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 Eutanasia

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 22/12/2008 : 12:55:11
Eutanasia

di Claudio Capolino

Imperversa sui media come non mai in questi giorni, le polemiche sul
caso Eluana Englaro, la ragazza in coma vegetativo da 17 anni.

Il padre quando chiese di staccare la spina si trovò con un coro di
prelati che gridarono allo scandalo.
La nostra chiesa ufficiale -che per secoli e secoli non fece
certamente una bella figura-, è più che mai intenzionata a proseguire
nella sua tradizione.

Tra i tanti pareri si fece sentire anche la Corte d'appello di
Milano, la Corte Europea di Strasburgo, la Cassazione... e tutti
coloro che ritengono di avere un pò di voce in questo capitolo.

Oltre al padre naturale, si intende.

Il tema è delicato e coinvolge troppi aspetti morali da una parte e
poche persone autorevoli dall'altro.

Ragione per la quale mi sono permesso di estrapolare la parte
iniziale del capitolo relativo, dal "Il Libro Tibetano del Vivere e
del Morire" di Sogyal Rinpoche, Ubaldini Editore.

Chi lo ha letto sa che si tratta di una specie di continuazione del
vecchio e caro Bardo Todol; ritengo pure che su questo aspetto
specifico l'autore abbia da offrirci pareri molto chiari e illuminanti.

(Claudio Capolino)

------------------

DOMANDE SULLA MORTE

I progressi e lo sviluppo tecnologico della medicina hanno salvato un
numero infinito di vite e alleviato indicibili sofferenze. Ma, nello
stesso tempo, pongono interrogativi etici e morali molto complessi e
spesso causa di scelte angoscianti per i morenti, i familiari e i
medici. Dobbiamo, ad esempio, consentire che un nostro caro venga
collegato a un'apparecchiatura di rianimazione? Possiamo prendere noi
la decisione di scollegarlo? I medici debbono avere il potere di
mettere fine a una vita per non prolungare l'agonia? E i malati di
una malattia terminale che li condanna a una morte lunga e dolorosa
andrebbero incoraggiati, o persino aiutati, a togliersi la vita? Sono
queste le domande che mi vengono rivolte più frequentemente, e vorrei
esaminarne alcune.

TENUTI IN VITA

Solo quarant'anni fa quasi tutti morivano a casa, oggi invece si
muore in prevalenza negli ospedali o nelle case di cura. La
prospettiva di essere tenuti in vita da una macchina è reale e
spaventosa. Ci si chiede sempre di più cosa si può fare per garantire
una morte umana e dignitosa, non prolungando la vita senza necessità.
È un problema complesso. Quando e come decidere se mantenere in vita
un incidentato grave?E se è già in coma, se non può più parlare, se
il processo degenerativo l'ha leso mentalmente? E un bambino nato con
gravi deformazioni fisiche o con lesioni cerebrali?

Non ci sono risposte facili a domande del genere, ma si possono
individuare alcuni fondamentali principi guida. Secondo
l'insegnamento del Buddha la vita è sacra: tutti gli esseri hanno la
natura di buddha e la vita offre a tutti, come abbiamo visto, la
possibilità dell'illuminazione. Non togliere la vita è uno dei
principi basilari del comportamento umano. Ma il Buddha insorse
fermamente contro il dogmatismo, e credo che non possiamo assumere un
punto di vista sempre uguale, una posizione "ufficiale", o stabilire
regole universali. L'unica cosa da fare è agire con tutta la saggezza
che possediamo, applicandola alle varie circostanze. Come sempre,
tutto dipende dalla nostra motivazione e dalla compassione che la
sorregge.

Qual è il senso di mantenere artificialmente in vita una persona che
altrimenti sarebbe già morta? Il Dalai Lama ha indicato al proposito
un fattore essenziale: lo stato mentale del malato. "Dal punto di
vista buddhista, se il morente ha anche una sola possibilità di
generare pensieri positivi e virtuosi, è importante che possa vivere
anche pochi minuti di più". Inoltre mette in risalto la
responsabilità della famiglia: "Se non c'è la possibilità che possa
generare pensieri positivi, e se inoltre i parenti devono spendere
molto denaro, mantenere semplicemente qualcuno in vita sembrerebbe
privo di senso. Generalizzare è molto difficile, e ogni caso va
esaminato singolarmente".

Le tecniche di rianimazione e risuscitamento possono essere causa di
disturbo, fastidio e distrazione nel momento critico della morte.
Dagli insegnamenti buddhisti e dai resoconti delle esperienze di pre-
morte abbiamo visto che, anche nel coma, si può conservare la
consapevolezza di tutto ciò che accade. I momenti che precedono la
morte, la morte vera e propria e la separazione finale della
coscienza dal corpo, sono momenti tremendamente importanti per tutti,
ma soprattutto per un praticante spirituale che cerca di praticare o
di rimanere nella natura della mente.

C'è il pericolo che le tecniche di rianimazione, se non fanno altro
che prolungare il processo della morte, provochino soltanto inutile
attaccamento, rabbia e frustrazione, specie se il morente non
desiderava che fossero applicate. I parenti che devono prendere gravi
decisioni, schiacciati dalla responsabilità di lasciar morire una
persona cara, dovrebbero fare questa riflessione: se non c'è una
speranza realistica di ripresa, la qualità degli ultimi giorni o
delle ultime ore può essere molto più importante che tenere
semplicemente il malato in vita. Inoltre, poiché non possiamo sapere
se la coscienza è ancora nel corpo, rischiamo di imprigionarla in un
corpo ormai inutile.

