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Inserito il - 13/06/2012 : 10:05:46
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Vuole malmenare Yoganandaji, ma si rotola a terra, bruciando
di Swami Kriyananda
Tratto da: (Donald Walters) Swami Kriyananda "IL SENTIERO" (Autobiografia di uno yogi occidentale, discepolo di Paramahansa Yogananda) Traduzione di Mauro Merci Edizioni Mediterranee
Poco dopo l'acquisto di Mount Washington, un visitatore mi chiese (chiese a Yoganandaji) con sussiego: "Su quale patrimonio si basa questa organizzazione?".
"Su nessuno!", risposi. "Su Dio solo."
Il Maestro ricordava questo aneddoto mentre sedeva con noi nel seminterrato dell'edificio di Mount Washington e riandava con la memoria ai suoi primi anni in America. Prossimo alla fine della sua vita terrena, oltre che a impartirci i suoi consigli, dedicava molte ore a cercare di farci sentire parte viva di quel lungo periodo della sua vita precedente al nostro arrivo.
"La mia risposta in quell'occasione era vera, letteralmente", rise il Maestro. "Non avevamo neanche una lira! Ma sarebbe altrettanto vera oggi sebbene la nostra opera si appoggi ora su solide basi finanziarie. La nostra sola forza è stata sempre Dio. Potremmo perdere tutto, materialmente, eppure, col Suo amore, possederemmo sempre ciò che realmente conta".
"Anni fa arrivò qui un uomo facoltoso che pensava di potermi comprare con le sue ricchezze. Sapendo quale disperato bisogno di denaro avessimo, egli cercò di farmi scendere a un compromesso, rinunciando ai miei ideali. Rifiutai. Infine disse: "Morirete di fame a non volermi ascoltare". Mi criticò poi con un suo conoscente pure ricco, studente yoga in questa organizzazione, e fu proprio questo l'uomo che Dio scelse per darci l'aiuto di cui avevamo bisogno!".
"Anni dopo, dovemmo affrontare una crisi finanziaria. Avremmo potuto perdere Mount Washington se non avessimo fatto fronte al debito che gravava sulla proprietà. Me ne andai nel deserto e meditai per tutta la notte. "Madre Divina", pregavo, perché mi hai addossato questa responsabilità? Sono venuto in occidente per parlare di Te, non per dovermi preoccupare di problemi organizzativi! Se tu mi toglierai tutto, ciò non significherà nulla per me, eccetto la mia libertà! Madre, di' una parola ed io andrò nel deserto senza neppure voltarmi indietro!".
"Alle tre del mattino ebbi la risposta che attendevo. "Io sono la tua banca e i tuoi risparmi. Che vuoi di più, tu che hai me? La danza della vita e la danza della morte, entrambe, sappi, procedono da me. Rallegrati figlio mio!".
"Il giorno seguente giunse con la posta una vaglia per l'esatto ammontare della somma che ci occorreva".
Il Maestro diceva spesso: "Il più felice degli uomini è colui che affida tutto a Dio". Ci raccontò anche una divertente storiella per illustrare la sua preferenza per una vita semplice, scevra di ogni ostentazione.
"Un mio studente benestante desiderava comprarmi un cappotto nuovo. Mi portò in un notissimo negozio di abbigliamento e mi invitò a scegliere quello che più mi piaceva. Ne vidi uno che mi parve bello e allungai la mano, ma la ritirai subito perché scorsi anche il cartellino col prezzo, davvero esorbitante". "Sarei proprio felice di comprarvelo", insistette il mio amico e per giunta acquistò anche un cappello che si accompagnava bene al cappotto. Apprezzai la sua generosità nel farmi tutti quei regali, ma ogni volta che indossavo i nuovi indumenti mi sentivo a disagio. Possedere oggetti costosi è una responsabilità".
"Madre divina", pregai infine, "questo cappotto è troppo bello per me. Ti prego, toglimelo".
"Subito dopo dovevo tenere una conferenza al Trinity Auditorium. Sentii che il cappotto mi sarebbe stato sottratto quella sera stessa, perciò vuotai le tasche. Terminata la conferenza, infatti, del cappotto con c'era più traccia. Che sollievo!".
"Però mi accorsi dell'omissione: "Madre divina", pregai, "hai dimenticato il cappello!".
