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Inserito il - 09/04/2009 : 12:03:55 Verso il Tempio 4
di ANNIE BESANT
<VERSO IL TEMPIO>
(parte quarta)
(PURIFICAZIONE - CONTROLLO DEL PENSIERO LA FORMAZIONE DEL CARATTERE ALCHIMIA SPIRITUALE SULLA SOGLIA)
Traduzione di GINA MIGNANI
ALCHIMIA SPIRITUALE
Nelle ultime tre conferenze abbiamo preso in esame gli stadi che si realizzano simultaneamente, come abbiamo visto, durante i quali chi aspira ad entrare nel Tempio gradatamente si purifica, controlla i suoi pensieri, costruisce il suo carattere, o meglio ne getta le fondamenta. Questi sono i tre stadi che abbiamo preso in esame, ed abbiamo visto che colui che entra nella Corte esterna e si è prefisso il grande compito di realizzarli, deve dedicarsi a questi diversi
compiti non uno dopo l'altro, ma a tutti contemporaneamente, e a poco a poco deve cercare di padroneggiare la sua natura indirizzandola verso l'adempimento dello scopo che si è prefisso di raggiungere.
Supponiamo che il nostro candidato dopo essersi dedicato a queste tre fasi, si accinga ora a considerare un altro lato del suo grande compito. Ho dato a questa parte il nome di Alchimia Spirituale, e nell'adoperare questa denominazione intendo riferirmi ad un processo di trasformazione, alludendo naturalmente al lavoro dell'alchimista che trasmuta il metallo vile in metallo nobile, che cambia per esempio il rame in oro. E penso altresì al processo che si sta svolgendo nel mondo attorno a noi, vorrei dire quasi nella mente e nella vita di ogni persona che abbia un atteggiamento religioso ed il pensiero profondo, ma che nel nostro candidato diventa, come ho tante volte ripetuto, un processo cosciente e deliberato, per cui ne vede i mezzi ed il fine e mette tutto sè stesso al conseguimento ponderato di quanto desidera.
Ora questo processo di alchimia spirituale può essere considerato, nel senso piú lato della parola, come una trasmutazione di forze. Ogni uomo ha in sè vita, energia, vigore, forza di volontà e via dicendo: queste sono le forze con le quali egli deve lavorare, queste sono le energie per mezzo delle quali il suo scopo deve essere raggiunto. Con un processo che si può veramente chiamare di alchimia, egli trasmuta queste forze e le riversa da uno scopo inferiore ad uno superiore, le trasmuta da energie grossolane in energie raffinate e spiritualizzate.
Egli non cambia soltanto il loro scopo, e veramente non è a questo cambiamento di oggetto che la mia mente è diretta nel pronunciare questa frase: si tratta piuttosto che egli le cambia e le purifica senza, per così dire, alterare la loro natura essenziale, proprio come fa l'alchimista che prende la materia vile e la fa passare attraverso un processo di purificazione; non la semplice eliminazione delle scorie, ma la purificazione che va molto piú in là, che attacca il metallo stesso, lo riduce in uno stato assai piú sottile e poi, per così dire, lo ricombina facendone u n tipo piú nobile e piú raffinato. Così potete immaginare l'alchimista spirituale che prende tutte le forze della sua natura, le riconosce come tali e perciò utili e necessarie, ma deliberatamente le cambia, le purifica e le raffina. Quello che c'interessa è il metodo di raffinamento ed il modo in cui questo lavoro può essere fatto.
Il fine di quest'alchimia spirituale non consiste soltanto nella trasmutazione delle forze, benché questa sia la sua parte essenziale, ma esiste un lato sussidiario di essa che non si deve trascurare. Le anime sono legate alla vita terrena, alla ruota delle nascite e delle morti, a causa dei loro desideri; sono trattenute in quelle condizioni dall'ignoranza; sono incatenate dalle loro aspirazioni verso i godimenti materiali, verso gioie separative ed egoistiche. Continuamente impegnate nell'azione, le anime restano legate da queste azioni, siano esse buone o cattive, utili o dannose; nondimeno le azioni hanno questa caratteristica: nell'uomo comune l'azione nasce dal desiderio, e questo desiderio è la forza che lega ed incatena.
D'altra parte le azioni debbono continuare ad essere compiute fintanto che l'uomo rimane nel mondo; le azioni sono necessarie, altrimenti la manifestazione non esisterebbe piú. A misura che l'uomo cresce in nobiltà, in sapienza ed in forza, le sue azioni diventano un fattore sempre piú importante nel progresso del mondo. Se gli esseri piú evoluti si astenessero dall'azione, allora il progresso della razza necessariamente sarebbe ritardato, la sua evoluzione inevitabilmente sospesa. Come sarà dunque possibile che l'azione continui ad essere compiuta e che nel contempo l'anima sia liberata? Come sarà possibile che l'azione si effettui e che
l'anima non resti incatenata ad essa? Qui ancora ci troviamo davanti ad un caso di alchimia spirituale, per mezzo della quale il superuomo può esplicare la massima attività nel servire, senza che il servizio leghi la sua anima liberata. Ecco un esempio che a prima vista può sembrare un paradosso:
«un servizio che lascia perfettamente libero chi lo compie». Duuque, la frase «alchimia spirituale» presa come mezzo che conduce a tale libertà, è soltanto un modo di alludere alla Legge fondamentale del Sacrificio, quella grande Legge che nell'universo manifestato sta alla base di tutto e continuamente esprime sè stessa, le cui forme sono tanto varie che è facile sbagliarsi nei loro confronti, la cui azione è tanto complicata che induce facilmente in errore. Più facile di tutto forse è l'errare nell'espressione; perché qui si tratta di una verità dalle molte faccette, che è veduta sotto molti aspetti dalle menti umane; che sopratutto ha effettivamente un doppio aspetto a seconda che è contemplata dal basso o dall'alto; è una Legge che compenetra l'universo, alla quale ogni atomo è soggetto e che è nel senso piú completo della parola, l'espressione della Vita Divina in manifestazione.