Dilgo Khysentse Rinpoche mi ha detto:

Ricorrere ad apparecchiature di rianimazione se le persone non hanno
nessuna possibilità di riprendersi, è inutile. Molto meglio lasciarle
morire naturalmente in un'atmosfera serena, e fare azioni positive a
loro beneficio. Se il collegamento è allacciato ma non c'è più
speranza, interromperlo non è un crimine. Se infatti non c'è nessuna
possibilità di sopravvivenza, state solo allungando la vita
artificialmente.

Anche i tentativi di risuscitamento possono essere inutili e
ostacolare inutilmente il morente. Un medico scrive:

L'ospedale esplode in un attacco di frenesia. Dozzine di persone si
precipitano sul paziente nel disperato tentativo di risuscitarlo. La
persona, clinicamente morta, è imbottita di droghe, trafitta da
dozzine di aghi e sottoposta a scariche elettriche. I nostri ultimi
istanti sono scanditi dalla lettura del battito cardiaco, del tasso
di ossigeno nel sangue e del tracciato dell'elettroencefalogramma.
Finalmente, quando anche l'ultimo medico ne ha avuto abbastanza,
l'isteria tecnologica si arresta.

Forse non volevate essere collegati a un apparecchio di rianimazione
né essere risuscitati, anzi volete essere lasciati indisturbati per
qualche tempo dopo la morte clinica. Come poter essere sicuri che vi
venga garantito l'ambiente sereno raccomandato dai maestri?

Anche se esprimete la volontà di usufruire o o di rifiutare
determinati trattamenti clinici, il vostro desiderio può non essere
rispettato. Se i parenti non condividono i vostri desideri,
potrebbero richiedere particolari interventi medici persino mentre
siete ancora coscienti e in grado di parlare. Purtroppo non è
insolito che i medici assecondino i desideri dei familiari invece di
quelli dei morenti. Per tutti questi motivi, il modo migliore per
avere un certo controllo sulle cure mediche che ricevete è morire in
casa.

Io vi consiglio di accertarvi che il medico sia d'accordo
nell'accogliere le vostre scelte, soprattutto per quanto riguarda il
rifiuto della rianimazione e del risuscitamento al momento
dell'arresto cardiaco. Assicuratevi che il vostro medico informi il
personale dell'ospedale e che disponga di un documento scritto di
vostro pugno con i vostri desideri da esporre accanto alla cartella
clinica. Discutete con la famiglia i particolari della vostra morte.
Chiedete ad amici e familiari di avvisare il personale medico di
scollegare qualunque apparecchiatura di monitoraggio quando il
processo del morire sia iniziato e, se possibile, di trasferirvi dal
reparto di rianimazione a una stanza privata. Studiate tutte le
possibilità per rendere l'ambiente silenzioso, tranquillo e privo di
panico.

LASCIARE CHE LA MORTE AVVENGA

Nel 1986 l'Associazione Medica Americana stabilì la legittimità
etica, per i medici, di interrompere le terapie di rianimazione,
compresa l'alimentazione via sonda, per malati terminali ormai
prossimi alla morte e per casi di coma irreversibile. Quattro anni
dopo, un sondaggio Gallup rivelò che l'ottantaquattro per cento degli
americani
preferiva l'interruzione della rianimazione in assenza di possibilità
di ripresa.

La decisione di limitare a sospendere le terapie di rianimazione è
chiamata spesso "eutanasia passiva". Si lascia che la morte avvenga
naturalmente, astenendosi da procedure mediche o interventi
straordinari che non farebbero che allungare la vita di pochi giorni
o di poche ore. Questo significa non ricorrere a terapie o
trattamenti aggressivi già in fase di morte, non utilizzare o
scollegare l'apparecchiatura di rianimazione e l'alimentazione via
sonda, e non ricorrere alla rianimazione cardiaca. L'eutanasia
passiva consiste anche nella decisione, da parte dei medici e dei
familiari, di non curare un'eventuale complicanza. Ad esempio, non
curare una polmonite che si può presentare negli stadi finali di un
tumore osseo porta a una morte più tranquilla, meno dolorosa e meno
ritardata.

E per quanto riguarda i malati terminali che scelgono di di esser
scollegati dalle apparecchiature di rianimazione? Mettendo fine alla
propria vita, commettono una azione negativa? Kalu Rinpoche ha dato
una risposta molto precisa:

Decidere di avere sofferto abbastanza e voler essere lasciati morire,
non è una situazione che potremmo definire virtuosa o non virtuosa.
Certamente non possiamo biasimare nessuno per una decisione del
genere. Non è una azione karmicamente negativa ma il semplice
desiderio di evitare la sofferenza, che è il desiderio fondamentale
di tutti gli esseri. La decisione non è, tuttavia, nemmeno un'azione
particolarmente virtuosa... Non si tratta del desiderio di mettere
fina alla propria vita, ma dal desiderio di mettere fine alla
sofferenza. Perciò un'azione karmicamente neutra.


(Il capitolo segue con ulteriori delucidazioni anche se, da quanto
rilevato, la posizione del buddhismo tibetano non lascia dubbi in
merito).







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