Continuò poi raccontandoci di un uomo che aveva conosciuto molto tempo prima a New York. "Egli mi disse: 'Non riuscirò mai a perdonarmi per aver impiegato trentacinque anni della mia vita a guadagnare il mio primo milione di dollari'. 'Non sei ancora soddisfatto?', gli chiesi. 'No. Non mi riterrò soddisfatto finché non possederò quaranta milioni!'. Sapete come finì? Prima di riuscire ad accumulare i suoi quaranta milioni e ritirarsi dagli affari per passare il resto della sua vita in pace e felice, cadde vittima di un totale esaurimento nervoso e, non molto tempo dopo, morì".
Mentre scrivo queste righe, è passata meno di una settimana dalla morte di Howard Hughes, uno degli uomini più ricchi del mondo. La radio ha trasmesso la sua risposta a una domanda rivoltagli durante una recente intervista: "Siete felice?". "No", fu la risposta del multimilionario. "Non posso davvero dire di essere felice".
"Non occorre possedere una cosa per godersela", diceva il Maestro. "Possedere beni materiali va bene, purché non siano essi a possedere voi; ma spesso questo fatto si riduce a una serie di preoccupazioni che altrimenti non avreste. E' molto meglio quindi possedere ogni cosa in Dio e non aggrapparsi a qualcosa col proprio ego".
Con un sorriso, continuò: "Anni fa visitai a New York il Radio City Music Hall. Dal momento che avevo pagato il biglietto d'ingresso, mi dissi: "Per l'ora o l'ora e mezzo che stai qui dentro, questo palazzo è tuo." Gironzolai dappertutto, godendomi quell'acquisto meraviglioso. Quando poi ne ebbi abbastanza, lo restituii all'amministrazione con tante grazie e me ne uscii, libero come l'aria!".
Una volta il suo distacco dai beni materiali era stato messo alla prova. "Me ne stavo solo all'angolo di una via piuttosto buia di New York, quando dalle tenebre alle mie spalle sbucarono tre rapinatori, uno dei quali mi puntò contro una pistola".
"Fuori i soldi", mi intimarono.
"Eccoli", dissi, per nulla turbato. "Vorrei soltanto che sapeste che non ve li consegno per paura. Ho tanta ricchezza in cuor mio che il denaro, in confronto, non significa nulla per me". Rimasero così stupefatti! Allora li fissai negli occhi con il potere di Dio. Scoppiarono in lacrime e mi restituirono il denaro, esclamando: "Non possiamo più vivere in questo modo!", poi, sopraffatti dall'esperienza, fuggirono".
"Anche in altre occasioni convertii dei criminali, non fui io, ma il potere divino che agì attraverso me. Una sera, durante gli anni della depressione, parlai davanti a migliaia di persone alla Carnegie Hall e criticai aspramente il modo con il quale certi ricchi approfittavano della povertà altrui. Menzionai anche alcuni nomi. Alla fine della conferenza parecchie persone mi consigliarono di non tornarmene a casa da solo".
"Dio è con me", risposi. "Di chi potrei aver paura?".
"Entrai da solo in un settore fiocamente illuminato della stazione e a un certo punto dalla penombra sbucò un uomo che brandiva una rivoltella. "Perché hai parlato contro quella gente?", mi chiese.
"Perché non avrei dovuto?", ribattei. "Dio è per l'uomo povero come per il ricco. Entrambi sono Santi figli; e a lui non piace che il figlio ricco sfrutti i suoi figli poveri".
A questo punto della storia che il Maestro narrava, fra noi corse qualche risatina soffocata. Come sembrava assurda questa ingenua spiegazione di fronte alla minaccia dell'uomo di assassinarlo!
Yogananda continuò: "Guardai poi con fermezza quell'uomo negli occhi e gli dissi: "Perché vivi in questa maniera? Non sei felice. Esigo che Satana esca da te e che tu muti!".
"L'uomo fu preso da un tremito convulso, poi, tutt'a un tratto, lasciò cadere a terra la pistola e si inginocchiò ai miei piedi. "Cosa mi avete fatto?" gridò piangendo. "Ero stato mandato per uccidervi".
"Non ce la faresti mai", dissi io. "Raccogli la tua arma e gettala". La sua vita fu totalmente trasformata da quell'incontro.
Il Maestro ci raccontò anche di un'altra conversione avvenuta dopo un raduno alle Carnegie Hall. "Avevamo cantato l'inno 'O Dio meraviglioso!' per più di un'ora e tremila persone si erano unite a me nell'intonarlo. Molte erano in estasi. In seguito, un uomo fece irruzione nella saletta dove concedevo le interviste. Gettando con intensa emozione una rivoltella sul tavolo, gridò: 'Dovrei uccidervi per quello che mi avete fatto stasera! Non potrò mai più ritornare alla vita di un tempo'".
"Tale è il potere dell'amore di Dio!".
