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Verso il Tempio 3
di ANNIE BESANT
<VERSO IL TEMPIO>
(parte terza)
(PURIFICAZIONE - CONTROLLO DEL PENSIERO LA FORMAZIONE DEL CARATTERE ALCHIMIA SPIRITUALE SULLA SOGLIA)
Traduzione di GINA MIGNANI
LA FORMAZIONE DEL CARATTERE
Nel cominciare la terza conferenza di questo corso, occorre che come premessa io ripeta l'avvertimento già dato nella prima conferenza in merito ai requisiti sui quali parlerò ed alla linea di pensiero e di azione che dovrà essere seguita da coloro i quali sono in quella con dizione da me definita «la Corte esterna». Ricorderete che io vi dissi che la posizione di un aspirante arrivato alla Corte è molto diversa da quella dell'uomo, sia pur buono virtuoso e religioso, che non abbia ancora visto la mèta innanzi a sè, che non si sia reso conto dell'imponenza del proprio compito.
Desidero nuovamente ricordarvi che in tutto quanto vi dirò, nel tracciare i requisiti di coloro che sono giunti nella Corte, terrò sempre presente il punto di vista dell'autoallenameuto verso uno scopo definito; ed inoltre, che nel riferirmi ai suddetti requisiti non intendo dire che essi debbano essere portati alla perfezione durante il tempo in cui l'aspirante rimane nella Corte esterna del Tempio.
E'sufficiente che egli cominci, per così dire, la formazione del suo carattere, che si renda conto il piú chiaramente possibile dell'opera ch'egli deve compiere, e che cerchi di diventare - con maggiore o minor successo - ciò che egli aspira ad essere. Non occorre che la perfetta purificazione, o il completo controllo dei pensieri, o la compiuta formazione del carattere o la intera trasmutazione dell'inferiore nel superiore - non occorre che tutte queste perfezioni siano raggiunte prima che egli possa arrivare alla soglia del Tempio. Mentre dimora nella Corte esterna, egli veramente è occupato a tracciare le fondamenta delle sue costruzioni, a divisare con attenzione e precisione le linee di quell'edificio che pensa di portare a compimento.
Il lavoro vero e proprio, la costruzione sulle fondamenta, l'elevazione dei muri sempre piú in alto, il collocamento dell'ultima pietra che è il coronamento finale di tutto il lavoro - tutto ciò ha luogo piú nel Tempio che fuori di esso, quando cioè gli occhi sono stati aperti e non mentre sono ancora parzialmente accecati e l'aspirante si trova ancora nella Corte esterna.
Ma ciò che vorrei che comprendiate anzitutto, è che a questo punto il piano deve essere stato almeno tracciato e riconosciuto. Nel corso dei secoli potrà esserci elargito molto di piú; ma per il momento questo costituisce la meta che il candidato deve raggiungere. Per quanto grandi possano sembrare le aspirazioni, per quanto magnifico possa sembrare lo schizzo che dovrà poi essere perfezionato, essi debbono essere definitivamente stabiliti nella Corte esterna, benchè non perfezionati in tutti i dettagli, e per quanto modesta possa essere l'esecuzione del momento, questa nondimeno rappresenta le fondamenta sulle quali le gloriose gesta del futuro saranno basate.
E questo io lo dico così esplicitamente, pur essendo una ripetizione, perché mi è stato espresso il dubbio che nel presentare una mira tanto vasta per la Corte esterna, nel tracciare una veduta così ampia, alcuni dei miei ascoltatori possano essere sopraffatti da un senso di scoraggiamento, se non di disperazione. Dunque, è bene che tutti comprendano che in un primo tempo, quando viene tracciato l'esordio, si tratta soltanto di un esordio, e che dopo aver passato la soglia vi sono ancora molte vite durante le quali portare a compimento questo esordio; e che questo piano dell'architetto serve di base all'edificio finito.
Ammettendo che su ciò si sia ora d'accordo, ritorniamo alla formazione del carattere, che è un lavoro distinto e positivo che il candidato nella Corte esterna si propone di compiere.
Abbiamo già visto che nelle vite passate egli deve essere stato virtuoso e religioso, cioè egli deve aver già realizzato che nulla di assolutamente vizioso deve dimorare in lui, che nulla di male deve rimanere in lui; qualsiasi seme di vizio sia rimasto dev'essere immediatamente respinto, se una qualsiasi tendenza verso il male esiste tuttora questa deve essere completamente sradicata. Qui, in questa Corte, non deve esservi per lo meno nessun compromesso col male, qui per lo meno non dev'esservi nessuna tergiversazione con ciò che non sia giusto puro e buono.
Mentre possono sussistere delle mancanze nel compimento di ciò che è giusto, non vi deve essere - nel modo piú assoluto - nessun ulteriore compiacimento per ciò che è sbagliato, poiché l'aspirante ha già definitivamente voltato le spalle a tutto ciò che non è buono e puro ; tutta la parte piú grossolana della natura sarà già stata eliminata, tutto quanto concerne la parte piú ordinaria della lotta interna sarà già stato ultimato. Nella Corte del Tempio nessuna pietra completamente rozza può essere portata per la costruzione dell'edificio; il processo di sbozzatura deve essere stato iniziato molte vite addietro, molto lavoro sul carattere deve essere stato compiuto prima che le pietre siano adatte alla costruzione di simile Tempio, sia pure soltanto nella Corte esterna. E questa prima sbozzatura del carattere si suppone sia già una cosa fatta da noi; si tratta ora della costruzione delle vere virtù, di virtù di tipo eccessivamente alto e nobile; virtù che non sono soltanto quelle riconosciute necessarie nel mondo, ma piuttosto quelle che l'aspirante desidera acquistare per poter diventare uno di Coloro che aiutano il mondo, uno dei Salvatori del mondo, quelle caratteristiche che contribuiscono a formare i Redentori del mondo, i pionieri dei frutti primaticci dell'umanità.
