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 Richard Gere e il suo impegno per il Tibet 2

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 12/04/2008 : 12:09:27
Richard Gere e il suo impegno per il Tibet 2

<Richard Gere e il suo impegno per il Tibet>

tratto da http://www.innernet.it

- Seconda parte -

----------------------

Lodi Gyary, inviato speciale di Sua Santità il Dalai Lama a Washington, conosce Gere da venti anni e afferma che quest'ultimo è felicissimo di aver conosciuto il dharma, perché il cammino di Gere è estremamente difficile. «Vedi, tutte queste persone famose sono anche le più infelici. Soffrono a causa dell'importanza che attribuiscono a se stesse, a causa del loro ego. Poi arriva Gere, felicissimo perché è il famoso Richard Gere. Ma allo stesso tempo è in grado di condurre una vita davvero libera da ciò che molti dei suoi colleghi a Hollywood soffrono quotidiamente». Secondo Gyari, Gere è uno studente del dharma molto bravo. Rinchen Dharlo concorda, affermando che, sebbene Gere lo neghi, «egli è un grande studioso buddista, al livello dei professori più famosi». Non solo, Gere possiede una conoscenza approfondita della cultura tibetana, una conoscenza che, secondo Dharlo, rischia di andare «perduta per sempre».

«In questo paese», dice Dharlo, «molto spesso la gente adotta cause per uno o due anni, poi passa a un'altra causa. Richard non è così. Sta facendo questo con tutto il suo cuore. È molto compassionevole; l'insegnamento buddista lo ha cambiato in profondità».

Seduto nell'ufficio, Gere parla di un insegnamento che ama, "Il cibo per il cuore" di Kyabje Pabongka Rinpoche, e dice: «Fondamentalmente, questo insegnamento afferma: "Dì a te stesso la verità, perché su questo punto sei pieno di merda. Stai solo giocando. Vuoi la liberazione? Sei troppo codardo, sei pieno di merda"». Di nuovo, parlandomi, si piega in avanti. «Pensi di essere bravo perché conosci un po' di dharma, hai letto qualche libro e incontrato degli insegnanti, ma sei pieno di merda. Non c'è nessuna saggezza autentica né alcuna rinuncia. Se il vento soffia, cadi in mille pezzi». Mi rimpicciolisco nella sedia e lui ricade ridendo nella sua. «Sto parlando di me», spiega.

Gli rispondo che trovo ciò che ha detto poco incoraggiante, e lui: «È la cortesia più grande dell'amore: la verità. Ma, in realtà, puoi farcela. Sei ci riesci, fatti coraggio. Una delle mie meditazioni più importanti è finalizzata al coraggio e alla determinazione, ad avere il fegato di fare ciò che va fatto».

È difficile non pensare a quando, subito dopo l'11 settembre 2001, Gere organizzò un concerto di beneficenza al Madison Square Garden per le famiglie dei poliziotti e dei pompieri uccisi quel giorno. Paragonando i pompieri e i poliziotti caduti ai bodhisattva, disse: "Non si chiedono se sei buono o cattivo; non si chiedono qual è la tua religione; non si chiedono nemmeno a quale razza appartieni. Salvano chiunque". Poi, chiedendo che l'America rispondesse alla tragedia con l'amore e la compassione, anziché con la vendetta, venne subissato di fischi. Quella fu una cosa che richiese coraggio.

Prova a immaginare: Gere, da giovane, che vive in un appartamento malridotto a New York e legge filosofia cercando di capire perché la vita sia così dolorosa, finché si imbatte nel libro Vita di Milarepa; poi comincia a meditare a 24 anni con un insegnante Zen, Joshu Sasaki Roshi, e s'incammina sul sentiero con tutta l'ambizione che deve aver avuto per diventare una stella del cinema americano. Deve aver avuto il diavolo addosso.