"Vi furono però occasioni", continuò il Maestro, "nelle quali il Suo potere fluì attraverso me in tutt'altro modo. Io seguo soltanto la Sua volontà. Una sera a Chicago stavo per entrare in un parco. Erano gli anni della depressione e, come sapete, Chicago era allora nota per i suoi gangsters. Un poliziotto mi fermò sul cancello e mi avvertì che era pericoloso entrarvi dopo l'imbrunire. 'Perfino noi abbiamo paura', disse".
"Non me ne preoccupai e mi inoltrai nel parco, andando a sedermi comodamente su una panchina. Dopo qualche minuto un uomo dall'aspetto poco raccomandabile, grosso due volte me, mi si fermò dinanzi".
"'Dammi dieci centesimi!', intimò bruscamente". "Infilai una mano in saccoccia e gli diedi i dieci centesimi". "Dammi un quarto di dollaro!". Gli diedi il suo quarto di dollaro. "Dammi cinquanta centesimi". Gli diedi i cinquanta centesimi. "Dammi un dollaro". "La faccenda non stava certo migliorando e allora, colmo della coscienza del potere di Dio, balzai in piedi e urlai: "LEVATI DI TORNO!". "L'uomo cominciò a tremare come una foglia. "Non voglio il tuo denaro!", brontolò. Arretrando intimorito, continuò a ripetere: "Non voglio il tuo denaro! Non voglio il tuo denaro!". Poi si volse di scatto e fuggì gambe levate come se la sua vita dipendesse dalla fuga".
"Mi sedetti di nuovo in pace sulla panchina e contemplai il sorgere della luna. Più tardi, quando uscii dal parco, lo stesso poliziotto di prima mi chiese: "Cosa avete detto a quell'uomo? Lo vidi con voi, ma non ho osato intervenire. Ha un carattere pericoloso!".
"Oh", risposi con tono noncurante, "siamo addivenuti a un accordo".
Che il Maestro proteggesse con l'amore o con misure più energiche dipendeva dall'ispirazione che riceveva in cuor suo. Forse riservava l'amore per coloro che possedevano un'innata sensibilità, ma si erano trovati a soccombere alle influenze di un ambiente malvagio, e ricorreva invece alla severità nei confronti di coloro che erano gli artefici della propria crudeltà o che, pur non essendo indifferenti a sentimenti più elevati, li avevano però deliberatamente repressi. A proposito di questi ultimi ci raccontò il caso di un uomo che era stato ospite della nostra comunità a Mount Washington negli anni Venti. Sua sorella, una discepola, risiedeva colà.
"Ero seduto sul mio letto una mattina a meditare", narrò, "quando Dio mi mostrò quest'uomo nell'atto di salire le scale per venire a picchiarmi. La sua intenzione era poi di vantarsi pubblicamente di quanto aveva fatto e gettare così discredito sulla nostra opera."
"Dagli il fatto suo!", disse la voce che accompagnò la visione.
"Pochi attimi dopo l'uomo apparve sulla soglia. "So perché sei venuto", gli dissi. "Non puoi rendertene conto, ma sono molto potente e potrei avere facilmente la meglio in uno scontro con te se soltanto lo volessi; non voglio però abbassarmi a tal punto, quindi ti avverto: non varcare quella soglia!".
"Avanti profeta!", replicò in tono di scherno. "Che cosa puoi fare?".
"Ti ho avvertito. Ti dispiacerà molto di non avermi voluto obbedire".
"Ignorò le mie parole ed entrò nella stanza, ma, nell'attimo in cui lo fece, cadde sul pavimento, gridando: 'Brucio, brucio!'. Sempre urlando, balzò in piedi e si precipitò giù per le scale e fuori dall'edificio. Mi affrettai a seguirlo e lo trovai che si rotolava sul prato di fronte, continuando a strillare: 'Brucio, brucio!'. Stesi allora una mano su di lui ed egli si acquietò, ma era ancora terrorizzato dalla mia presenza. 'Non toccarmi!', gridò. 'Non venirmi vicino!'. Mandò la sorella nell'edificio a prendergli i suoi averi e partì immediatamente."
Molti erano sorpresi nello scoprire la vigoria fisica del Maestro. Egli era piuttosto piccolo di statura - un metro e sessanta centimetri circa - e, per quanto fosse ben piantato, non dava l'impressione di essere particolarmente robusto. Possedeva però la forza di chi ha l'assoluto dominio su tutta l'energia del suo corpo.
