazione (non in vita) sistemi
stellari spenti. È, appunto, dal risveglio di uno di questi, il
nostro, che prende inizio l’argomentazione della Dottrina Segreta. Non
già dal risveglio della Vita Una, che è la non nata, e l’immortale;
che è il nostro vero io, il TUTTO. Due poli sovrani - giorno e notte,
nero e bianco, vita e morte - che, con la loro danza, incipriano le
guance di questo Pierrot divino, chiamato Maya, o illusione del
relativo, attorno, sopra e sotto di noi.

La coscienza non nasce, ma è parte intrinseca ed immortale di ogni
corpuscolo cosmico, dal più insignificante, al più gigantesco. Essa si
sviluppa e si svilupperà sempre più, assumendo forme magnifiche ed
apoteotiche, ma, nel suo nocciolo, rimanendo il Grande Maestro
Insondabile, per sempre. A cominciare dal piccolo palpito di un
cervellino di rondinella, per finire al Misterioso Sole Centrale,
verso cui gravita la catena di sette sistemi solari, di cui fa parte,
occultamente, il nostro Sole; Coscienza sì grande, che a malapena,
ora, Esseri sublimi iniziano a percepirne le vibrazioni, come ci viene
tramandato dai testi occulti.

Ogni stella vivente è, a detta della Dottrina Segreta, l’abito fisico
e mortale di un dio immortale che lo indossa; ma, pure, ogni sole è la
direttiva magnetica, il nord spirituale di un gruppo di pianeti (nel
nostro caso, sette) che traggono, nell’unione con lui, armonia vitale.
Ed ecco, ancora, il riflesso del grande, nel piccolo; l’identità del
microcosmo, con il macrocosmo. Uno è l’etere, e sette sono i suoi
gradi di intensità. Uno è il Logos Solare, e sette le Sue maschere, o
Logoi Planetari. Uno è l’uomo, e sette le sue principali
manifestazioni di forza occulta, nel corpo eterico, o chakras (che lo
allineano ai sette Logoi Planetari).

E guardiamo, adesso, il nostro Sole; guardiamo questa gigantesca forma
di vita, di cui un Maestro dell’occulto, un Adepto (vedi citazioni
precedenti) dice: "..Il sole non è un globo solido, liquido, e neanche
gassoso, ma una gigantesca sfera di energie elettromagnetiche, riserva
della vita e del movimento universale, le cui pulsazioni radiano in
ogni senso, nutrendo dello stesso alimento l’atomo più piccolo e il
genio più grande, sino alla fine del Mahayuga.." Quando i nostri
antichi (forse noi stessi, in incarnazioni passate, che ci
interessiamo, ora, di conoscenze esoteriche), si inchinavano a tanta
accecante maestà, essi sapevano che, dietro al disco d’oro, esisteva
la Presenza Innominabile di una Realtà Suprema, o il dio personale del
nostro sistema. E, come Parabrahaman svanisce, nei limiti della Sua
infinitezza, così tale Presenza, nel Suo aspetto di "Primo Logos", si
mantiene celato alla creazione, precedendo il Logos Manifesto, o la
dualità di purusha e prakriti (se vogliamo, lo Spirito dell’Universo:
il "Secondo Logos"). Infine, il "Terzo Logos" è l’insieme dei sette
Logoi Planetari, la base delle operazioni intelligenti della Natura e
nella Natura, chiamate anche: Maha-Buddhi. Dai sette Logoi Planetari,
gli Artefici Magici di tutto quanto esiste in manifestazione visibile,
i Sette Arcangeli di fronte al trono di Dio, procede la vita e viene
manipolata, in verità ; dal seno di questi Logoi scaturiscono anche le
monadi umane, come vedremo nei prossimi capitoli, sulla
"Antropogenesi". Ad essi si riferiscono gli Adepti, quando parlano
della propria Anima-Padre; e, cioè, della Potenza che è a capo del
Raggio da cui essi sorgono, e di fronte alla quale, durante le ultime
iniziazioni, vengono posti (Il Padre nei cieli...).

La parabola è conclusa. Parabrahaman, di riflesso, come un fiore che,
con il proprio profumo, tocca l’odorato di un uomo, indirettamente,
emana le cose che contiene da sempre, in sé; ogni universo si
cristallizza in quelle determinate forme, sempre seguendo le leggi di
un dinamismo immanente in ogni cosa, o della divinità latente in ogni
atomo e vita; garanzia della libertà d’ogni essere e della potenziale
perfezione intrinseca al creato stesso, che è UNO. Il TUTTO.


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