Immaginalo, in questo stato, partire per l'India e incontrare, nel 1981, l'uomo che sarebbe diventato il suo guru principale, Sua Santità il Dalai Lama, una persona che secondo Gere è «la più genuinamente priva di ego che abbia mai incontrato».

«E non in un senso ovvio», continua. «È semplicemente così, completamente spontaneo nella sua presenza. L'unica ragione per cui è qua è aiutarti.», ride, stupito, «a raggiungere la felicità. Ed è straordinario. In una giornata incontra un centinaio di persone, ma nei pochi momenti che può concederti, qualcosa accade. E senti immediatamente da parte sua quell'impegno, anche se si tratta di cose che non lo riguardano minimamente». Gere si avvicina e ride. «Riesci a immaginarlo? Pensare sempre, sempre: "Come posso aiutarti?" Sì: "Come posso aiutarti"?».

Negli ultimi tre anni, la Fondazione Gere ha comprato assicurazioni contro le malattie per quasi mille monaci e monache indigenti negli insediamenti tibetani del sud dell'India, nella speranza che questi uomini e donne siano in grado di insegnare per altri venti o trenta anni. Ma il Dalai Lama ha detto chiaramente a Gere che vuole che tutti i tibetani bisognosi in esilio siano coperti. «Per cui vogliamo espandere alla popolazione laica», dice Gere, «il modello che ha funzionato nei monasteri e nei conventi».

«Capisco che, per quanti film possa fare», continua, «non avrò abbastanza soldi per pagare tutte queste cose. Quindi, la Fondazione Iniziative ha davvero bisogno dell'aiuto e dell'esperienza degli altri, in modo da espandersi in una visione molto più grande di quella che posso realizzare da solo».

Un altro progetto ambizioso è il disinquinamento ambientale della città di Dharamsala, nell'India del nord, residenza del Dalai Lama e sede del governo tibetano in esilio. Migliaia di rifugiati tibetani e pellegrini internazionali passano ogni anno attraverso la piccola stazione collinare, e l'ambiente ne viene messo a dura prova. Non esiste una vera gestione dei rifiuti solidi, l'acqua è chimicamente e microbiologicamente inquinata, il suolo nelle foreste intorno a Dharamsala si sta erodendo.

Gere e i suoi compagni hanno fondato un'agenzia svizzera, la Sandec, che l'anno scorso è andata gratuitamente a Dharamsala, ha studiato le condizioni ambientali e ha progettato un piano di intervento ambientale per il Ministero Tibetano del Welfare. La prima fase è la programmazione dei rifiuti solidi: alla comunità locale è stato spiegato come differenziare i rifiuti solidi da quelli organici, i bambini delle scuole sono stati reclutati per aiutare a pulire la città, sono stati acquistati camion per il trasporto dei rifiuti ed è stato negoziato con l'amministrazione municipale indiana un accordo per raccogliere i rifiuti dell'area.

La Fondazione Iniziative ha fornito i primi finanziamenti per il piano di intervento e sta cercando dei partner per esportare il modello agli altri insediamenti tibetani. Il Ministero del Welfare fornisce l'infrastruttura operativa, mentre lo sviluppo generale del progetto è gestito dalla sorella del Dalai Lama, Jetsun Pema, direttrice del Villaggio dei Bambini Tibetani.

Secondo Robyn Brentano, direttore della Fondazione Iniziative, il piano di intervento ambientale è tra i più avanzati dal punto di vista dell'aiuto internazionale. «Non si tratta solo di portare tecnologia e imporla alla situazione locale», dice Brentano, «ma di vedere come sviluppare le risorse locali». Se il Ministero Tibetano del Welfare può guadagnare qualcosa raccogliendo i rifiuti solidi, c'è speranza che il programma sarà in grado di sostenersi da solo, piuttosto che appoggiarsi indefinitamente su istituzioni come la Fondazione Iniziative».

