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 La Cina è ormai una fabbrica di automi
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Inserito il - 23/11/2011 : 10:53:30  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
La Cina è ormai una fabbrica di automi

22 novembre 2011

Anche la Cina sente la crisi. L’Europa e gli Usa che non crescono più portano il Grande Produttore ad avere gli stessi problemi dell’Occidente: fabbriche in chiusura, manodopera in migrazione. E allora, racconta Giampaolo Visetti su Repubblica, la soluzione è una:

Così la Cina tenta la carta della migrazione interna, strappando altra manodopera alle campagne. E soprattutto della tecnologia: robot al posto degli uomini, per fare i lavori più pesanti ed evitare un’escalation di rivendicazioni. Come farà la Foxconn, gigante hi-tech colpita da una raffica di suicidi di operai sconvolti da ritmi di lavoro insostenibili. L’incubo delle autorità di Pechino è l’esodo di massa degli stabilimenti costieri verso le sottosviluppate regioni dell’Ovest. Una concorrenza interna insostenibile: sgravi fiscali, sconti sui terreni e salari al limite della soglia di povertà garantiscono alle imprese risparmi fino al 20%. In dieci anni nel Guangdong i salari sono saliti del 94%, più 28% dall’anno scorso: impossibile reggere la rimonta dei nuovi distretti del Sudest asiatico, Bangladesh, Vietnam, Cambogia e Indonesia in testa. Per non finire come Taiwan e Giappone, a cui proprio il Guangdong decimò il sistema industriale con la legge della delocalizzazione votata ai massimi ribassi, per riempire i capannoni si punta alla migrazione interna.

Una guerra tra poveri, innescata dallo stesso governo cinese per «raccogliere i frutti dai rami più bassi» nelle aree depresse della nazione:

2164 euro all’anno la paga di un operaio nel Guangdong, 1640 nello Hunan, addirittura 1530 nello Henan, meno di 130 euro al mese. Margini di guadagno sempre più bassi: l’Occidente non assorbe più merce, l’inflazione cinese cresce, l’ambiente distrutto presenta il conto, i consumi interni non sostituiscono il calo dell’export e le banche iniziano a chiudere i crediti. La seconda potenza economica del pianeta redistribuisce così le sue forze, la produzione emigra cinquecento chilometri verso ovest e il tentativo di ammorbidire il raffreddamento economico (Pil a più 9,2 nel 2012, rispetto al più 9,4 di quest’anno) solleva un’ondata di sommosse senza precedenti. I produttori abbandonano il Guangdong e gli operai si ribellano. Sommosse incontenibili da settimane, culminate ieri a Lufeng con la rivolta di migliaia di persone, scese per le strade scandendo slogan contro la «dittatura» e contro la «corruzione » dei funzionari. Le rivolte, con feriti e centinaia di arresti, sconvolgono però anche le multinazionali straniere, impegnate a dismettere gli investimenti nei distretti orientali per riaprire dove i risparmi superano il 40%.

Niente sindacati, milioni di ex contadini disoccupati disposti a tutto, aree a volontà:

I colossi però sono già oltre e puntano sull’addio definitivo agli operai. Il caso-simbolo è la Foxconn, l’impresa più grande del mondo, oltre un milione di dipendenti solo in Cina. A Shenzhen assembla la maggior parte dei prodotti hi-tech che stanno cambiando l’umanità, per conto di marchi come Apple, Nokia e Cisco. Sconvolta da un’ondata di suicidi, 18 in pochi mesi nel 2010, ha annunciato ieri che entro il 2012 produrrà 300 mila robot, destinati a diventare un milione entro il 2014. La grande fuga delle industrie dal Guangdong rischia così di chiudere per sempre l’era della manodopera, per aprire quella del lavoro totalmente meccanizzato. Gou Tai-ming, presidente del colosso con base a Taiwan, ha assicurato che per ora i robot non ruberanno il lavoro agli operai, limitandosi a svolgere mansioni pericolose, operazioni di precisione e operazioni che espongono agli effetti di sostanza tossiche. «È chiaro però — ha dichiarato — che l’aumento del costo del lavoro mette sotto pressione l’industria cinese, costretta a trovare presto soluzioni». Questione di tempo. Foxconn, da alcuni mesi, sperimenta già 10 mila robot alla catena di montaggio e da agosto ha delocalizzato i prodotti di punta nelle nuove fabbriche di Zhengzhou, nello Henan, e a Chengdu. «I robot non si suicidano — ha commentato Lin Xinqi, direttore del dipartimento risorse umane della Renmin University of China — non rivendicano diritti e se gli ordini calano basta spegnerli». È l’ultima frontiera del miracolo cinese: addio Guangdong e addio operai, scocca l’ora dei robot di Chongqing.

Fonte: giornalettismo.com
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