Anche sfiorando appena tale argomento, vi sono infinite possibilità di sbagliare - da parte di chi parla nell'esprimersi, da parte di chi ascolta nell'afferrare il pensiero espresso imperfettamente. Cosicché in questo studio facilmente si è indotti a considerare le cose da un solo lato, a seconda di ciò che al momento occupa piú profondamente il pensiero: a seconda che si guardi dal punto di vista della Materia, oppure da quello dello Spirito; a seconda della posizione che prendiamo all'esterno per guardare all'interno, o della posizione che adottiamo all'interno per guardare al di fuori. Nel trattare un argomento così poderoso, per il quale nessuna parola può esprimere esattamente il pensiero, ed ove afferrare il
pensiero stesso è difficile per esseri così poco sviluppati come noi, è - ripeto assai difficile tanto per chi parla come per chi ascolta evitare dei malintesi, evitare di dare troppa importanza ad un punto piuttosto che ad un altro e perdere così quel perfetto equilibrio che solo può esprimere la verità. Ciò si verifica specialmente parlando della legge del Sacrificio.
Consideriamola innanzi tutto nel suo aspetto inferiore, che comunque, non dev'essere trascurato, perchè contiene per noi molte lezioni, ma che nondimeno è nettamente inferiore in tutti i mondi. Consideriamola come la vediamo espressa nella Natura manifestata, come è impressa nel Cosmo, come la vediamo agire nei mondi fisico, astrale e mentale, e così via: essa implica una certa parentela fra tutte le cose viventi, e non solo fra le cose viventi come noi le conosciamo quaggiù, ma anche fra altri esseri viventi nei mondi che ci circondano. Fermiamoci per un momento a questo aspetto inferiore prima di avventurarci a salire in quello superiore, perché qui pure troveremo nua lezione utilissima, un consiglio assai luminoso che ci sarà di aiuto nell'attraversare la Corte esterna.
Il sacrificio nei mondi inferiori può presentarsi a noi come un conveniente processo di reciproco servizio o scambio, un continuo movimento della ruota della vita in cui ogni essere vivente dà e prende, in cui non può evitare di prendere, in cui non dovrebbe rifiutare di dare. Cosìcchè voi potrete vedere il sacrificio, se lo osservate un momento in quello che io ho chiamato il suo aspetto inferiore, come un continuo roteare della ruota della vita a cui tutte le cose prendono parte cosciente od incosciente, e quanto più altamente sviluppate esse sono, tanto piú cosciente sarà la loro cooperazione. Questo modo di considerare il sacrificio è stato chiaramente definito, forse piú chiaramente che altrove, nel Canto del Signore
(Bhagavad Gità), che è una delle Scritture Indiane ove si tratta della ruota della vita in un modo che è bene conoscere. Dice il grande Maestro: «Il mondo è legato da tutta l'azione che non abbia per scopo il sacrificio; col sacrificio per scopo e libero da attaccamento, o figlio di Kunti, compi la tua azione».
E poi, retrocedendo nel passato, per rendere completo questo ciclo che è sacrificio, per mezzo del servizio reciproco, l'Istruttore dice: «Avendo al principio creato l'umanità col sacrificio, il Signore dell'Emanazione disse: Per mezzo di ciò vi propagherete; sia questo per voi il Kamaduk (cioè il latte del desiderio); con esso nutrite gli Dei e possano gli Dei nutrire voi; così nutrendovi a vicenda, raccoglierete il bene supremo. Poichè, nutriti dal sacrificio, gli Dei vi accorderanno il godimento che desiderate. - Ladro veramente è colui che gode quanto viene elargito da Essi senza ricambiare il dono. Col cibo le ereature si sostengono, dalla pioggia ha luogo la produzione del cibo; la pioggia procede dal sacrificio; il sacrificio sorge dall'azione. Sappi che da Brahma l'azione nasce e che Brahma viene dall'Imperituro. Perciò Brahman che tutto compenetra, è sempre presente nel sacrificio. Colui che sulla terra non segue la ruota che così gira, peccatore nel suo modo di vivere e sensualmente felice, tal uomo, o figlio di Pritha, vive invano».
Questa ruota della vita, che ha la sua ragione d'essere nel sacrificio, si trova quindi in tutte le religioni, e piú la religione è nobile e pura, piú l'idea del sacrificio che la compenetra sarà nobile e pura. Notate con quanta profondità viene qui espressa l'idea dell'alchimia, il continuo cambiamento da uno stato all'altro: il cibo si tramuta negli esseri, ma affinchè il cibo possa esistere, la pioggia è trasformata in cibo; e perché la pioggia possa cadere, il sacrificio dev'essere offerto agli Dei. Allora gli Dei daranno il sostentamento.
Troverete questo roteare della ruota ovunque nelle antiche religioni. Il Bramino, per esempio, si servirà ad fuoco per il suo sacrificio, poiché è scritto che Agni, il fuoco, è la bocca degli Dei; e questo sacrificio per mezzo del fuoco anticamente era accompagnato da Mantra, fatti da uomini che sapevano quel che facevano; essi componevano i Mantra con parole magiche che avevano potere sulle forze inferiori della Natura, affinchè quel sacrificio così compiuto regolasse molte delle forze della Natura, e queste operando sulla terra facevano produrre il cibo per gli uomini. Benché l'azione fosse in sè stessa un simbolo, ciò che veniva simboleggiato era reale e la forza proiettata dalle labbra del sacerdote purificato, dall'uomo dotato di poteri, era reale anch'essa. Il simbolo aveva lo scopo d'insegnare ai popoli tutto quanto concerne questa ruota della vita, di far loro comprendere che l'azione è essenzialmente sacrificio; l'azione dovrebbe essere compiuta come un dovere, e non per altri motivi dovrebbe essere fatta affinchè l'uomo possa trovarsi in armonia con la legge, perché essa è una risposta dell'uomo alla legge, la sua parte nel compito comune.