Forse la prima cosa che ci colpisce, in questa formazione del carattere da parte di chi si trova nella Corte esterna, è la sua natura ben ponderata. Non è una cosa da fare a sbalzi, da prendere e da lasciare, non è uno sforzo oggi in questa direzione e domani in un'altra, non è un correre alla ricerca di scopi, non è un aggirarsi cieco in cerca di meta; tutto ciò deve essere ormai superato.
Ora lo scopo è riconosciuto, la mèta è nota. E la formazione è ponderata come da chi sa che ha tutto il tempo e che nulla nella Natura va perduto; una formazione sagace che comincia coi materiali a portata di mano, che comincia col carattere preso come si trova, tranquillamente scruta - come vedremo - tutta la sua forza e tutte le sue debolezze e si mette al lavoro per migliorare l'una e portare rimedio alle altre; una foirmazione prudente verso una meta definita, uno scalpellare nel materiale permanente di una statua di cui lo stampo è già stato colato. E così la prima cosa che si noterà in questi candidati nella Corte esterna, è la fermezza di proposito e la ponderatezza dell'azione.
L'uomo sa che porterà con sè tutto ciò che compirà, che vita dopo vita ritroverà i tesori che ha accumulati; sa che se una deficienza è colmata anche solo in parte, la parte colmata rimane e quel tanto di lavoro fatto si ritrova; sa che se egli acquista un potere, questo è suo per sempre, parte dello Spirito che non si staccherà piú da lui, intessuto nelle fibre dell'individuo dal quale mai piú si separerà. E costruisce con ponderato proposito radicato nella conoscenza, riconoscendo la Legge che sottostà ad ogni aspetto della Natura. Realizzando che la Legge è immutabile, sapendo
che su di essa può contare con cieca fiducia, egli si rivolge alla Legge e sa che questa risponderà; egli fa appello alla Legge e confida che questa giudicherà. Non vi è dunque in lui nessuna traccia di indecisione, nessun'ombra di dubbio; le sue elargizioni di oggi costituiranno il suo raccolto di domani, ed ogni grano da lui seminato è seminato con l'assoluta certezza che il seme porterà i frutti della sua specie, che quello e nient'altro che quello gli sarà restituito nei giorni futuri. Nou vi è dunque nessuna fretta nel suo lavoro, nessuna impazienza nelle sue azioni; se il frutto non è ancora maturo, può aspettare ad essere raccolto; se il seme non è germogliato, può aspettare a crescere. Egli sa che la Legge alla quale si è dato è tanto immutabile quanto buona, che la Legge agirà a tempo debito e che questo tempo è quanto occorre a lui ed al mondo.
E così, come ho detto, egli comincia col materiale di cui dispone, contentandosene perché esso è ciò che la Legge gli ha procurato dal suo passato; se ne accontenta perché è con esso che deve fare il suo lavoro, con esso e con niente altro; e sia questo materiale tanto o poco, sia esso povero e meschino oppure ricco e importante, egli lo prende e comincia il suo lavoro sapendo che per quanto misero esso sia al presente non esiste nessun limite alla ricchezza alla quale può essere portato, sapendo che per quanto poco egli abbia oggi non vi è limite nell'abbondanza che può raggiungere negli anni futuri. Sa che deve riuscire; non si tratta di eventualità ma di certezza, non di azzardo ma di solida realtà. La Legge deve restituire l'equivalente di ciò che è stato dato, ed anche se egli ha dato poco, quel poco gli sarà restituito e di ciò egli si servirà per costruire nel futuro, aggiungendo sempre qualcosa a quanto ha già, elevandosi sempre un po'piú in alto ad ogni acquisizione, ad ogni nuova riuscita. Già sappiamo qualcosa del modo in cui egli dovrà costruire; sappiamo che
dovrà cominciare coi buoni pensieri, ed abbiamo studiato il controllo del pensiero, necessario affinché la scelta del buono possa essere fatta ed il male respinto; lavorando indefessamente al controllo del pensiero e conoscendone le condizioni, comprendendo le leggi secondo le quali i pensieri sono generati e come questi agiscano nel mondo e reagiscano sui loro generatori, egli si trova ora nella condizione di scegliere definitivamente il buono per la formazione del suo carattere. E questo stadio di giusto pensare è uno dei primi passi da lui fatti nell'attraversare la Corte esterna.
Innanzi tutto perchè il suo giusto pensare influisce sugli altri - ed il principale scopo di tutti coloro che sono candidati al Tempio sta nel servire gli altri - cosicchè nella scelta dei suoi pensieri, nella selezione di quelli che egli genera o permette alla sua coscienza di avvicinare, il primo movente sarà di considerare l'effetto che questi pensieri avranno sugli altri prima che su sè stesso; al disopra di ogni altra cosa egli è ora desideroso di servire e perciò, mentre sceglie i pensieri verso i quali rivolgere la sua energia, egli tiene conto della loro azione sul mondo esterno - in quale misura agiranno nel portare aiuto o forza o purezza: e nella grande corrente di pensieri che egli sa fare uscire dalla sua coscienza, comprendendo come agisce questa corrente, manderà i pensieri che sono utili agli altri, col proposito deliberato di veramente servire e aiutare il mondo.
In secondo luogo egli deve considerare la natura dei pensieri nei riguardi di sè stesso, in qual modo essi reagiscono su di lui nella formazione del suo carattere, cosa che come vedremo fra poco è di vitale importanza, perchè i pensieri sono veramente gli strumeuti per mezzo dei quali il carattere si forma: e non soltanto per il modo in cui essi reagiscono sul carattere, ma anche perchè mentre formano il carattere trasformano questo in un magnete che attira
altri pensieri. L'uomo viene così ad essere un centro di attrazione di pensieri nobili ed elevati, e non piú, speriamolo, di pensieri malsani; egli farà deliberatainente della sua coscienza un magnete per tutto ciò che è buono ed il male al suo contatto sarà annientato, come vedemmo già la scorsa settimana, mentre tutto ciò che è buono entrerà nella sua coscienza per cogliervi nuovo nutrimento, acquistare nuova forza e nuova energia. I buoni pensieri degli altri che vengono in contatto con lui se ne ritorneranno fortificati da un nuovo impulso di vita ed egli agirà non soltanto come sorgente di aiuto per i pensieri che genera, ma anche come canale per quelli che riceve, vivifica e trasmette.