Mi chiedo a voce alta, durante la mia conversazione con Gere: «Pensavo che la sofferenza fosse alleviata dalla comprensione del vuoto, del non-sé. Non è che questo lavoro», gli chiedo, «si limita ad alleviare temporaneamente le sofferenze di pochi esseri umani?».

Risponde: «Da un punto di vista pratico, se la gente è affamata, maltrattata e torturata, se non esistono né pace né libertà, che possibilità ci sono di cominciare a considerare la natura del sé, del vuoto, di una prospettiva?». Mi guarda sorridendo e continua: «Vedi, alla fine siamo tutti al servizio l'uno dell'altro. Fino a quando non saremo tutti liberi dalla sofferenza, nessuno di noi lo sarà. Giusto? Siamo tutti connessi».

Parlare del dharma con una stella cinematografica è qualcosa di così raro che mi emoziono in modo quasi ridicolo. Ho voglia di saltare su e giù sulla sedia e battere le mani. Per il mio lavoro ho parlato con parecchie celebrità, ma nessuna ha mai fatto cenno all'origine interdipendente.

«Quindi, anche se desideriamo la nostra sicurezza», va avanti, «dobbiamo aiutare tutti gli altri a raggiungere la felicità. Questo è un modo molto egoista di considerare il dharma. Ma almeno è un modo intelligente. È egoismo intelligente».

Una delle priorità di Gere è raccogliere, autenticare, catalogare digitalmente e archiviare tutto il materiale esistente e futuro - discorsi, conferenze, insegnamenti religiosi, fotografie e così via - sulla vita, gli insegnamenti e le attività del Quattordicesimo Dalai Lama.

«Quando pensi al fatto che abbiamo davanti a noi un simile essere», dice Gere, «e che esiste un'enorme quantità di materiale durante la sua vita, proteggere quel materiale diventa un compito incredibilmente importante per le generazioni future».

Una delle prime donazioni fatte da Gere a questa causa particolare fu l'acquisto di un nuovo microfono, anni fa, per il traduttore del Dalai Lama. «Aveva un piccolo microfono», ricorda Gere, «con un cavo a modulazione di frequenza incollato e rincollato con nastro adesivo un centinaio di volte. Gli chiesi: "Quando hai preso questa roba?", e lui rispose: "Non lo so, me l'ha donata un tedesco circa dieci anni fa, ma si è rotta in continuazione". Allora dissi: "Posso offrirtene uno?" "Sì, per favore". Gli comprammo una nuova attrezzatura e tornò al lavoro. Senza tali traduzioni, migliaia di noi sarebbero perduti. E bastò acquistare un trasmettitore a modulazione di frequenza da duecento dollari».

I primi fondi della Fondazione Iniziative per l'Archivio Centrale di Sua Santità il Dalai Lama serviranno per il controllo termico del luogo in cui saranno temporaneamente tenuti gli archivi; inoltre, saranno usati per pagare le attrezzature e lo staff.

«C'è qualcosa di simile a una camera blindata?» chiedo, e Gere ride. «No, non c'è nulla. Probabilmente ci saranno solo delle scatole in qualche stanza sul retro, chi lo sa? Non hanno alcun modo di conservare gli archivi in modo appropriato».

La strada per l'Archivio Centrale è ancora lunga, ma alla fine Gere vuole che tutto il lavoro del suo insegnante - di fatto, tutto il lavoro dei grandi lama - sia disponibile gratuitamente in Internet, in modo che ognuno, «incluso un nomade del Kham con una batteria solare e un computer portatile», possa accedervi. Per ottenere questo, Gere vuole riunire gli sforzi di tutti i buddisti del mondo che finora hanno operato separatamente, spesso all'insaputa l'uno dell'altro. Aiutare la gente a lavorare insieme, evitando i duplicati: la connessione è ciò che Gere sente di potere offrire meglio.