Mediante questo insegnamento veniva dunque dimostrato che il sacrificio era il vincolo dell'unione, il filo dorato che avvinceva tutti gli esseri in questo universo manifestato. Siccome l'azione è la base del sacrificio e poiché l'azione procede dal Dio creatore che manifesta sè stesso nell'universo, è detto che Brahman è presente in ogni sacrificio. Ogni azione così compiuta costituisce l'adempimento di dovere verso il mondo, senza desiderio di profitto individuale, senza desiderio di guadagno personale, senza desiderio di ottenere alcunchè per il sè personale; procedendo in modo contrario si determinò quell'aspetto inferiore, degradato ed egoistico, che i sacrifici presero coll'andar del tempo. La vera essenza dell'alchimia sta nella parte presa da ogni cosa nel
movimento della ruota ed in quella del compimento del dovere per il dovere stesso, poiché l'azione si cambia in sacrificio, brucia i legami del desiderio e libera il saggio. Così bruciata nel fuoco della saggezza; l'azione perde tutta la sua forza di legame sull'Anima; questa diventa una compagna di lavoro col divino nella Natura, ed ogni azione offerta sull'altare del dovere diventa una forza che mette in movimento la ruota della vita, ma non lega giammai l'Anima.
Questo costante scambio, questo reciproco servizio è dunque una delle forme della grande Legge del Sacrificio, ed il cambiamento che ne sussegue è di tale natura che l'azione compiuta come dovere diventa parte dell'armonia universale, esplicitameute aiuta il procedere dell'evoluzione, contribuisce all'elevazione della razza. Il lavoro del nostro aspirante nella Corte esterna consiste nell'allenare sè stesso gradatamente a compiere ogni azione con spirito di sacrificio, rendendosi conto di ciò che fa, senza chiedere nulla, non cercando nulla, non aspettandosi alcun compenso, agendo semplicemente perché così deve essere fatto, e non per altri motivi. Chi agisce in tal modo, compie effettivamente un lavoro di alchimia spirituale che purifica ogni azione al fuoco della saggezza; egli viene a trovarsi in cosciente armonia col volere divino nell'universo manifestato, e diventa così una forza nell'evoluzione, un'energia nel progresso, e la razza intera è beneficiata dalla sua azione; altrimenti questa avrebbe soltanto portato al sacrificante un frutto personale, che a sua volta avrebbe legato la sua Anima e limitato le sue potenzialità di bene. Così dunque funziona questa legge del sacrificio, considerata nel suo aspetto inferiore.
Veniamo ora a quello superiore e piú sublime. Per evitare ogni malinteso, cercherò di spiegarmi con molta cura e di trattare l'argomento estesamente, perché so quanto sia facile sbagliare in una presentazione
incompleta, di cui io sarei responsabile. Desidero questa sera fermarmi un momento sull'essenza del sacrificio e cercare con voi di rendermi conto di ciò che il sacrificio veramente significa. A me sembra, e questo è il pensiero col quale vi chiedo di cominciare, che il sacrificio considerato nella sua piú intima essenza - e cioè dal punto di vista che sarà sempre piú il nostro man mano che saliremo verso una vita piú divina - che il sacrificio sia l'atto di dare, di passare ad altri quello che è nostro; è motivato dal desiderio di dare, la sua essenza consiste nello struggimento di poter partecipare ad altri qualche cosa che si possiede, oggetto prezioso agli occhi del possessore, il quale per questo desidera metterlo a disposizione per l'aiuto e per la gioia degli altri. Il sacrificio, dunque, considerato dal lato interno piuttosto che da quello esterno, è un dono che viene fatto, è un riversarsi della natura allo scopo di conferire felicità ad altri, e perciò nella sua essenza è gioioso e non penoso, il dono essendo il cuore stesso dell'azione di sacrificio.
Lasciando per un momento da parte quanto può aver luogo durante la consumazione del sacrificio - ritorneremo fra poco anche su questo -, il sacrificio in sè stesso è effettivamente un dono; ed è l'offerta di una natura che desidera dare, che aspira a trasfondersi negli altri, che vuole dividere con altri tutta la gioia che è sua e che ha per unico movente l'aspirazione di espandersi negli altri per unirsi ad essi in un'unica gioia. Ma, direte voi, perché nella gioia? Perciò vi ho pregato di risalire con me sino al cuore, sino al centro stesso della Manifestazione. L'atto supremo del sacrificio, dissi altrove, consiste nell'auto-limitazione della Esistenza Una, per mezzo della quale ebbe origine, sotto forma di Energia, il Logos manifestato. Ora io constato - e la cosa mi sembra abbastanza naturale, poiché nello studiare questo processo e la sua azione sull'universo ho troppo
insistito su uno dei suoi aspetti - constato dunque che questo modo di considerare il sacrificio sembra implicare l'idea d'una « agonia del Logos », espressione che mi pare contraddittoria. Ma cos'è il Logos? Brahmàn manifestato; ora ci è stato detto e ripetuto tante e tante volte nelle antiche Scritture, le quali a loro volta hanno radice in una scienza ancora piú antica, che la natura di Brahman è Felicità. Nessun altro concetto è possibile se tentate di arrivare col pensiero a ciò che esiste oltre la Manifestazione. Brahmàn è Felicità: questa è la nota fondamentale della piú autica religione Ariana. E nell'ascesa che l'uomo fa verso Brahmàn, l'ultimo involucro dello Spirito è chiamato l'involucro della Felicità.