E questi serviranno alla formazione del carattere, per cui all'inizio del lavoro questo giusto pensare avrà un'influenza predominante sulla sua mente: egli costantemente sorveglierà i suoi pensieri, li vaglierà con cura rigorosa, per impedire che nel santuario della sua coscienza nulla entri di offensivo, poichè se questo non è ben guardato, tutto il resto rimane aperto al nemico. E'la cittadella stessa del castello e nel contempo la porta che dà accesso a tutto.
E durante la formazione del carattere egli imparerà - forse lo avrà già imparato - a sorvegliare le sue parole: queste, per cominciare, debbono essere sincere, scrupolosamente ed accuratamente sincere, non della solita sincerità che si riscontra nel mondo, benché questa non sia cosa da disprezzare, ma di quella scrupolosa e severa sincerità che sopratutto è necessaria allo studioso di occultismo - sincerità di osservazione, di riferimento, di pensiero, di parola e di azione; ove non abbia luogo questa ricerca della verità e questa ansiosa determinazione di diventare sincero, non esiste nessuna possibilità di riuscita in occultismo, il quale altrimenti diventa un pericolo; non esiste allora altra possibilità che di fare una caduta, profonda e terribile, proporzionata all'altezza
alla quale lo studioso era arrivato. Per l'occultista la sincerità costituisce ad un tempo la sua guida e la sua protezione; la sua guida, in quanto che l'intima conoscenza gli permette di scegliere tra la strada giusta e quella sbagliata, il sentiero della mano destra anziché quello della sinistra; la sua protezione, in quanto che soltanto se è avvolto in questa specie di scudo formato dalla verità, tutte le illusioni e gl'incantesimi dei piani per i quali deve passare cadranno inermi ai suoi piedi. E'nella pratica della verità in pensiero in parola ed in azione che a poco a poco si sveglia quell'ultima comprensione spirituale che squarcia ogni velo formato dall'illusione, comprensione contro la quale non esiste più nella Natura nessuna possibilità di inganno.
Ovunque sono stesi dei veli, ovunque nel mondo dell'illusione si trovano queste apparenze ingannevoli, finché l'intima coscienza spirituale non riesca a penetrarle con visione diretta ed immutevole. L'unico mezzo per sviluppare la coscienza intima spirituale consiste nel radicare la verità nel proprio carattere, nel coltivare la verità nell'intelletto, nello sviluppare la verità nella coscienza; senza di questo non vi è che fallimento, inevitabile confusione ed errore.
La parola, dunque, innanzi tutto dev'essere sincera, e poi anche cortese. Verità e cortesia non si oppongono, come troppo spesso siamo propensi a credere, e la parola non perde nulla in sincerità se nello stesso tempo è perfetta in fatto di gentilezza, cortesia e compassione. Più la parola è sincera e piú dev'essere gentile perché nel cuore stesso di tutte le cose esiste verità unita a compassione; dunque, la parola che riflette la piú intima essenza dell'Universo non può ferire senza causa nessun essere vivente o essere falsa, neppure con la più lieve ombra di sospetto. Sincera e gentile dunque la parola deve essere, sincera gentile e cortese; in ciò consiste l'austerità di parola, vera penitenza di parola, sacrificio che ogni aspirante deve offrire.
Il giusto parlare ed il giusto pensare inevitabilmente portano al giusto agire, come un corso d'acqua partito dalla sorgente deve pervenire alla sua foce. Poiché l'azione è soltanto la manifestazione di ciò che è interno, e quando il pensiero è puro, quando la parola è sincera e diritta, anche le azioni inevitabilmente saranno nobili; uscendo da tale dolce sorgente, l'acqua non può che avere un dolce decorso; uscendo dal cuore e dal cervello che sono stati purificati, necessariamente l'azione deve essere giusta e buona. E questa è la triplice corda con la quale l'aspirante è legato tanto all'umanità che al suo Maestro; la triplice corda che in alcune grandi religioni sta a rappresentare il tipo del perfetto auto-controllo: di pensiero, di parola e di azione; questa è la triplice corda che lega l'uomo al servizio, che lega il discepolo ai Piedi del suo Maestro; la triplice corda che non può facilmente essere spezzata.
Quando tutto questo è ben compreso ed il candidato si accinge all'opera, egli seguirà un ben definito metodo di allenamento nella formazione del carattere, ed in primo luogo si costruirà ciò che si suol chiamare un «Ideale». Cerchiamo di farci un'idea chiara di ciò che significa la parola «Ideale». La mente che lavora nel proprio ambito costruisce una immagine interna i cui elementi sono presi in gran parte dal mondo esterno. Ma benché il materiale sia proveniente dal mondo esterno, l'idea è il risultato dell'azione interna della mente sul materiale. L'idea, considerata nel suo piú alto significato, è cosa astratta, e se ci rendiamo conto come l'idea astratta viene formata nella consapevolezza del cervello, avremo la comprensione di ciò che significa la parola «Ideale»; un piccolo esempio chiarirà il processo.
Prenderò il vecchio esempio dell'idea astratta di un triangolo. L'idea del triangolo può essere acquistata in un primo tempo dalla coscienza del cervello
nel bambino per mezzo dello studio di molte figure, che gli dicono essere dei triangoli. Egli noterà che questi hanno forme diverse, che sono composte di linee che vanno in varie direzioni. Il bambino, guardandoli uno ad uno con la coscienza del suo cervello, troverà che essi sono estremamente diversi uno dall'altro e li considererà come altrettante figure distinte, senza riconoscere certe caratteristiche che li uniscono tutti sotto il medesimo nome. Ma a misura che egli procede nel suo pensare, impara gradatamente che vi sono certi definiti concetti che sottostanno all'unico concetto del triangolo: per esempio, il triangolo ha sempre tre linee e non di più, ha sempre tre angoli, questi tre angoli messi assieme hanno sempre un certo definito valore, le tre linee -
Tutti questi differenti concetti gli appariranno a misura che studia, e la mente lavorando sull'insieme di essi ne estrae ciò che si chiama l'idea astratta di un triangolo, che non ha nessuna particolare dimensione, nessuna forma particolare e nessun angolo particolare preso separatamente. E questa idea astratta è formata dal lavoro della mente su tutte le molteplici forme concrete, per quanto riguarda la coscienza del cervello. Di quale più grande idea tutto ciò può essere il riflesso, ora non voglio considerare; ma è così che nel cervello si forma un'idea astratta, che non ha nè colore, nè forma, nè alcuna speciale caratteristica di un'unica forma, ma che racchiude entro di sè tutto ciò che unifica le molteplici forme.