«In questa stanza abbiamo fatto delle riunioni straordinarie», dice. «Gente straordinaria. Connessioni». Gere schiocca le dita di nuovo, per cinque volte: snap, snap, snap, snap, snap. «Sì, possiamo fare qualcosa. Molte personalità che vogliono lavorare con gente concreta, poi.», batte forte le mani una volta: «È fatta».
Una azienda con cui Gere è riuscito a entrare in contatto - forse non quella che ti aspetteresti impegnata nella liberazione di tutti gli esseri senzienti - è stata America Online. Nel 1999, quando Gere fu tra gli organizzatori della visita del Dalai Lama a New York, AOL acconsentì a mostrare per un attimo il volto di Sua Santità sul monitor di tutti i suoi utenti, nell'istante in cui si collegavano al loro indirizzo di posta elettronica. Ciò durò cinque giorni.

«Stavamo sponsorizzando l'evento», dice, «ma la cosa funzionò a un altro livello, totalmente non-concettuale», qui Gere fa il suono di un razzo che attraversa a tutta velocità lo spazio, phooosh! «Un essere illuminato. Che tu lo sappia o no. Ti connetti e phooosh! Anche se volevi cancellarlo, è già successo. Sei stato colpito da un essere illuminato».

Quell'evento, che secondo Gere avrebbe potuto attirare 15.000 persone, ne richiamò 200.000. Nell'autunno del 2003 la Fondazione Iniziative, insieme al Centro del Tibet e alla Fondazione Gere, organizzerà un'altra visita simile. Questa volta il Dalai Lama terrà un insegnamento di quattro giorni su La grande esposizione dei canoni di Jamyang Shayba e sulla Ghirlanda di gemme del bodhisattva di Atisha. Ci sarà anche un discorso pubblico e gratuito al Central Park, per accompagnare il quale Gere e il compositore Philip Glass stanno organizzando un concerto di beneficenza a favore dei tibetani poveri dell'India, del Tibet e del Nepal.

Un paio di anni fa girò la voce che Gere stesse per abbandonare la carriera di attore e farsi monaco. Quando gli chiedo se ha mai preso in considerazione l'ipotesi di abbandonare la recitazione e dedicarsi alla pratica, ride sonoramente, quindi resta seduto in silenzio. «Sì, certo», dice alla fine. «Penso che tutti coloro che sono stati toccati da un insegnante abbiano sentito.». Mi guarda, poi dice che quando "i tibetani" udirono la voce che stava per farsi monaco, alcuni furono sconvolti e gli dissero: «Per favore, non farlo. Abbiamo bisogno di te». Ride ancora. «Non è vero che stessi per farmi monaco. Ma era chiaro che il ruolo che ho ancora adesso era prezioso. E la verità è che la via per la libertà sta passando attraverso questo».

Apre le mani verso la stanza in cui è seduto. «È molto facile per noi ritirarci in una caverna o in una sua qualche versione moderna; da un certo punto di vista, è facilissimo fuggire dalla tua mente. Quindi ho scoperto - specialmente per una persona pigra come me - che interagire sempre con la gente, quando affiora la rabbia», schiocca le dita, «l'impazienza», snap, snap, snap, «tutto ciò per me è un ottimo modo di imparare, di vedere la mia mente. Il mondo non ti permette di evitare granché. È uno specchio costante».

«È brutto non avere responsabilità», dice Gere alla fine, «ma io mi sento responsabile. Sprecare questa vita umana sarebbe una cosa terribile».
Dopo il nostro incontro, mi sta accompagnando all'ascensore. È un passo dietro di me nel corridoio e cammina così silenziosamente che mi accorgo a stento della sua presenza. Improvvisamente lo sento darmi una pacca tra le scapole. Lo guardo, è leggermente accucciato come un vecchio monaco che cammina dietro di me. Ride: «Il mio nome è Patricia», dice quasi con incredulità, pensando al nostro primo incontro, «il mio nome è Patricia».






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