Prendete il Raja Yoga dell'India e studiate i veicoli per mezzo dei quali lo Spirito può manifestare sè stesso nei diversi mondi. Vedrete che a misura che esso si ritira dai mondi inferiori, si spoglia degl'involucri inferiori: abbandona prima l'involucro del corpo denso, poi quello del corpo sottile, poi quello del desiderio ed infine l'involucro della mente. E vedrete che durante questa continua ascesa, che sempre piú lo avvicina a quel Brahman che è sè stesso, e che permette allo Spirito di ritrovare sempre piú la sua natura essenziale, - vedrete che finalmente non gli rimane che un ultimo unico involucro, ilpiú elevato, così sottile che appena lo differenzia dall'Uno Unico, velo traslucido che assicura la conservazione dell'individualità, necessaria per conservare tutta la messe raccolta attraverso le età trascorse. E questo involucro ha un nome: è chiamato l'Involucro di Felicità, come per ricordare ad ognuno che si dibatte nel mondo, inceppato dall'ignoranza, che questo progresso nell'Yoga - che è l'unione col Divino - dev'essere proseguito di grado in grado, fino al momento in cui lo Spirito non si trova più avvolto da niente altro che da Felicità, ed allora vien detto: «Brahman è Felicità»
Dovete dunque sapere, per poco che voi comprendiate di questo grande insegnamento, che in quelle regioni sublimi non può esistere sacrificio che non sia un puro atto di gioia, un puro atto di felicità condivisa. L'essenza stessa di questo concetto - poco importa se io personalmente non sono riuscita ad esprimermi bene - è che da quella Suprema Natura che è felicità, è nato l'Universo; è che da questa limitazione volontaria dell'Essere è divino il Logos, che è Egli stesso. Lo scopo di questa limitazione volontaria dell'Essere divino fu appunto di riversare la felicità inerente alla sua natura essenziale, affinchè quando il ciclo dell'esistenza fosse ultimato potesse esistere una folla di individui raggianti e gioiosi, capaci di condividere la Sua felicità perfetta, felicità sempre piú grande man mano che l'individuo si avvicina a Lui. L'infelicità esiste soltanto a causa del supposto allontanamento da Lui, dovuto al velo d'ignoranza in cui l'Anima è avviluppata.
L'idea fondamentale sarà dunque, se lo credete, la seguente: che la legge del Sacrificio ha per base la Natura Divina, che il supremo sacrificio al quale è dovuta l'emanazione dell'universo è il dono di sè stessa fatto dalla Natura, che è Beatitudine; perciò il tutto deve avere per scopo questa partecipazione, questa effusione di felicità. Infine, il fondamento stesso del Sacrificio Divino è la gioia di espandersi onde unire a Sè molti altri, unione che avrà per conseguenza la Pace che oltrepassa ogni comprensione.
Questo concetto, una volta compreso, ci permetterà di lumeggiare la Legge del Sacrificio e di comprendere ciò che ho chiamato il suo doppio aspetto: quello della gioia provata anzitutto nel dare; ma essendo la natura inferiore più avida che generosa, il sacrificio si manifesta continuamente nella rinuncia, che è sofferenza. Esaminiamo questo punto un po'attentamente; potremo così evitare ogni contraddizione e forse considerare con mente serena questo
grande mistero - come giustamente è stato definito - della Legge di Sacrificio. Cerchiamo di comprendere che il dare è la massima delle gioie, perché appartiene all'essenza stessa della Natura Divina. Cerchiamo inoltre di comprendere che l'uomo, diventando sè stesso - cioè diventando coscientemente divino -, troverà in sè una gioia sempre maggiore e diventerà per gli altri una sorgente sempre piú abbondante di gioia. La felicità deve dunque aumentare a misura che la natura superiore evolve; la sofferenza non può avere origine che dal disaccordo e dalle agitazioni della natura inferiore, la quale non è che il Sè oberato dall'ignoranza e ingombro di illusioni.
Vedremo dunque, proseguendo questi studi, che la utilità del dolore è di liberarci dall'ignoranza; che tutto il processo di crescita e di evoluzione è inteso a liberarci dall'ignoranza; e benché ciò si traduca in noi continuamente in dolore, sofferenza e conflitto, man mano che il vero uomo interiore si evolve e diventa coscientemente attivo, man mano che esso diventa capace di esprimersi nella natura inferiore, esso si renderà conto che il vero significato di tutti i suoi sforzi è di porgere ad un mondo sopraffatto dalla tristezza questa manifestazione di gioia e di pace. Gradatamente l'uomo arriverà a permeare la natura inferiore di questa sua convinzione, a purificarla dalla sua ignoranza ed a farle discernere la realtà, la quale sostituirà poi l'apparenza ingannatrice delle cose.
Come mai, dunque, ci si può chiedere, questa idea di dolore è stata sempre così strettamente collegata all'idea del sacrificio? Perché mai la loro identificazione è tale che la sola parola sacrificio induce immediatamente la persona che pensa o che legge all'idea d'un vero e proprio supplizio? Sembra che questo errato concetto abbia le sue origini nella natura inferiore, le cui prime attività tendono invariabilmente ad afferrare, a prendere ed a trattenere per il proprio
«io» isolato e separato; questo cerca di accumulare esperienze nel mondo esterno, mentre l'uomo superiore, ben lungi ancora dall'essere sviluppato, ha su di lui pochissima influenza - dato il suo stato embrionale -. Perciò la natura inferiore si tuffa nel mondo delle sensazioni aggrappandosi qua e là a tutto ciò che sembra attraente, ignorando la natura delle cose ed il loro risultato, trasportata semplicemente dall'apparenza esterna ed inconsapevole di ciò che esiste sotto tale aspetto ingannevole. Di modo che queste prime esperienze della natura inferiore, lungamente rinnovate, consistono nella ricerca costante di gioie apparenti e nella costante scoperta che esse sono meno soddisfacenti di quanto prima s'immaginava.
Ricorderete senza dubbio che io un giorno vi ho spiegato, dettagliatamente il significato e l'utilità del dolore che insegna gradatamente all'uomo la natura della Legge ed il carattere transitorio dei desideri sensoriali e dei godimenti inerenti all'uomo-animale. Ecco come il dolore conduce alla conoscenza, e come pure vi conduce il piacere. Imparando a conoscere questi due lati della natura manifestata, lo Spirito acquista un po'della conoscenza che esiste oltre l'apparenza esterna delle cose. Nell'acquisto di tale esperienza, che può essere - e di sovente è - dolorosa, lo Spirito trasforma l'esperienza in sapere, cambia questo sapere in saggezza che gli serve d'ora innanzi da guida. A misura che si accumula la saggezza, la quale diventa la ricchezza dell'uomo vero, il Sè in via di crescita comincia ad accorgersi di ciò ch'egli veramente è; trasforma il sapere in saggezza e questa diventa per lui una sorgente di gioia pura ed inalterabile, questa saggezza che si sviluppa accompagnata da una visione piú penetrante, da una serenità e da una forza sempre crescenti. Per questo fatto ciò che alla natura inferiore sembra doloroso, lo spirito lo accetta senza ribellione, poiché sa che colla sofferenza acquista
esperienza. Quando il vero Sè si accorge che un piacere avidamente ricercato gli procura delusione e amarezza, egli trasforma questa esperienza in saggezza; così considerato, anche il dolore ha dunque il suo lato gioioso, poiché l'uomo vero vede in tale esperienza non la sofferenza transitoria della natura inferiore, ma l'acquisto in sapere realizzato dalla natura superiore; egli comprende che tutte le sue esperienze significano per lui un aumento di sapere e di potenza; egli le sceglie dunque, e questa scelta fatta di proposito è gioiosa, perché ne vede lo scopo ultimo: l'oro che uscirà dal fuoco.
