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Inserito il - 14/09/2010 : 11:46:44 E guardo il mondo da un oblò…
di G. Ciappina
La superbia è il mancato riconoscimento del bisogno d'amore...
Osservo l’universo dall’alto della mia torre. Noto omuncoli brulicare disperatamente attaccati alla loro fragile esistenza. E li giudico: male. Li condanno perché non comprendono la mia grandezza. Si presenta così la superbia: con aulica regalità, con altera fierezza e disprezzo, innamorata della propria presunta superiorità, in attesa sdegnosa che qualcuno, prima o poi, finalmente lo riconosca. La superbia, tra i sette peccati capitali, è considerato ‘il grande peccato’. Essa, come d’altra parte anche gli altri, non identifica una specifica persona, ma un atteggiamento psicologico presente – in misura diversa – dentro ognuno di noi. Credo infatti importante sottolineare che la figura del ‘Superbo’ è una sorta di archetipo: indolente, irraggiungibile, inattaccabile, talmente e presuntuosamente infatuato di se stesso che ogni tentativo di farlo scendere con i ‘piedi per terra’, si rivela inutile. Non dobbiamo avere fretta di liquidare troppo velocemente questo atteggiamento psicologico, dicendo: “non mi riguarda. La mia vicina di casa, quella si che è una gran superba. Ma io…figurati! Modesto come sono…”, perché rischiamo di notare la famosa pagliuzza nell’occhio del vicino, senza scorgere la trave nel nostro. Infatti, l’illusione di essere geneticamente immuni dalla superbia è già di per sé un atto di jubris, di presunzione. In qualche caso la trave è proprio una falsa umiltà, che è una superbia mascherata. Sotto la falsa modestia, l’eccessiva mansuetudine, l’ostentato ossequio può infatti celarsi la menzogna di negare ciò di cui abbiamo (imperiosamente) bisogno: il riconoscimento degli altri.
La perniciosità della superbia si fonda nella sua invisibilità e nel suo tratto desiderabile. Apparentemente essa è infatti la manifestazione del potere politico, sociale ed economico. Gli individui di una società come la nostra – gravemente affetta da superbia – possono ravvisare nell’atteggiamento sprezzante e tracotante di chi esercita un potere, una posizione invidiabile e desiderabile. La superbia diventa quindi una sorta di ‘abitus’ con il quale un individuo può (illudersi di) dichiarare agli altri una conquistata posizione economica, di potere o di successo sociale.
Trattare gli altri con malcelato disprezzo diventa un indicatore che segnala una posizione elevata nella gerarchia sociale, un medium di comunicazione di massa – similmente ad altri status symbol, come il cellulare, il SUV o la barca. Questo specifico aspetto rende la superbia – a differenza di altri peccati capitali – altamente infettiva, virulenta e contagiosa. Si diffonde rapidamente nell’aria delle grandi città: il contagio avviene anche tramite la televisione, la spocchia degli opinion-leader, i falsi modelli culturali, fino a raggiungere le campagne, dove spesso produce danni rilevanti.
Una variante del virus della superbia, è la superbia nascosta, celata, che si manifesta principalmente attraverso i pensieri, ma con poca o minima manifestazione negli atti esteriori. Essa diventa allora giudizio sprezzante, condanna e crocifissione degli atti altrui, accompagnata però sempre da atteggiamenti di falsa accoglienza e di ostentato compiacimento. La superbia è una dinamica psicologica complessa, le cui radici affondano nei primissimi mesi di vita. Essa si origina molto spesso da un mancato riconoscimento da parte delle persone che si prendono cura del bambino.
Per riconoscimento intendo un’intima disponibilità del genitore ad accogliere una nuova persona nella famiglia, nella sua specifica unicità ed originalità. La genitorialità è infatti una sorta di posizione interiore di profonda apertura e di grande flessibilità, una attesa non passiva, pronta a comprendere la natura autentica, lo specifico tratto, la disposizione del bambino nella sua distinta singolarità. La naturale difficoltà – o talvolta l’incapacità – del genitore di accogliere e comprendere l’identità profonda del bambino, pone le basi, pianta le prime cellule di quello che potrebbe essere un futuro adulto ‘incompreso’.
La protervia dell’adulto è spesso originata dall’intreccio di due elementi. Il primo elemento è l’umana e comprensibile difficoltà dei genitori di amare – al di là delle manifestazioni materiali – fino alle latenti inclinazioni del bambino, alle sue invisibili vocazioni, impercettibili propensioni, alle sue passioni e all’etereo temperamento del suo animo. Il secondo elemento è l’immagine di Sé che il bambino sviluppa in risposta a questa percepita invisibilità della propria autentica natura.
La mancata accoglienza dell’identità profonda da parte dei genitori, provoca nel bambino un senso cognitivo di inadeguatezza, lo segna inconsciamente con un senso di inidoneità. Ogni volta che, da adulti, il bisogno di porci al di sopra degli altri si fa pressante ed urgente, vuol dire che la ferita dell’incertezza di essere stati amati per quello che veramente eravamo e siamo, sta bruciando dentro di noi.
