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 CARL GUSTAV JUNG: MAPPE PSICHICHE
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Inserito il - 16/10/2009 : 10:27:21  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
CARL GUSTAV JUNG: MAPPE PSICHICHE

di Mirella Costa

Analizziamo qui una mappa della coscienza di Carl Gustav Jung e in parte da lui commentata: "La coscienza è per così dire una superficie o una pellicola che si distende su un'ampia area inconscia di cui non ci è nota l'estensione".

Un quinto o un terzo o forse anche la metà della nostra vita di uomini trascorre in una condizione di incoscienza. La nostra prima infanzia è incosciente. Ogni notte sprofondiamo nell'inconscio, usufruendo di una coscienza più o meno chiara soltanto in certe fasi che stanno fra la veglia e il sonno. Dobbiamo ammettere che quando diciamo "Io" non possediamo un criterio assoluto per sapere se abbiamo o no una completa esperienza di questo "Io". Può darsi che la nostra percezione dell'Io sia ancora frammentaria e che nel futuro ci saranno delle persone che sapranno ciò che l'Io significa per l'uomo in modo molto più completo di quanto facciamo noi attualmente. La coscienza è, per così dire, una superficie o una pellicola che si distende su un'ampia area inconscia di cui non ci è nota l'estensione. Oltre a ciò lo psichismo cosciente è caratterizzato da una certa limitatezza. In un dato momento esso può accogliere simultaneamente soltanto un numero ristretto di contenuti. In quell'istante tutto il resto è inconscio e noi riceviamo l'impressione di una sorta di compatta continuità della sfera cosciente o percepiamo e comprendiamo una generale coerenza soltanto attraverso il succedersi e l'alternarsi di tali "istantanee" coscienti. Non possiamo mai cogliere una immagine della totalità perché la nostra coscienza è troppo limitata; possiamo soltanto osservare lampi di esistenza. E' sempre come se guardassimo attraverso una fessura in modo da vedere soltanto un particolare settore, tutto il resto è oscuro e in quel momento noi non ci rendiamo conto di ciò. L'area dell'inconscio è immensa e non si interrompe mai, mentre l'area della coscienza è un campo ristretto di visione momentanea e mutevole.

La coscienza è senz'altro il prodotto della percezione e dell'orientamento nel mondo esterno. Essa è probabilmente localizzata nel cerebrum, che è di origine ectodermica e che fu probabilmente un organo sensoriale della pelle al tempo dei nostri lontani progenitori. La coscienza, in quanto deriva da codesta localizzazione nel cervello, conserva quindi probabilmente questo aspetto della sensazione e dell'orientamento. Non è un caso che gli psicologi francesi e inglesi degli inizi del XVII e del XVIII secolo abbiano cercato di far derivare la coscienza dalle sensazioni come se essa consistesse unicamente di dati sensoriali. Ciò si trova espresso nella famosa formula Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu. Si può osservare qualcosa di simile nelle moderne teorie psicologiche. Freud per esempio non fa derivare gli elementi consci dai dati sensoriali, bensì l'inconscio del conscio, il che rappresenta il medesimo punto di vista razionale.

Secondo me la questione va posta in modo capovolto: io direi che la cosa che viene per prima è ovviamente l'inconscio e la coscienza sorge effettivamente da una condizione inconscia. Nella prima infanzia agiamo inconsciamente; le funzioni più importanti di una natura istintiva sono inconsce e la coscienza è più che altro il prodotto dell'inconscio. Questo processo richiede i più violenti sforzi. Vivere consciamente è faticoso e può condurre allo sfinimento. Lo sviluppo della coscienza è uno sforzo quasi innaturale. Se si osservano degli uomini primitivi, per esempio, si vedrà che alla minima provocazione o anche senza alcuna provocazione essi diventano assenti e, per così dire, scompaiono. Possono stare seduti per ore di seguito, e quando gli si chiede: "Cosa stai facendo? A cosa pensi?" essi si sentono offesi, perché dicono: "Soltanto un pazzo pensa, ha pensieri nella testa. Noi non pensiamo". Se pensano per davvero, lo fanno più che altro con ventre o col cuore. Alcuni appartenenti a tribù negre sono persuasi che i pensieri risiedano nel ventre: perché essi si rendono conto soltanto di quei pensieri che recano effettivo disturbo al fegato, agli intestini o allo stomaco. In altre parole essi sono consci unicamente dei pensieri emotivi. Affetti ed emozioni sono sempre accompagnati da evidenti innervazioni fisiologiche.

Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi, e naturalmente io rimasi piuttosto meravigliato e chiesi loro perché. "Ebbene" risposero "essi affermano di pensare con le loro teste. Nessun uomo normale pensa con la testa. Noi pensiamo col cuore". Questi uomini si trovano ancora, per così dire, nell'epoca omerica, allorché il diaframma (Diaphragma, phren = spirito, anima) era la sede dell'attività psichica. Ciò comporta una localizzazione psichica di natura differente. Il nostro concetto di coscienza colloca il pensiero nelle nostre teste così magnificate. Gli indiani Pueblo fanno invece derivare la coscienza dall'intensità del sentimento. Per loro non esistono pensieri astratti. Poiché gli indiani Pueblo sono adoratori del sole, presentai loro il noto argomento di Sant'Agostino. Spiegai loro che Dio non è il sole ma colui che ha creato il sole. Essi non potevano accettare ciò in quanto non riescono ad andare al di là delle percezioni dei loro sensi e dei loro sentimenti. Per questa ragione la coscienza e il pensiero sono, secondo loro, localizzati nel cuore. Per noi, d'altro lato, le attività psichiche non hanno alcun significato. Riteniamo che sogni e fantasie siano localizzate "giù in fondo" e perciò vi è chi parla del subsconscio, cioè di quelle cose che stanno sotto la coscienza.

Il fatto importante riguardo alla coscienza è che nulla può essere conscio senza un Io a cui fare ' riferimento' Se qualcosa non è messo in relazione con l'Io, allora non è conscio. Si può quindi definire la coscienza come una relazione con l'Io di fatti psichici. Che cos'è questo Io? L'Io è un stato di tipo-complesso che è innanzitutto costituito da una coscienza generale del proprio corpo e della propria esistenza, e secondariamente dai dati della propria memoria; si ha una certa idea di essere stati e si possiede una lunga serie di ricordi. Questi due sono gli elementi costitutivi fondamentali di ciò che chiamiamo l'Io. Si può quindi indicare l'Io come un complesso di fatti psichici. Questo complesso possiede un grande potere di attrazione, come se fosse un magnete: attira taluni contenuti dall'inconscio, cioè da quell'oscuro regno di cui nulla sappiamo; attira anche impressioni dall'esterno, e quelle parti che entrano in connessione con l'Io diventano consce. Se ciò non avviene, esse restano inconsce.

La mia idea dell'Io è che esso sia una specie di complesso. Naturalmente il nostro Io è il complesso che prediligiamo, quello a cui siamo più attaccati e affezionati. E' sempre al centro della nostra attenzione e dei nostri desideri e rappresenta il punto focale assolutamente indispensabile della coscienza.

fonte: http://digidownload.libero.it/maloca
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