E così quando noi fomiamo un ideale, si tratta di un'idea di questo genere astratto; è il lavoro della facoltà che ha la mente di costruire immagini, che estrae l'essenza di tutte le varie idee che si è fatta delle grandi virtù, di ciò che è bello, di ciò che è vero, di ciò che è armonioso, di ciò che è compassionevole, di tuttociò che è - in tutti i sensi - soddisfacente per le aspirazioni della mente e del cuore.
Da tutte queste differenti idee, che già sappiamo essere limitate nella manifestazione, viene estratta l'essenza e poi la mente costruisce e proietta una vasta eroica figura nella quale tutto è portato alla perfezione, nella quale tutto raggiunge la sua piú alta e completa espressione, nella quale noi non trattiamo piú con le cose che sono vere, ma con la verità; non piú con le cose che sono forti, ma con la forza; non piú con le cose che sono tenere, ma con la tenerezza; non piú con gli esseri che amano, ma con l'amore.
E questa figura perfetta - potente ed armoniosa in tutte le sue proporzioni, piú grande di qualsiasi cosa da noi mai veduta, ma non più grande di quanto nei rari momenti di ispirazione lo Spirito ha fatto intravvedere alla mente - questo è l'ideale di perfezione che l'aspirante forma di sè stesso, che raggiunge il massimo della perfezione che egli può concepire, mai dimenticando però che il suo ardito sognare non è che pallida ombra della realtà da dove questo riflesso è venuto. Poiché nel mondo del Reale esiste in luce viveute ciò che quaggiù egli vede come in un riflesso di colore, ondeggiante alto nei cieli al di sopra dei picchi nevosi dell'aspirazione umana; è ancora soltanto l'ombra della realtà donde il riflesso proviene, non è che quanto la mente umana può immaginare del perfetto, del sublime, del definitivo Tutto che noi cerchiamo. L'ideale che l'aspirante forma è ancora imperfetto, perché così deve essere. Ma per quanto imperfetto sia, per lui è nondimeno l'ideale secondo il quale il suo carattere dovrà formarsi.
Ma perché costruirsi un ideale? Coloro tra voi che mi hanno finora seguito nel lavoro del pensiero, sapranno perché l'ideale è necessario. Permettetemi di citarvi due frasi che appartengono rispettivamente a due grandi scritture, una Indù e l'altra Cristiana, per dimostrarvi come gl'Iniziati parlino dei medesimi fatti, non importa la lingua di cui si servono, non importa a quale civiltà le loro parole siano rivolte.
Sta scritto in uno dei piú mistici degli Upanishad, il Chhandorya: «L'uomo é una creatura di riflessione; diventa simile a ciò su cui riflette; perciò rifletti su Brahman». E molte migliaia di anni dopo un altro grande Istruttore, uno dei fondatori del Cristianesimo, scrisse esattamente il medesimo pensiero espresso in altre parole: «Ma noi tutti, contemplando con faccia aperta, come in uno specchio, la gloria del Signore, siamo di gloria in gloria trasformati nella medesima immagine». Notate le parole : Contemplando come in uno specchio: effettivamente la mente è lo specchio e le immagini passano su di esso ed in esso si riflettono, e lo Spirito - che nello specchio della mente contempla la gloria del Signore - di gloria in gloria viene trasformato in quella stessa immagine.
Dunque, sia che voi prendiate l'oratore Indù o quello Cristiano, sia che voi leggiate le scritture degl'Indiani o quelle del Saggio d'Occidente, è sempre il medesimo insegnamento della Fratellanza che affiora, quello cioè di formarsi un ideale onde poterlo riflettere, perché quello su cui la mente pone la sua stabile dimora inevitabilmente sarà ciò che l'uomo diventerà.
E come dovrà procedere la formazione dell'ideale?
Questo è quanto dobbiamo ora considerare. Per mezzo della contemplazione, ponderatamente, con scopo definito, scegliendo l'ora e non permettendo di esserne distolto, il nostro aspirante - che sta disciplinando il suo carattere - contemplerà giorno per giorno l'ideale che si è formato. Egli fisserà la mente su di esso e lo rifletterà costantemente sulla sua coscienza. Giorno per giorno egli ne rivedrà il profilo, giorno per giorno poserà su di esso il suo pensiero, e a misura che contempla inevitabilmente nel suo intimo sorgerà quella riverenza e quella venerazione che conducono all'adorazione, il grande potere che trasforma, per mezzo del quale l'uomo diventa la stessa cosa di ciò che adora; e questa contemplazione sarà essenzialmente la contemplazione della riverenza e dell'aspirazione. Man mano che l'uomo contempla, i raggi del Divino Ideale splenderanno su di lui e l'aspirazione verso l'alto aprirà le finestre dello Spirito per riceverli; questi raggi lo illumineranno dall'interno, ma proietteranno anche una luce all'esterno, e l'ideale - ininterrottamente splendente 'iu lui e dentro di lui - segnerà il sentiero lungo il quale i suoi passi lo dovranno condurre.