Consideriamo ora l'essere umano accecato dall'ignoranza nel mondo inferiore; supponiamo di vederlo sottoposto alle lezioni che la natura continuamente insegna, lezioni severe e penose; supponiamo di vederlo alla ricerca di godimenti animaleschi, non-curante delle perdite e delle sofferenze che ne risultano per gli altri, calpestando i suoi simili pur di far suo l'oggetto desiderato. E'certo che nel vedere quest'oggetto che si sbriciola fra le mani, il suo primo sentimento sarà di dolore acuto, di intensa delusione, di stanchezza e di disgusto. Sotto questo aspetto l'esperienza è veramente penosa; tuttavia dal punto dl vista superiore essa merita di essere vissuta per il contributo di sapienza che porta all'uomo, per l'atteggiamento che genera in lui ad approfondire le cose della natura, donde gli proviene una piú intima conoscenza della Legge. Ma c'è dell'altro. La natura inferiore e quella superiore si trovano in conflitto: quest'ultima si propone un certo scopo che deve avere il suo compimento per mezzo della natura inferiore. Questa non comprende la mira della sua compagna e non si rende conto dell'oggetto che essa ha in vista. Senza la cooperazione della natura inferiore, quella superiore non può raggiungere il suo scopo, e dà qui nasce il conflitto con la natura inferiore, talvolta per obbligarla ad andare innanzi, tal'altra per frenarla.
Tutto ciò crea alla natura inferiore, ancora accecata dall'ignorauza, un senso di malessere, di rinunzia forzata di quanto desiderava ottenere; lentamente, però, s'infiltra nella natura inferiore, a misura che quella superiore riesce ad avere maggiore presa su di essa, la comprensione sempre più netta che è bene tale azione sia fatta anche se il dolore ne è la conseguenza, poiché il risultato che se ne ottiene è ben degno della sofferenza necessaria per averlo.
E il fatto stesso di aver superato la difficoltà mercè lo sforzo, anche se penoso, procura un aumento di forza tale che il dolore momentaneo dello sforzo è cancellato dalla gioia del fatto compiuto. Durante il processo di sviluppo dell'Anima avrà dunque luogo - anche per quanto riguarda la natura inferiore - un doppio lavoro nell'intelletto, nell'intelligenza dell'uomo, per cui, di proposito egli sceglierà uno scopo difficile da raggiungere, semplicemente perché lo desidera al massimo grado; eppure egli non potrà raggiungere questo scopo senza sacrificare qualche desiderio della natura inferiore; tuttavia egli ne fa sacrificio offrendolo al fuoco del sapere.
Così facendo egli si accorge tosto che ha bruciato anche certe limitazioni che lo imprigionavano, certe debolezze che gl'impedivano di avanzare e che il contatto col fuoco, che sulle prime sembrava penoso, non è altro in verità se non esporre all'azione delle fiamme le catene che gl'impedivano di progredire. Accoglie dunque gioiosamente la liberazione; l'esperienza si ripete e l'uomo si rende sempre piú conto della libertà e sempre meno del dolore necessario per acquistare tale libertà. Dal punto di vista interno, ancora una volta questa sofferenza è trasmutata in gioia ed è l'opera dell'alchimia divina. L'uomo si accorge che nell'effusione dell'Elemento Superiore in quello Inferiore, quest'ultimo è condotto a prendere parte alla gioia del primo ed a meglio assaporare la sua beatitudine permanente
sempre crescente. E quando l'Anima si avvicina alle Porte del Tempio, quando chiaramente comprende lo scopo di tutte le passate lezioni, ecco che finalmente si rende conto che queste erano veramente intese a liberarlo da ogni limitazione e che tutta la sofferenza umana sta appunto nelle limitazioni, le quali impediscono all'Anima di identificarsi coi suoi fratelli, di identificarsi col Divino. E piú tale convinzione si afferma, piú si accentua l'effusione della Natura Divina, che è l'uomo vero, piú sarà evidente - con la soppressione delle limitazioni - la gioia divina; si comprenderà che il dolore, lo ripeto, non è dovuto che alla separatività, la quale è radicata nell'ignoranza; e quindi, una volta distrutta l'ignoranza, viene a cessare anche il dolore. Ma vi è di piú. Dal momento in cui si riconoscerà che le limitazioni sono illusorie, apparenti e non reali, che esse non esistono nel mondo ove l'uomo vero vive, da allora risolutamente si comincierà a trasmutare le facoltà della natura inferiore, e per mezzo di questo atto di alchimia ad affinarle, come ho già detto altrove.
* * *
Prendiamo uno o due esempi e vediamo come tale trasmutazione potrà effettuarsi. Consideriamo in primo luogo quella grande sorgente di dolore nel mondo inferiore e cioè la ricerca del piacere per il sè personale, senza tener conto dei desideri o dei sentimenti altrui - il desiderio di godere da solo, rinchiuso in un cerchio limitato, isolato dal mondo esterno e consacrato esclusivamente alla soddisfazione del sè inferiore. Come si comporterà l'Anima nei confronti di questo istinto che spinge alla ricerca del piacere? Vi è in esso qualche elemento che possa essere trasformato dal fuoco?