"Stavo tenendo una conferenza alla Symphony Hall di Boston, ci raccontò, "e il tema erano i nostri esercizi energetici. Accennai alla grande forza fisica che ne deriva e, per dare una dimostrazione, lanciai una sfida: 'C'è qualcuno in sala disposto a provare la mia forza?'."
"Sei poliziotti, uno più grosso dell'altro, balzarono sul palcoscenico! Il pubblico trattenne il fiato. Era sicuro che avrei fallito la prova".
"Mi misi con le spalle al muro, fronteggiandoli. Poi chiesi agli uomini di spingere tutti insieme contro il mio stomaco con forza. Mi obbedirono. 'E' questo il meglio che sapete fare?', chiesi".
"Si", assicurarono essi brontolando.
"Di scatto inarcai la schiena e tutti e sei gli uomini ruzzolarono nella fossa dell'orchestra!".
Chi di Paramahansa Yogananda conosceva soltanto lo straordinario amore e la compassione, la sua dolcezza, la sua semplicità di bimbo, era preso talvolta alla sprovvista, scoprendone la forza. Pochi riuscivano a comprendere che il potere e l'amore divino sono facce opposte della stessa medaglia. L'amore divino, infatti, non è un dolce sentimento, ma la più possente forza dell'universo. Esso non può esistere senza l'energia. I grandi santi non usano mai tale potere per reprimere o sopprimere gli altri, ma ciononostante il potere fa parte di ciò che si intende per santità. Gesù Cristo, per esempio, dovette fare appello a uno straordinario vigore per scacciare, solo in mezzo alla folla, i mercanti del tempio. Ad essi era permesso, per tradizione, di rimanervi. La gente comune teme questo potere dei santi e perciò li perseguita; non si accorge che tale potere è radicato nell'amore e che non minaccia se non le loro illusioni e le loro sofferenze provocate dall'ignoranza.
Il vigore di Yogananda non fu soltanto un prodotto della sua coscienza divina; anche la sua personalità umana rifletteva le sue passate incarnazioni come guerriero ed eroe vittorioso. A Calcutta, in gioventù, fu avvicinato varie volte da persone che cercarono di indurlo a mettersi a capo di una rivolta contro la dominazione inglese. Nel suo stesso portamento c'era qualcosa che rivelava l'intrepido condottiero.
Egli sapeva essere molto franco quando la situazione lo richiedeva. L'insincerità non apparteneva alla sua natura. Una volta, incapace di trovare una scusa per esimersi dal parlare all'alta società di New York, dopo un banchetto, disse quanto aveva in cuore e rimproverò severamente i suoi ascoltatori per la futilità della loro vita. Non si trattò di una condanna. L'indignazione che espresse era piuttosto nel loro interesse. Descrisse chiaramente le loro illusioni e li esortò a non trascorrere un'intera incarnazione nella pigrizia spirituale. L'uditorio rimase sbalordito. Molti piansero.
Eppure quell'esperienza, per quanto penosa, fu una conseguenza del loro buon karma. Poche persone nella vita hanno modo di essere guidate da un uomo di saggezza divina. Il Maestro stesso disse una volta al dottor Lewis: "Nessuno ha incrociato il mio sentiero, in questa vita, senza una ragione".
Un altro episodio che spiega quanto fosse franco il Maestro, avvenne in occasione di una visita che egli fece a una organizzazione vegetariana. "Fui invitato a ispezionare la loro sede", mi narrò. "Essi credevano nei cibi crudi o, come li chiamavano, "non esposti al fuoco". Mi fecero girare per le cucine e mi condussero quindi nella sala da pranzo, dove mi servirono il cibo peggiore che io abbia mai mangiato in vita mia. Dopo questa calamità epicurea, mi pregarono di pronunciare un discorso!".
"Scusatemi", dissi, "ma preferirei non parlare".
"Oh, ma dovete", insistettero. "Qui tutti sono ansiosi di udirvi".
"Non vi piacerà quello che sarò costretto a dire", li avvertii, ma essi non vollero sentir ragione. Allora mi alzai.
"In primo luogo", dissi, "non ho mai assaggiato in vita mia cibo peggiore. Cosa vi fa pensare che ci sia una virtù nel preparare dei pasti così disgustosi? Il godimento del cibo aiuta la digestione. Voi tutti però immaginate che quanto mangiate sia salutare. Non lo è assolutamente; anzi, presenta una seria carenza di valore nutritivo".
"A questo punto erano tutti agitatissimi! "Non sapete quello che state dicendo!" urlavano".
" 'Vi esorto a prendere sul serio le mie parole', ripresi, 'poiché, se non migliorerete la vostra dieta, fra quindici giorni uno di voi morirà di denutrizione'."