Per poter così contemplare, egli deve allenarsi nella concentrazione; la mente non deve disperdersi, come tanto spesso avviene a tutti noi. Dobbiamo imparare a fissarla, ed a fissarla con fermezza. Per ottenere tale risultato dobbiamo lavorare continuamente, in tutte le cose comuni della vita: bisogna fare una cosa per volta finchè la mente risponderà obbedientemente all'impulso, e bisogna farla con l'energia concentrata in modo da far convergere tutta la mente verso un unico punto. Non importa se molte vostre faccende sono da poco: l'allenamento è costituito non dalle cose che fate ma dal modo in cui le fate, ed il discepolato ne è il risultato. Il particolare genere di lavoro che dovete fare nella vita non ha importanza; ciò che importa è il modo in cui lo fate, l'attenzione che mettete nell'eseguire, le forze che ad esso prodigate, l'allenamento che ne deriva per voi.
Qualunque sia la vostra vita, potete farla servire tale e quale al vostro allenamento. Per quanto umile possa sembrarvi il genere di lavoro nel quale siete occupati al presente, potete trasformare questo in utile allenamento per la mente; potete per mezzo suo abituare la vostra mente alla concentrazione spontanea. Ricordate: una volta che avrete acquistata la facoltà, potrete scegliere l'oggetto; quando avrete padroneggiata la mente una volta per sempre, sì da poterla voltare qui o altrove a vostra volonta, allora potrete
scegliere voi stessi lo scopo verso il quale indirizzarla. Ma intanto potete fare esercizio e acquistare il controllo nelle piccole cose come nelle grandi; anzi, molto meglio in quelle piccole perché esse fanno parte della nostra vita di ogni giorno, mentre quelle grandi si trovano raramente sul nostro cammino. Quando le cose grandi sopravvengono, tutta la mente si scuote per andare loro incontro; tutta l'attenzione si fissa su di loro, ogni energia è chiamata alla riscossa per fare la sua parte, cosicché quando un imponente compito deve essere eseguito ognuno può comportarsi bene. Ma il vero valore dello spirito è messo alla prova maggiormente nelle piccole cose, ove non esiste nulla che attiri l'attenzione, nulla che provochi gli applausi, ove l'uomo ponderatamente lavora per il fine prescelto e approfitta di tutto ciò che lo circonda per disciplinare se stesso.
Questa auto-disciplina, è la chiave di tutto. Guidate la vostra vita mediante qualche piano, fatevi alcune regole entro le quali far scorrere la vostra vita; e quando le avrete fatte attenetevi ad esse, e modificatele soltanto dopo altrettanta deliberazione quanta ne fu messa nello stabilirle. Prendete quella cosa da nulla - dato che il corpo dev'essere messo sotto controllo - quella semplice cosa di avere una regola definita per alzarsi dal letto alla mattina. Fissate l'ora che voi giudicate piú opportuna per il vostro lavoro, per i vostri doveri della casa, e quando l'avete fissata attenetevi ad essa. Non permettete al corpo di scegliere la sua ora, ma allenatelo all'obbedienza automatica ed attenta che fa di lui il servo utile della mente. E se dopo qualche tempo di tale esercizio vi accorgete che non avete scelto bene, allora cambiate; non siate rigidi solo perché cercate di rafforzare la vostra volontà; siate pronti a cambiare ciò che non funziona bene, ma fate il cambiamento quando lo volete voi e dopo matura riflessione e non perché agite sotto l'impulso di un momento
di collera o di desiderio del corpo o di qualche emozione che in quell'istante ha il sopravvento su di voi.
Non fate il cambiamento ubbidendo alla richiesta della natura inferiore che deve essere disciplinata, ma fatelo se trovate che in un primo tempo la vostra decisione non è stata felice. Badate che nel regolare la vostra vita voi non dovete stabilire regole che diano fastidio a coloro che vi circondano o scegliere metodi di autodisciplina che intralcino gli altri o interrompano le loro occupazioni.
Quando tutto questo è stato ben chiaramente riconosciuto come il mezzo piú adatto per formare il carattere, il passo che viene subito dopo è quello dello studio del carattere stesso, poiché il vostro lavoro dev'essere fatto con avvedutezza e non ciecamente. Se siete saggi nel giudicare il vostro carattere, approfitterete senza dubbio di talune cose che i grandi esseri vi hanno elargite, in fatto dl profili di carattere, e che vi porteranno alla Porta del Tempio. Potreste prendere per esempio la descrizione che vien data nel XVI canto della Bhagavad Gita da Shri Krishna ad Arjuna, in cui sono specificate quali dovrebbero essere le qualità che formano il carattere divino.
Potreste servirvi di quello per rendervi conto delle qualità alle quali dovreste aspirare nella formazione di voi stessi e scegliere fra di esse quelle che desiderate di portare man mano a compimento. E se prenderete per base di studio il XVI canto, in esso troverete molte qualità ognuna delle quali potrebbe benissimo servire per occupare il vostro costante pensiero e diventare oggetto della vostra ricerca, dato che il carattere si forma prima per mezzo della contemplazione di una virtù e poi con il cercare di mettere in pratica la virtù, che è diventata parte del pensiero, con le parole e con le azioni nella vita di ogni giorno. Ecco quali sono queste virtù; per quanto lunga ne sia l'enumerazione, abbiamo tempo sufficiente davanti
a noi per acquistarle tutte, ad una ad una: «Intrepidezza, purezza di cuore, perseveranza nell'Yoga della Sapienza, carità, padronanza di sè e sacrificio, studio delle scritture, austerità, rettitudine, inoffensività, veracità, assenza di collera, rinunzia, tranquillità, astinenza dalla calunnia e dalla cupidigia, compassione per tutte le creature viventi, mansuetudine, modestia, assenza d'irrequietezza, energia, longanimità, fortezza d'animo, purezza, bonarietà, assenza di orgoglio, queste sono le virtù che appartengono a colui che è nato ad un destino divino». Esse non diventano di colpo sua proprietà, ma un giorno gli apparterranno; esse si acquistano lavorando alla formazione del carattere. E se a vostro agio le rileggerete con cura, troverete che si possono raggruppare sotto vari titoli e che ognuna di esse può essere praticata, a tutta prima imperfettamente, ma tuttavia con serietà d'intenti, un giorno dopo l'altro, senza mai scoraggiarsi per la mancanza di perfezione, ma anzi con senso di gioia nel riconoscimento della méta, ben sapendo che, ogni passo viene fatto verso un fine che sarà raggiunto. Osservate come fra esse scorrono i fili dorati dell'altruismo, dell'amore, della inoffensività; guardate come il coraggio la forza e la pazienza hanno anche loro un degno posto, poiché danno al carattere un grande equilibrio ed allo stesso tempo lo rendono forte e tenero, indipendente e compassionevole. Chi possiede tali virtù è l'amico e l'aiuto dei deboli, eppure verso sè stesso è forte ed impassibile, è incapace di nuocere, pieno di devozione e di autodisciplina, e perciò di armonia.