La ricerca del piacere, sempre seguita dalla sofferenza, può diventare una facoltà atta a diffondere la gioia ed a far condividere a tutti ciò che uno solo ha acquistato. L'Anima scoprirà che può operare questa trasmutazione cercando di eliminare man mano l'elemento separativo dell'istinto che induce a cercare il piacere nel mondo esterno, sforzandosi costantemente di scacciare il desiderio di esclusività, abbattendo il piccolo muro d'ignoranza che lo circonda nei mondi inferiori ove si manifesta, bruciando la muraglia inferiore che in tal modo non potrà piú separarlo dagli altri. Succederà che dopo aver ricercato ed ottenuto un piacere, il sè si riverserà al di fuori fra tutti i suoi simili e dividerà con essi la felicità che ha scoperto.
L'Anima non tarda inoltre ad accorgersi che la sua maggior gioia sta nell'obbedienza: in un mondo ove tutto è legge, vivere in armonia con questa deve necessariamente apportare pace e felicità, mentre basta la sola presenza della discordia a dimostrare che non esiste armonia con la legge.
Quest'anima in evoluzione, allorché si accorge di aver acquistato qualche potere spirituale o qualche conoscenza, quando vede di aver scoperto qualche verità si abituerà a sentire che la gioia del possesso risiede veramente nell'atto di donare, non in quello di acquistare e che la cosa piú necessaria è di abbattere tutte quelle muraglie che all'epoca della sua ignoranza aveva costruite, permettendo così alla gioia di dilagare sul mondo intero degli uomini e delle cose. Ecco come l'istinto della ricerca del piacere si trasmuta in potere di diffondere gioia, e colui che prima cercava il piacere da solo si renderà conto che la vera gioia consiste soltanto nel condividerla con altri e che nulla vale la pena di essere posseduto se non quello che si dona. E la gioia del dare è veramente il sacrificio essenziale, la profusione su tutti di ciò che altrimenti diverrebbe inutile restando racchiuso in un sè isolato.
Consideriamo un altro esempio di questa stessa alchimia spirituale, e cioè l'amore egoista. Troviamo qui qualcosa di piú elevato del semplice istinto della ricerca del pilcere, poiché la parola stessa «amore» implica per lo meno il dono di qualcosa ad altra creatura, altrimenti non esisterebbe affatto amore. Questo sentimeuto può però essere completameute egoista, sempre intento a prendere anziché a dare, a calcolare quanto può ottenere da coloro che ama e non quanto può dar loro. Questo amore per il fatto stesso che cerca un guadagno, inevitabilmente manifesta gli antipatici attributi di esclusività, di gelosia; ha il desiderio di allontanare gli altri, di tenere tutto per sè l'oggetto amato e, se così potessi esprimermi, di ricoprire il sole con un tetto per farlo brillare soltanto sulla propria casa e non permettere a nessun altro di godere dei suoi benefici raggi.
Un simile amore egoista come potrà essere trasformato? Non certo con la diminnzione dell'amore, come tanti s'illudono di fare; non rendendolo piú freddo e piú duro, come se l'amore potesse mai essere tale, ma piuttosto aumentando l'amore stesso e cercando metodicamente di liberarlo da quegli elementi che lo degradano, sorvegliando il sè inferiore, e quando ci si accorge che questo tende a costruire un piccolo muro di esclusività distruggendolo subito; quando sorge il desiderio di tenere per sè ciò che si considera tanto prezioso ed ammirevole, cercare immediatamente di condividerlo col prossimo; se nasce la tendenza a privare gli altri dell'oggetto dei suoi affetti, prodigare quest'oggetto all'esterno onde condividerlo con gli altri.
L'Anima deve imparare a conoscere che tutto ciò che è bellezza e gioia deve essere messo alla portata di tutti, affinchè anche gli altri possano provare la stessa felicità goduta in origine da uno solo nel possesso dell'oggetto amato; così scompariranno a poco a poco tutti gli elementi grossolani. Ogni qualvolta l'egoismo si farà sentire, dovrà essere risolutamente scacciato; se la gelosia tenderà ad affermarsi, dovrà immediatamente essere arrestata. Succederà così che là ove regnava il sentimento: «Godiamo da soli», nascerà quest'altro sentimento: «Andiamo assieme nel mondo per dare e condividere con altri la gioia che assieme abbiamo trovato».
Mediante un simile processo di alchimia l'amore diventerà compassione divina, e si diffonderà su tutta l'umanità; e colui la cui gioia consisteva nel ricevere i doni dall'essere amato, raddoppierà le sue delizie prodigando agli altri ciò che ha trovato. E quest'amore che una volta era egoista, che era forse l'amore fra un uomo e una donua, si è allargato prima per comprendere il circolo della famiglia, poi la vita della comunità, poi quella della nazione ed infine quelli della razza, per giungere a contenere tutto ciò che vive nell'universo, ove nulla esiste che non abbia vita. E quest'amore nulla avrà perso della sua profondità, del suo calore, della sua intensità, del suo fervore, ma si diffonderà su tutto l'universo invece di rimanere concentrato in un solo cuore e sarà diventato un oceano di compassione che comprende tutto ciò che vive e sente. Questa sarebbe, per quanto riguarda l'amore, l'alchimia dell'anima.
Potreste in seguito prendere le qualità della natura inferiore, una dopo l'altra, ed esaminarle come io ho fatto per queste due: vi accorgereste che il procedimento consiste essenzialmente nel liberarsi dalla separatività, nel distruggere questa con volontà, con conoscenza e comprensione. Si scoprirà così che tale lavoro è una gioia per l'uomo, per l'uomo vero e reale, malgrado l'uomo inferiore possa talvolta, nella sua cecità, non rendersene conto. Ma allorchè tale verità si è fatta strada, quello che precedentemente era reputato sofferenza perde il suo aspetto doloroso e diventa gioia; perfino nella sensazione assoluta di ciò che altrimenti sarebbe stato tormento, la gioia prende il sopravvento e trasmuta il dolore perché l'anima vede quale è il fine e lo scopo del lavoro, e la natura inferiore comincia a rendersene conto.
