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Inserito il - 24/10/2003 : 12:34:08  Mostra Profilo
Diversamente abile

Le condizioni eterogenee di fruizione tecnologica possono farci riflettere sulle "diverse abilità" di ciascuno di noi.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - Prima Pagina, 22-10-2003]

Per iniziativa della Commissione Europea, il 2003 è l'anno Europeo delle persone con disabilità. Grazie a ciò, il tema "disabilità" ha iniziato ad essere maggiormente preso in considerazione dai mass media attraverso servizi giornalistici, testimonianze, approfondimenti ma non solo: l'attenzione su queste scottanti tematiche sembra essere dimostrata anche dal proliferare di mode linguistiche.
Si tratta - nello specifico - del conio di neologismi per definire le persone con disabilità. Ebbene questi termini non sembrano avere alcuno spessore concettuale e sembrano invece avere, come unica motivazione, quella di cercare di abbellire nominalmente ciò che della realtà, in fondo, non riusciamo/vogliamo accettare e trattare in maniera matura e coscienziosa.

L'analisi sociolinguistica della creazione di graziosi neologismi che riabilitino (ohibò, per chi? perché?) il concetto di disabilità che la società moderna ha stigmatizzato per una forma di ignoranza (nel senso di non-conoscenza), evidenzia come sia ancora difficile per molte persone approcciarsi in maniera spontanea e matura alla disabilità.

Il dis-abile, persona priva di una qualche abilità, diventa un divers-abile, una persona dalle abilità diverse. Ma diverse da chi?

La creazione di neologismi del genere non è altro che la conseguenza della primitiva paura dell'uomo nei confronti del "diverso".

Ciò che è diverso spaventa perché è sconosciuto, perché non rientra nei canoni che la società e il consumismo ci hanno inculcato attraverso i mass-media e le immagini patinate sulle riviste... E nel neologismo in questione questa diversità viene addirittura enfatizzata e sottolineata.

La ridondanza semantica diventa così un'arma psicologica per sconfiggere le paure primitive. Si inventa un nuovo nome apotropaico per nascondere alla coscienza la propria superficialità ed immaturità.

Solo quando le persone impareranno a chiamare le cose con il proprio nome, senza imbarazzi, sarà possibile iniziare a fare quel cambio di prospettiva e quella rivoluzione di cui tanto ci sarebbe bisogno per la creazione di una Società dell'Informazione democratica, fondata sull'info-inclusione.

Si parla sempre dei disabili come di una categoria omogenea, non meglio definita, composta di tante persone non ben identificate. Ma i disabili non sono omogenei, come non lo sono gli abili. Siamo tutti estremamente eterogenei se pensiamo alle condizioni con cui accediamo alla Rete.

Qualche semplice esempio: siamo diversi nelle postazioni - Pc, palmari, cellulari... - nelle dotazioni tecnologiche, nelle preferenze dei tipi e delle versioni dei software, dell'hardware e del sistema operativo, abbiamo velocità di connessione differenti, diversi settaggi del browser, nonché browser diversi e versioni differenti dello stesso browser.

Il Web è un universo estremamente variegato le cui striature possono essere tracciate solo con pseudo-generalizzazioni; il sito che io vedo con Mozilla 1.1 da MacOs9, con il mio portatile settato con le mie preferenze, è potenzialmente e concretamente differente da quello che posso vedere con un altro monitor, con un sistema operativo differente, con settaggi diversi dovuti alle esigenze e agli usi di ogni specifica macchina e di ogni singolo utente.

L'accessibilità serve non a creare omogeneità ma a realizzare l'idea di un'omogenea opportunità di fruizione delle informazioni e dei servizi. E' sempre una questione di prospettive. Del resto è insito nel termine ri-voluzione il ri-baltamento di una situazione.

E quello che serve è una nuova cultura: perché oggi non mancano le competenze per la creazione di una vera Società dell'Informazione, manca piuttosto una nuova cultura che cerchi soluzioni funzionali ed efficaci e non fronzoli e virtuosismi estetici, affinché venga valorizzata l'informazione, il contenuto, e non il contenitore. Perché la Società dell'Informazione esige contenuti efficaci, efficienti e democraticamente a disposizione di ogni singolo cittadino.


Patrizia Bertini


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