Supponiamo che voi accettiate fino ad un certo punto questo ideale quale regola per i vostri pensieri della giornata e che vi disponiate a cominciare il lavoro. Consideriamo prima di tutto, un punto che di frequente si trova nel corso di questo sforzo, un punto che riassume da solo molte altre virtù e che
si presta a non pochi malintesi; soffermiamoci un momento su questa virtù collettiva e vediamo quale sarà la sua funzione nella formazione del carattere. Il suo nome può suonare strano alle orecchie occidentali: si chiama indifferenza, e talvolta è spiegata dettagliatamente nel senso di indifferenza verso il piacere o il dolore, verso Il caldo o il freddo, verso il biasimo o il plauso, verso il desiderio o l'avversione, e così via; ma cosa significa veramente?
Prima di tutto significa quel senso di giuste proporzioni che deve far parte della vita di colui che ha dato sia pure soltanto uno sguardo al Reale in mezzo all'irreale, al permanente in mezzo al transitorio; poiché una volta riconosciuta la grandezza della meta, una volta che l'aspirante ha compreso tutta la lunghezza del tempo a sua disposizione, tutta l'immensità del compito che si propone di raggiungere, tutta la grandezza delle possibilità che egli vede svelate innanzi a sè, quando ha afferrato sia pur una piccola idea del Reale, allora tutte le cose di una vita fuggevole debbono prendere il loro posto in rapporto al tutto. E quando sopravviene un dolore, questo non ha piú quell'importanza che avrebbe avuto all'epoca in cui egli credeva che vi fosse una sola vita, perché comincerà a comprendere che molti dolori egli ha già passati prima d'ora, grazie ai quali ne è uscito piú forte e con maggiori capacità di pace.
E quando è la volta della gioia, egli si rende conto che molte felicità sono già state sue nel passato, ed anche alla loro scuola ha imparato, e fra l'altro ha compreso che esse sono transitorie. E così, sia gioia, sia dolore, quando si presentano a lui egli ne gioisce o ne soffre, anzi piú acutamente di quanto possa fare un semplice uomo del mondo, ma sa contenere questi sentimenti e dar loro il giusto posto, il giusto valore e soltanto il valore reale che meritano nel grande piano della vita. A misura che in lui cresce questa indifferenza, non è che
egli diventi meno capace di sentire, perchè anzi diventa sempre più sensibile ad ogni palpito del mondo interno e di quello esterno; inquantochè egli si trova sempre piú in armonia con il Tutto deve necessariamente diventare piú risponsivo ad ogni sfumatura di armonia che in esso esiste; ma nulla riesce piú a scuoterlo, nulla può ormai cambiarlo, nulla può toccare la sua serenità, nulla può gettare delle ombre sulla sua calma. Il suo vero io è oramai radicato ove le tempeste non esistono, è trapiantato ove i cambiamenti non hanno luogo, e mentre potrà avere dei sentimenti, questi non riusciranno a farlo cambiare; prenderanno il loro giusto posto nella vita colle dovute proporzioni in confronto all'intero corso della vita dello Spirito. Quella indifferenza, quella vera e reale indifferenza che significa forza, come potrà essa svilupparsi?
Prima di tutto pensando quotidianamente al suo significato, sforzandovi lentamente di comprenderla un po'per volta, finché ne possedete ogni dettaglio o sapete esattamente ciò che intendete per indifferenza. Poi praticandola nella vostra vita quotidiana, in mezzo al mondo degli uomini; pratica che non consiste nell'indurire voi stessi, ma nel rendervi risponsivi, non nel costruire attorno a voi una conchiglia che tutto respinge, ma rispondendo con tutto il vostro essere a tutto ciò che proviene dal di fuori, mantenendo nel contempo un equilibrio interno che non si lascia cambiare, mentre sente profondamente il cambiamento. Lezione dura e difficile, ma che porta con sè tanta speranza, tanta gioia, tanta piú acuta e vivida vita, che se anche non desse di piú, varrebbe la pena di praticarla. Poichè a misura che lo Spirito si sente crescere in modo da non poter piú essere scosso, pur sentendo ogni palpito che viene dal di fuori, acquista un senso di vita piú largo, di piú piena armonia, di sempre crescente consapevolezza,.di sempre maggiore unicità con ciò di cui fa parte.
E mentre il senso di isolamento man mano si scioglie nel nulla, fluisce in lui la gioia che dimora nel cuore delle cose; ed anche ciò che per l'uomo ordinario è sofferenza, perde per il discepolo la sua qualità di dolore, perché egli lo sente in certo qual modo come parte della vita universale, come una sillaba parlata nel grande linguaggio della manifestazione, e ne può comprendere il significato senza agonia nel cuore, giacchè la pace che si sviluppa da questo espandersi della conoscenza di gran lunga travolge e cambia il suo atteggiamento verso ogni cosa nel mondo esterno, verso tutto ciò che gli uomini giudicano come dolore o perdita. Pensando così e così praticando, avvertirete questo senso che cresce in voi, questo senso di calma, di forza e di serenità, tanto che vi sembrerà di essere in un luogo di pace anche se nel mondo esterno infuria la tormenta, e voi vedrete e sentirete la tormenta ma non ne sarete scossi.