Continuando nello studio di questo argomento, vedremo che esiste un altro modo in cui operare la trasmutazione che c'interessa. A misura che l'ardore di saggezza e di amore, che costituisce la Natura Divina nell'uomo, fa capolino sempre piú nella natura inferiore, distruggendo le limitazioni di cui ho parlato e trasmutandole a propria somiglianza, avviene una formazione di energia e di potere spirituale.
Il Sè che si manifesta nell'uomo inferiore è capace di produrre energie e poteri che sono, per quanto strano possa sembrare, il risultato del procedimento di cui ho parlato; si tratta veramente dell'alchimia nella Natura per mezzo della quale lo Spirito, col suo ardore di amore e di saggezza, si manifesta nel mondo terreno; per il fatto stesso della manifestazione avviene una liberazione di energia; il fatto stesso di bruciare elementi inferiori, produce forze sottili appartenenti ai piani superiori; perciò il risultato di questo annullamento è la liberazione della vita spirituale; è togliere i ceppi che imprigionavano qualcosa che non poteva manifestarsi, ma che una volta liberato dai lacci che lo avvolgevano è pronto per lavorare nel mondo.
Mentre l'anima si eleva nei piani superiori e si rende conto della sua identità col tutto e della unità di tutto, comincia lentamente a comprendere ed a vedere il delinearsi di una grande verità, e cioè che in virtù dell'unità che la lega ad altre anime essa è capace di porgere a queste il suo aiuto in vari modi e di dividere con esse quanto ha acquistato, di cedere ad esse, provandone gioia, quanto avrebbe potuto serbare per il proprio godimento. L'Anima, avendo realizzato l'identità della sua conquista con il tutto, sente che questa deve necessariamente essere donata al mondo.
Quello dunque che potrebbe essere chiamato il prezzo del perfezionamento spirituale, - possibilità di beatitudine e riposo spirituali, sviluppo della spiritualità, che potrebbero non essere divisi con altri - viene ceduto con atto gioioso da quest'anima, per una necessità della sua natura, affinchè diventi proprietà comune e si diffonda nell'umanità per aiutarne l'evoluzione. Così sentiamo di certi discepoli che rununciano al Devachan, di Adepti che rinunciano al Nirvana, il che significa che hanno raggiunto un punto tale di auto-identificazione coi loro fratelli, da essere obbligati - per una divina necessità - a dividere con loro quanto hanno acquistato. La vera ricompensa per essi non consiste nella beatitudine del Devachan o nella inconcepibile gioia del Nirvana, ma l'unica gioia alla quale aspirano è quella di riversare nel bene comune tutto quanto loro appartiene, tutto quanto avrebbero potuto godere personalmente, onde aiutare l'evoluzione della massa, l'elevazione - sia pur di poco - dell'umanità di cui fanno parte.
In seguito ci rendiamo conto di un'altra verità: del modo cioè in cui l'aiuto può essere dato. Quando un uomo è accasciato dalla sofferenza da lui stesso creata, quando l'azione della legge che non può sbagliare fa ricadere sull'anima umana dolore e sofferenza dei quali essa stessa è stata la causa, è possibile - pei chi non conosce separatività, per chi ha realizzato che quest'anima sofferente e lui sono una cosa sola nel piano della Realtà - non di prendere su di sè il risultato inevitabile, evitando a chi ha seminato il proprio dolore di sfuggire al raccolto, ma di stare vicino a lui nell'ora del tormento e di infondergli forza ed energia. Così mentre il fardello è portato dal vero responsabile e la messe è raccolta da chi l'ha seminata, vengono infuse in quest'anima una unova energia, una nuova vita, una nuova comprensione che gli permettono di compiere il suo dovere, che cambiano non il dovere ma l'atteggiamento dell'anima nell'adempimento di esso; che cambiano non il fardello, ma la forza dell'anima nell'adempimento di esso; che cambiano non il fardello, ma la forza dell'anima nel portarlo.
E'una delle gioie maggiori, una delle ricompense piú alte per lo spirito che tende ad elevarsi e che non chiede per sè se non il potere di servire, il vedere che un'anima piú debole, affranta dalla sua stessa debolezza, riceve da lui forza e sollievo, ed anche quella comprensione che gl'infonde speranza e capacità di sopportare.
L'aiuto consiste nel dare forza allo spirito-fratello per superare il momento critico. Non si tratta di liberarlo dal fardello che egli si è procurato e che è bene debba portare, ma gli viene infuso un po'di quel potere che nasce dalla comprensione della natura delle cose e che realmeute cambia il peso della pena subita in tranquilla sopportazione di un ben meritato dolore, la cui lezione dev'essere imparata.
Un'anima così aiutata diventa serena perfino mentre sopporta il proprio Karma, ed il dono che le vien fatto la rende piú salda nel presente e nel futuro, perché esso appartiene alla Vita Divina proveniente da un piano ove tutti sono uno. In quel piano esiste una grande riserva di energia spirituale, continuamente rifornita da coloro che hanno scoperto la divina gioia del dare e che non riconoscono altra ricompensa che l'elevazione dei fratelli verso la luce da essi raggiunta.
Ma se questo è vero, cosa significa dunque la difficoltà che tutti conosciamo, che l'aspirante, ha sentito costantemente ripetere, della quale egli si rende conto quando entra negli stadi probatori e che crede rappresenti tutto quanto esista dall'altro lato della porta che conduce alla Corte Esterna? Perchè mai il «Sentiero» è stato chiamato la « Via del Dolore» se inan mano che viene calcato diventa sempre piú radioso di gioia divina? Eppure non è difficile comprendere il perché di questa frase, se si pensi a chi il sentiero deve sembrare in un primo tempo la «Via del Dolore». Nel fatto di prendere di petto questo lato della montagna, nel volere coscientemente salire con rapidità, nella determinazione di uscire dalla evoluzione della massa del genere umano, consegue inevitabilmente lo sforzo di concentrare in poche vite quanto altrimenti sarebbe stato diluito in molte. Ed allora precipita sull'anima il Karma del passato che ora deve essere affrontato ed esaurito in breve tempo, e perciò con raddoppiata formidabile forza.