La superbia si manifesta infatti sempre dentro una relazione, ed è uno specifico disturbo della relazione. Essa esiste soltanto se c’è un rapporto con l’altro. A differenza del narcisista che può trascorrere ore davanti allo specchio in solipsistica adorazione, la superbia emerge necessariamente nel contatto, con un confronto ritenuto improponibile e insopportabile.
La superbia è un paradossale meccanismo di difesa: emerge quando il dolore è troppo forte, quando il confronto con l’altro ci fa sentire tutta la nostra fragilità, tanto da sentirci minuscoli, completamente esposti ai capricci delle circostanze esterne. La sensazione di essere deboli, impotenti, incapaci di agire efficacemente dentro una relazione, spaventati dal rischio di essere travolti e divorati dall’altro o dalle contingenze è un dolore talmente intenso che diventa insopportabile.
Questa sensazione di fragilità e di inadeguatezza viene quindi rimossa e sostituita con una sorta di maschera che ha lo scopo di comunicare l’esatto contrario. La tracotanza è una inconscia reazione psichica all’enorme senso di vuoto e alla paura di essere investiti e sopraffatti. Attraverso la superbia, l’individuo opportunamente traveste il proprio senso di vuoto e di paura dell’altro, nasconde efficacemente la propria vergogna di sentirsi inadeguato e si presta a recitare il personaggio del ‘superiore’. Purtroppo questo meccanismo di autoprotezione dal senso di incapacità è totalmente inconscio. Ciò lo rende, ad una prima superficiale osservazione, difficilmente riconoscibile. Ne consegue che esso rimane invisibile sia alla persona superba sia a coloro che vi entrano in relazione. Quando la paura della relazione si è trasformata nel rifiuto sdegnoso della relazione stessa, ormai il pasticcio è già compiuto. La persona che ha agito la jubris può talvolta, in un successivo esame di coscienza, rammaricarsi di aver agito presuntuosamente, ma difficilmente tende a comprenderne le vere ragioni profonde sopra esposte.
È come essere intrappolati dentro un meccanismo automatizzato che scatta involontariamente e trasforma un individuo normale in un altero faraone in attesa di ossequio. D’altra parte, anche l’altro capo della relazione è all’oscuro di tutto. Infatti la persona fatta oggetto di disprezzo difficilmente comprende che dietro alla boria o all’arroganza possono celarsi un senso di (reale o presunta) incapacità, fragilità, delicatezza, sensibilità, ecc. La protervia è una maschera – purtroppo – davvero efficace, e in questa sua efficienza risiede la pericolosità per l’animo della persona. Infatti, chi non riesce a liberarsi dal meccanismo della superbia, pur avendo un imperioso bisogno del riconoscimento dell’altro, in realtà tende progressivamente ad isolarsi o ad essere isolato dagli altri. Se il virus non viene isolato per tempo, esso gradualmente spinge la persona a salire con gli anni i gradini di una dolorosa torre d’avorio, dove troverà l’isolamento apparentemente ricercato ma al tempo stesso profondamente temuto. Negli anni l’isolamento trasformerà la superbia in veleno, rancore, acredine.
Il superbo rischia di rimare prigioniero di un tentativo ormai assurdo e paradossale: affamato da un urgente bisogno di affetto e di comprensione si trasforma invece nell’idea stessa dell’incompreso, di quello che non ha bisogno degli altri.
Il processo di guarigione passa necessariamente da una profonda presa di coscienza di quanto radicato e diffuso sia questo meccanismo. Purtroppo prendere coscienza di essere superbi è ostacolato dalla superbia stessa. Chi ne è gravemente colpito, pensa di essere immune o solo parzialmente e minimamente sfiorato. L’illusione è che la superbia affligge la società, i politici, i vicini di casa, ma la nostra casa e la nostra famiglia è miracolosamente rimasta incolume. Se pensate di essere esenti dalla superbia, allora il processo di guarigione diventerà più difficile, e in molti casi, del tutto impossibile. Il secondo passaggio di guarigione consiste nel riconoscere la verità profonda che risiede nel nostro animo: noi abbiamo bisogno dell’amore degli altri. Noi esistiamo grazie all’amore di qualcun altro: dei nostri genitori prima; dei nostri amici, colleghi, e partners dopo.
Non serve a nulla costringersi a dosi massicce di esibita umiltà per illudersi di guarire dalla superbia, se prima non riconosciamo questa banalissima ma fondamentale verità: abbiamo bisogno di amore! Questo bisogno è talmente profondo e indispensabile che lo abbiamo urlato fin da piccolissimi. Poi da adulti ce ne siamo vergognati, quasi che fosse un’onta. E la superbia non è altro che il puerile tentativo di contenere la nudità, nascondere il rossore, il pudore del nostro irrinunciabile bisogno. Infine, per guarire davvero dalla superbia bisogna anche imparare a perdonare, che è l’unico modo di elaborare la rabbia di non essere stati accolti, riconosciuti e autenticamente compresi. Ecco allora che la vera umiltà è il risultato della coscienza di avere necessità del calore, del conforto, del sostegno, della cooperazione degli altri. L’umiltà e la semplicità non vanno confuse con la sottomissione, ma vanno intese come straordinarie forze d’animo, come manifestazioni di consapevolezza, armonia interiore e autentica saggezza.
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