Questa pace è una delle primizie della Vita Spirituale; si annuncia prima con un senso di pace e poi di gioia, e fa della vita del discepolo un continuo sviluppo che da una parte si dirige verso l'alto, e dall'altra all'interno verso il cuore, che è Amore. Da questo stato di cose nasce il senso dell'auto-controllo; il Sè interno diventa piú forte delle circostanze esterne, e mentre è desideroso di rispondere ad esse, rifiuta di lasciarsi influenzare dai contatti coll'esterno. Dall'auto-controllo e dall'indifferenza scaturisce il potere di non odiare piú nessuno e nulla, potere che ha tanta importanza su tutta la formazione del carattere dell'aspirante che vuol diventare discepolo. Nulla dev'essere odiato, tutto dev'essere riportato entro il circolo dell'Amore, senza tener conto delle apparenze ripugnanti, senza curarsi degli antagonismi esterni, senza badare alla repulsione esterna; il cuore di tutto è Vita ed Amore, e perciò questo aspirante che sta imparando le sue lezioni non può chiudere nulla fuori del circolo della compassione; tutto dev'essere abbracciato entro i suoi limiti a seconda della sua capacità, di sentire ed egli diventa l'amico di ogni cosa vivente, l'amante di tutto ciò che vive e sente.
Man mano che così costruisce le pietre che servono di base alla formazione del suo carattere, egli diventa intrepido; intrepido perché non odiando nulla, nulla può avere il potere di danneggiarlo. Le ferite dall'esterno non sono che la reazione di un'aggressione dall'interno; perché noi siamo i nemici degli altri, questi a loro volta sono i nostri nemici; perché noi ci lanciamo nel mondo come assalitori, le cose viventi a loro volta ci assalgono. Noi che dovremmo essere innamorati di ogni cosa vivente, ci atteggiamo a distruttori, a tiranni, ad odiatori, conquistando il mondo per tiranneggiarlo e non per educarlo, come se il lavoro dell'uomo quaggiù non consistesse nell'educare i fratelli piú giovani ed elevarli con la tenerezza e la compassione; noi ci mettiamo all'opera e tiranneggiamo gli altri, siano essi umani o animali, purché siano piú deboli di noi; e troppo spesso sulla loro debolezza noi misuriamo la nostra tirannia, sulla loro impotenza il peso del fardello che carichiamo sulle loro spalle.
E poi ci meravigliamo che le cose viventi ci sfuggano, che al nostro avvicinarci i deboli ci temano, i forti ci detestino; o nella nostra cecità ignoriamo che tutto l'odio proveniente dal mondo esterno è il riflesso del male che è in noi stessi, mentre per il cuore pieno d'amore non esiste nulla che sia odioso, e perciò nulla che possa fare del male. L'uomo che possiede il dono dell'amore può camminare incolume nella giungla, può andare illeso nelle caverne dei più feroci carnivori o prendere nelle sue mani il serpente; perché il cuore che contiene solo amore non può far pervenire nessun messaggio di odio e l'amore che irradia su tutto il mondo attorno a noi, che attira tutte le cose a sè per servirle e non per danneggiarle, attira anche tutte le cose per amarle e non per odiarle. E'così
che ai piedi dell'Yogi la tigre si rotola piena di amicizia, è così che ai piedi del santo i piú selvaggi animali portano i loro cuccioli per asilo e protezione. Ecco perchè tutte le cose viventi si avvicinano all'uomo che ha il cuore amante, perchè tutte sono progenie del Divino, ed il Divino è amore; e quando questo Amore nell'uomo è diventato perfetto, parla all'intima essenza di tutte le cose e le attira a sé. E noi impariamo allora gradatamente e lentamente a camminare impavidi nel mondo, impavidi anche se le cose ancora ci fanno male; perché noi sappiamo che se siamo colpiti è soltanto perchè paghiamo il debito di un brutto passato e che per ogni debito pagato rimane alleggerito il conto nostro sul registro della Natura.
Ed impavidi anche perché impariamo a sapere che la paura nasce altrettanto dal dubbio che dall'odio; l'uomo che sa, ha superato il dubbio e va con passo sicuro ove sa di poter andare, perchè cammina soltanto sul solido e noli esistono trabocchetti sulla sua strada. E tutto questo contribuisce a formare una volontà ferma ed inflessibile, una volontà che è basata sulla conoscenza e che cresce confidente per mezzo dell'amore. Ed a misura che l'aspirante s'inoltra nella Corte esterna del Tempio, il suo passo diventa piú sicuro, il suo cammino piú diretto, fermo nel suo proposito e di forza sempre maggiore; il suo carattere comincia a profilarsi in linee nette, chiare, distinte e ferme, segno apparente della crescente maturità del suo Spirito.
Comincia allora l'assenza, di desiderio, la lenta liberazione da tutti quei desideri che ci legano al mondo inferiore, da tutte quelle aspirazioni che nelle vite passate, (come abbiamo visto) non diedero nessuna soddisfazione allo Spirito, il graduale abbandono di tutti i ceppi che ci tengono legati alla terra, l'eliminazione del desiderio personale e la, auto-identificazione col tutto. Colui che in questo modo bada al suo accrescimento non dev'essere legato alle rinascite
da nessun legame che appartiene alla terra; gli uomini ritornano sulla terra perché ad essa sono legati, vincolati ad essa dalle catene del desiderio che li trattiene sulla ruota delle nascite e delle morti; ma l'uomo che stiamo ora studiando dev'essere libero; quest'uomo che è libero deve spezzare, per quanto lo riguarda, le catene del desiderio; una sola cosa deve rimanere che lo avvinca, una sola cosa che lo induca a rinascere: l'amore per i suoi simili, il desiderio di servire. Egli non è piú avvinto alla ruota, perché è libero, ma può ritornare e mettere in movimento la ruota una volta di piú per l'amore di coloro che ancora vi sono incatenati e presso i quali egli vuole rimanere finché i legami di tutte le anime non saranno sciolti.
Diventando libero, egli infrange i legami della necessità. Impara così il perfetto altruismo, impara che ciò che è utile per tutti è appunto ciò che egli sta cercando, e che ciò che serve al Tutto è ciò e soltanto ciò che egli desidera di compiere. Ed allora egli acquista la fiducia in sè stesso; quest'essere che cresco verso la Luce impara ad essere forte onde poter aiutare, impara a fidarsi del Sé, che è il Sè di tutto, col quale egli sta identificandosi.