Quando a tutta prima questo Karma si abbatte sull'anima, rassomiglia ad una forza travolgente, ad una energia accecante che fa sentire il dolore come mai prima era stato sentito. Ma non è veramente lo spirito che soffre; è la natura inferiore che ancora è cieca e che si sente trascinata avanti da quella superiore; perfino nel momento della prova piú amara, quando cioè tutte le cause accumulate durante le molte vite trascorse precipitano sullo spirito dell'uomo che ha osato sfidare il suo destino, perfino in quel momento lo spirito si trova in una dimora di pace e si rallegra che sia affrettato ciò che altrimenti sarebbe durato molte vite e che in un rogo, sia pur rovente una breve, le scorie del passato siano bruciate onde lasciarlo libero di procedere per quella via che sola gli sembia desiderabile. Così avviene che questo sentiero, guardato dal basso, è chiamato la «Via del Dolore», anche perché nell'entrarvi gli uomini rinunciano a molte cose che agli occhi del mondo sembrano piaceri; piaceri dei sensi, della vita mondana, godimenti di ogni specie che tanta gente crede rappresentino i fiori seminati sul sentiero della vita.
Ma quell'Anima che ha preso la risoluzione di salire ha perduto il gusto di tali piaceri; essa non li desidera piú, ma cerca qualcosa che non svanisca
e gioie che non siano illusorie. Visto dal di fuori il Sentiero sembra la «Via della Rinuncia»: ma si tratta di una rinuncia che significa maggiore gioia, pace e felicità; non è preferire il dolore alla gioia, ma respingere una felicità passeggera per la beatitudine eterna, rinunciare a qualcosa che può esserci tolta da qualsiasi circostanza esterna per ciò che è intimo possesso dello spirito, tesori che nessun ladro potrà mai toccare, gioie che nessun cambiamento nelle circostanze terrene potrà mai offuscare o sciupare o diminuire. E piú lo Spirito avanza nel Sentiero, piú la gioia diventa vivida: infatti, abbiamo visto all'inizio che il dolore ha le sue fondamenta nell'ignoranza. Il dolore piú acuto si fa sentire prima di aver acquisito la conoscenza, e ciò avviene a causa dell'ignoranza della cecità. Vi è profondo dolore nel cuore di coloro i quali, forse a causa di questo stesso dolore si danno alla ricerca del Sentiero, nel vedere tanta miseria e tanto cordoglio nel mondo; uomini, donne, fanciulli sotto il peso di una sofferenza che sempre ritorna, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio. Essi vedono l'umanità che soffre senza sapere perché, senza rendersi conto che è il pungolo dell'ignoranza che ferisce e che costituisce la vera essenza del dolore.
E guardando il mondo sprofondato nell'ignoranza, fra i cui tentacoli gli uomini lottano, che coloro i quali dovranno essere i salvatori dell'umanità - pervasi da pietà per tanta miseria - si sentono spinti a cercare il «Sentiero della Liberazione».
Rivedendo la storia dei Grandi Esseri e meditando su certi lati della loro vita fra gli uomini, quali si possono trovare nella storia o nella tradizione, non siete mai stati colpiti dal fatto che l'agonia da Essi subita aveva sempre avuto luogo prima che vedessero la luce? Che tale agonia era il risultato della disperazione, il riflesso del dolore che Essi sapevano esistere, ma di cui sfuggiva loro la causa, del dolore che sentivano, ma di cui ignoravano il rimedio?
Prendete ad esempio il dolore, dell'Uomo Divino, che milioni di uomini oggi considerano come il piú elevato ed il piú sublime, il fiore stesso dell'umanità, il Budda ora adorato da un terzo del genere umano. Rammenterete come Egli andasse cercando la sorgente del dolore, come si rammaricasse dell'ignoranza e della miseria del mondo, senza che vedesse quale rimedio trovare al dolore.
Si sottopose a sofferenze, penitenze e privazioni; rinunciò a moglie, figlio, palazzo, vita familiare e regno; se ne andò con la sola ciotola del mendicante nel fitto della jungla, lontano dal consorzio umano.
E sempre il cuore gli pesava nel petto ed i suoi occhi erano velati. Egli non sapeva, è scritto, come salvare il mondo e non poteva aver pace finché il mondo soffriva. Affrontò molti pericoli, si impose molte penitenze, molte mortificazioni corporali e si desolò per la ristrettezza della propria mente che voleva comprendere senza riuscirvi. E finalmente, mentre sedeva sotto l'albero gli venne l'illuminazione e conobbe allora la causa del dolore: fu la fine dei tormenti e la gioia lo invase. Le parole che gli uscirono dalle labbra e che sono pervenute a noi attraverso i secoli come rintocchi di campane, sono un grido di trionfo, di gioia, di felicità, che oramai nulla potrà cambiare mai piú.
Ricordate senza dubbio come si espresse un poeta inglese nel dare voce alle Sue parole, che insegnano come l'ignoranza sia la causa di tutti i dolori e come la conoscenza ci dia la visione e prepari la strada alla gioia: Io, Budda, che piansi per le lagrime di tutti [i miei fratelli, Che ebbi il cuore spezzato dal dolore di tutto [il mondo, Ora rido e sono lieto perchè esiste la libertà!
Libertà! Questa è gioia! Le lagrime provenivano dall'ignoranza, dalla cecità; il cuore era spezzato dal cordoglio del mondo, come anche oggi i cuori degli uomini continuano ad essere spezzati perché non sanno. Ma esiste la liberazione. Ed il suo messaggio è questo: «la causa di ogni dolore esiste in noi, non nell'universo; esiste nella nostra ignoranza, non nella natura delle cose; esiste nella nostra cecità, non nella vita». E così succede che quando viene la luce, anche la libertà viene con essa, e la gioia ed il riso, come avvenne all'uomo diventato divino. Perché la luce divina ha illuminato il suo Spirito, Egli è l'illuminato, il Saggio; e per il saggio non havvi dolore; per lo spirito divinamente illuminato il cordoglio è morto per sempre.
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