" 'Ci state gettando addosso una maledizione'."
" 'Non sto facendo niente del genere', dissi. 'Voi maledite voi stessi col vostro fanatismo!'."
"Non vollero ascoltarmi e quindici giorni più tardi uno di loro morì e ben presto l'intera organizzazione si sciolse".
Il Maestro accettava il male come una parte incresciosa, ma necessaria, del dramma cosmico e lo combatteva soltanto in coloro che cercavano il suo aiuto spirituale. "La parte del cattivo sul palcoscenico", era solito dire, "è di indurre gli spettatori ad amare ancor più l'eroe. Analogamente, la parte del malvagio nel dramma della vita è di incitare la gente alla ricerca del bene". Vi erano occasioni, tuttavia, nelle quali diveniva un angelo vendicatore, in modo particolare quando erano in gioco le vite dei suoi discepoli o quelle dei loro cari.
La madre di un suo discepolo soffriva di un cancro al seno. Scoperta una clinica che pubblicizzava una cura per il cancro di recente scoperta, definita miracolosa, ella vi entrò speranzosa.
"Tutto quello che facevano ai loro pazienti", narrò il Maestro, "era somministrare loro dell'acqua! Spillavano il denaro, ma non li nutrivano a sufficienza e si limitavano ad aspettare che morissero. Quando venni a conoscenza dl loro complotto, esclamai: "Madre Divina, distruggi quel luogo!". Neanche un mese più tardi la polizia vi fece irruzione e lo chiuse. Tutti i responsabili vennero incarcerati".
Continuò narrandoci della successiva morte di quella donna. "La vidi nel mondo astrale. Quando la raggiunsi, un angelo la stava conducendo via ed era meravigliata per lo splendore dei fiori che sbocciavano sul prato in cui si trovava. La chiamai, ma non mi udì. La chiamai di nuovo e stavolta si voltò, ma non mi riconobbe.
Durante l'estremo trapasso, vedete, aveva dimenticato. Allora la toccai e finalmente avvenne il riconoscimento. "Non ti dimenticherò mai più, promise. Poi, aperta la sua tunica svolazzante, mi mostrò dove il cancro l'aveva colpita. 'Vedi?', disse con un sorriso. 'E' guarito adesso!'."
"Poco dopo la vidi di nuovo, nel tramonto".
Il Maestro ci spiegò che dopo la morte del corpo fisico l'anima rimane racchiusa in un corpo sottile di energia, conosciuto come "corpo astrale". Questo è il prototipo del corpo fisico. L'universo astrale, in modo analogo, è il prototipo del più grossolano universo materiale. Quando una persona muore, sopravvive nel suo corpo astrale e può, anche se è anche leggermente evoluta spiritualmente, abitare un pianeta astrale con vibrazioni in armonia con le sue. La lunghezza della permanenza colà è determinata dal suo karma.
In uno dei capitoli di Autobiografia di uno yogi che più mi ispirarono, Paramahansa Yogananda descrive in forma particolareggiata l'universo astrale. Esso è composto, dice, di infinite vibrazioni di energia. Paragonato al mondo fisico, il paradiso astrale è di una inesprimibile bellezza. Non tutti, però, accedono a questo paradiso dopo la morte. Come dice Gesù: "nella casa del Padre mio ci sono molte dimore" (Giovanni, 14:2).
Molte anime sono attratte dalle loro vibrazioni a sfere d'esistenza meno esaltanti, per quanto non disarmoniche. Altre, non avendo creato che disarmonia durante la loro vita sulla terra, sono attratte dalle loro vibrazioni negli inferni astrali. I materialisti hanno spesso soltanto un'oscura coscienza del mondo astrale fra l'uno e l'altro soggiorno terreno. Chi sulla terra ha sviluppato in sé buone qualità, invece, soprattutto se ha meditato e acquisito in qualche misura la coscienza della propria anima, dopo la morte viene attratto nei mondi astrali più alti.
Per il Maestro, la morte non era "una terra inesplorata dopo aver varcato i confini dalla quale nessun viaggiatore ha mai fatto ritorno". Ci disse di passare molto del suo tempo nel mondo astrale. Così per lui non vi era tragedia quando qualcuno moriva, ma al tempo stesso era troppo colmo di calore umano per non partecipare al lutto di chi restava sulla terra. Egli condivideva affettuosamente il loro dolore, e a volte offrì più della propria partecipazione, dal momento che riportò in vita il defunto.
Un caso ebbe come protagonista una signora di Encinitas. Fu il maestro stesso a narrarmi l'accaduto.
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