Vi è una prova che lo aspetta al varco, sulla quale io devo spendere una parola perché essa rappresenta forse uno dei piú duri cimenti per l'aspirante che sta lavorando nella Corte esterna. Quando egli s'inoltrò in quella Corte, conscio della magnifica gioia che avrebbe trovato oltre la soglia, voltò le spalle a molte cose che rendono lieta la vita dei suoi simili; ma alle volte sopravviene un'epoca in cui l'Anima sembra prendere lo slancio nel vuoto, colla sensazione che nessuna mano si tenda verso la sua nel vuoto, ove non vi è che buio attorno a lui e nulla su cui i suoi piedi possano riposare.
Vi sono momenti in questi stadi di crescita dello Spirito in cui nulla rimane sulla terra che possa soddisfare, nulla rimane sulla terra che dia un senso di pienezza: le vecchie amicizie hanno perso alcunchè del loro contatto, le delizie della terra hanno perso il loro sapore; momenti in cui le mani che si protendono verso di noi, benché ci tocchino, non sono da noi avvertite, in cui la roccia sulla quale posiamo i piedi ha perso la sua sicurezza, perché non ci rendiamo ancora conto che è immutabile ed immobile, in cui lo Spirito sembra essere pesantemente coperto dal velo dell'illusione e si crede abbandonato e nulla sa dell'aiuto che può trovare. E'il vuoto entro cui ogni aspirante a un dato momento si tuffa, è il vuoto che ogni discepolo ha attraversato.
Quando si spalanca davanti allo Spirito, questo si ritrae; quando si spalanca nero e apparentemente senza fondo, colui che sta sull'orlo indietreggia pieno di paura; eppure non dovrebbe temere. Fate un tuffo nel vuoto e lo troverete colmo. Saltate nel buio e troverete la roccia sotto i vostri piedi. Abbandonate le mani che vi trattengono indietro e piú potenti Mani davanti a voi afferreranno le vostre e vi aiuteranno ad avanzare; quelle sono mani che non vi lasceranno piú. La stretta terrena talvolta si allenterà, la mano dell'amico si allontanerà dalla vostra e la lascerà vuota, ma gli amici che si trovano dall'altra parte non abbandonano mai, per quanto il mondo possa cambiare. Andate dunque audacemente nel buio e nella solitudine e vi accorgerete che la solitudine è la piú grande delle illusioni ed il buio è costituito da una luce tale che nessuno può piú allontanarsene nella vita. Questo cimento, una volta affrontato vien trovato esso pure una grande illusione ed il discepolo che osa fare il tuffo si trova ad un tratto dall'altra parte.
Così la formazione del carattere prosegue e proseguirà per tante vite future, sempre più nobili a misura che ogni vita è finita, sempre piú potente ad ogni gradino superato. Le fondamenta che abbiamo ora progettate sono soltanto le fondamenta dell'edificio
al quale ho accennato, e se l'opera compiuta sembra imponente, è perché nella mente dell'architetto l'edificio è completo, ed anche quando sono appena tracciate le linee sul terreno, la sua immaginazione vede la costruzione ultimata e sa per quale scopo costruisce.
Ed il fine? Ah! Le nostre lingue non hanno la possibilità di parlare del fine di quella formazione dei carattere. Nessun pennello intriso soltanto nei colori opachi della terra può dipingere alcunchè di somigliante alla bellezza di quel perfetto ideale verso il quale noi aspiriamo, anzi, verso il quale noi sappiamo che dovremo finire per arrivare. Non vi è mai successo di coglierne un lampo nei momenti di silenzio?
Non ne avete mai avuto un riflesso quando la terra era immobile ed il cielo sereno? Vi è mai capitato di avere un barlume di quegli Esseri Divini che vivono e si muovono, di Coloro che furono uomini ed ora sono piú che uomini, superumani nella loro grandezza; umanità quale sarà, non come è, salvo che nelle piú interne Corti del Tempio?
Se vi è capitato di cogliere un riflesso di ciò nei vostri momenti di pace piú profonda, non occorrono piú le mie parole. Voi sapete della compassione che a tutta prima sembra pervadere tutto l'essere, così radiosa nella sua perfezione, così gloriosa nella sua divinità; tenerezza tanto potente che si può abbassare fino al piú abbietto, come trascendere il piú elevato, che riconosce il piú debole sforzo, come la piú bella riuscita; anzi, che è piú tenero verso il debole che non verso il potente, perché al debole maggiormente giova l'aiuto della simpatia immutabile, l'amore che non pare divino solo perché è tanto umano, nel quale realizziamo che uomo e Dio sono tutt'uno. Ed oltre alla tenerezza, la forza; la forza che da nulla può essere cambiata, che ha in sé le qualità delle fondamenta dell'Universo, sulle quali tutti i mondi potrebbero essere costruiti eppure non venire
smosse, forza infinita unita a compassione illimitata. Come possono queste qualità trovarsi in un medesimo essere ed armonizzare con tanta assoluta perfezione? Ed ancora la radiosità della gioia, la gioia di aver conquistato, la gioia che vorrebbe tutti gli altri partecipi della propria beatitudine, il radioso splendore del sole che non conosce ombra, la gloria della conquista che annuncia che tutti vinceranno, la gioia negli occhi che vedon o al di là del dolore, e che anche vedendo la sofferenza sanno che in ultimo vi è la pace. Tenerezza e forza e gioia e pace infinita, pace senza una grinza, serenità che nulla può turbare; tale è il lampo che potete aver colto dal Divino, tale è il riflesso dell'ideale che un giorno noi diventeremo. E se osiamo alzare gli occhi tanto in alto è perchè i Loro Piedi tuttora calcano la terra ove i nostri piedi camminano. Essi sono saliti in alto al disopra di noi, ciò nonpertanto stanno vicini ai Loro fratelli, e se ci trascendono non è perché ci abbandonano, anche se sotto tutti gli aspetti Essi ci oltrepassano; tutta l'umanità dimora nel cuore del Maestro e dove l'umanità dimora, noi - suoi figli - possiamo osare di dimorare.
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