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 Il sentiero della pace

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 01/06/2017 : 10:51:07
Il sentiero della pace

del venerabile Ajahn Chah

© Ass. Santacittarama, 2002. Tutti i diritti sono riservati.

SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.

Traduzione di Silvana Ziviani.

Brani estratti da un discorso del Venerabile Ajahn Chah indirizzato ai
monaci e ai novizi.


POSSIAMO DIRE CHE il retto sentiero della pace, il sentiero che il
Buddha ha scoperto e ci ha indicato, che conduce alla pace della
mente, alla purezza e alla realizzazione delle qualità di un samana, è
formato da sila (freno morale), samadhi (concentrazione) e
pañña(saggezza). E' una strada valida per tutti. Infatti i discepoli
del Buddha che divennero illuminati, all'inizio erano delle persone
ordinarie, come tutti noi. Anche il Buddha all'inizio era uno come
noi. Praticarono e dall'opacità fecero emergere la luce, dalla
rozzezza la bellezza e dalle cose vane e inutili grandi benefici per
tutti.

Sila, samadhi e panna, sono i nomi dati a tre diversi aspetti della
pratica. Praticando sila, samadhi e panna, in effetti, praticate con
voi stessi. La giusta sila esiste qui in questo momento, il
giustosamadhi è qui. Perché? Perché il vostro corpo è qui! La pratica
disila riguarda il corpo intero. Quindi, siccome il vostro corpo è
qui, le mani, le gambe sono qui, è qui che praticate sila.

Un conto è tenere a mente tutta la lista dei comportamenti sbagliati
da evitare, così come elencata nei libri, un altro conto è capire che
le potenzialità che questi atteggiamenti hanno di crescere, risiede in
voi. Praticare la disciplina morale vuol dire stare attenti ad evitare
certe azioni, come uccidere, rubare ed avere una condotta sessuale
scorretta. Il Buddha ci ha insegnato a prenderci cura di tutte le
nostre azioni, anche delle più semplici.

Forse nel passato avete ucciso degli animali o degli insetti
schiacciandoli o non siete stati troppo attenti nel parlare: il
parlare sbagliato si ha quando si mente o si esagera la verità, mentre
parlare in modo grossolano vuol dire essere aggressivi e offensivi
verso gli altri, dicendo in continuazione ‘imbroglione’, ‘idiota’ e
così via. Il parlare frivolo si ha quando i discorsi sono solo
chiacchiere inutili, senza senso, sconclusionati, che vanno avanti
senza voler dire niente. Ci siamo lasciati andare tutti qualche volta
a questo genere di discorsi a ruota libera, quindi praticare sila
significa sorvegliare se stessi, sorvegliare le proprie azioni e le
proprie parole.

Ma chi sorveglia? Chi si prende la responsabilità delle vostre azioni?
Quando vi appropriate di qualcosa che non vi appartiene, chi è
consapevole di quell'azione? E' la mano? Questo è il punto su cui
dovete sviluppare la consapevolezza. Chi sa che state per mentire,
giurare o dire qualcosa di frivolo? Consapevole di ciò che dice è la
bocca, o è colui che conosce il significato delle parole? Contemplate:
'colui che conosce', chiunque sia, deve prendersi la responsabilità
della vostra sila. Portate questa consapevolezza a sorvegliare le
vostre azioni e le parole. Per praticare sila, usate quella parte
della mente che dirige le vostre azioni e che vi porta ad agire bene o
male, a cacciare il furfante e a trasformarlo in uno sceriffo. Tenete
ferma la mente capricciosa e portatela a servire e a prendersi la
responsabilità di tutte le vostre azioni e parole. Osservate ciò e
contemplatelo. Il Buddha ci ha esortato ad essere consapevoli delle
nostre azioni. Chi è consapevole? Il corpo non ne sa niente; sa solo
stare in piedi, camminare e cose del genere. Per poter fare qualsiasi
cosa deve aspettare che qualcuno glielo ordini. La stessa cose vale
per le mani, per la bocca.

La pratica comporta che si instauri sati - cioè la consapevolezza - in
‘colui che conosce’. ‘Colui che conosce’ è quell’intenzione della
mente che prima ci portava ad uccidere esseri viventi, a rubare le
cose altrui e a indulgere a una sessualità scorretta, a mentire, a
calunniare, a parlare in modo sciocco e frivolo, a comportarci nei
modi più sfrenati. E’ ‘colui che conosce’ che ci ha spinto a parlare;
esso esiste nella mente. Focalizzate la consapevolezza (sati) - questa
costante riflessione consapevole - su ‘colui che conosce’. Lasciate
che la conoscenza si prenda cura della vostra pratica.

Usate sati, la consapevolezza, per mantenere la mente riflessiva,
concentrata nel momento presente, ottenendo così la calma mentale.
Fate che la mente badi a se stessa, e che lo faccia bene.

Mantenere sila - o in altre parole, prendersi cura delle azioni e
delle parole - non è poi una cosa così difficile, se la mente sa
badare a se stessa. Siate sempre consapevoli, ogni momento e in ogni
postura: sdraiati, in piedi, camminando e seduti. Prima di compiere
qualsiasi azione, prima di parlare o di impegnarvi in una
conversazione, stabilite la consapevolezza, sati; dovete essere
raccolti, prima di fare qualsiasi cosa. Non importa quello che direte,
l’importante è raccogliersi nella mente. Esercitatevi fino a diventare
molto abili. Praticate, in modo da essere sempre al corrente di ciò
che capita nella mente; praticate fino a quando la consapevolezza
diventi così naturale da essere presente ancora prima di agire o di
parlare. E’ questo il modo per stabilire la consapevolezza nel cuore.
E’ con ‘colui che conosce’ che sorvegliate voi stessi, perché tutte le
azioni vengono da lui. E' qui che hanno origine le intenzioni che
produrranno l'azione ed è per questo che la pratica non avrà successo
se fate svolgere questo compito a qualcun altro.

Le vostre parole e le vostre azioni, sempre tenute a bada,
diventeranno aggraziate e piacevoli sia all’occhio che all’orecchio,
mentre voi stessi, sarete perfettamente a vostro agio all’interno di
questa disciplina. Se praticate la consapevolezza e il controllo fino
a renderli atteggiamenti naturali, la mente diventerà ferma e risoluta
nella pratica di sila. Farà costantemente attenzione alla pratica,
riuscendo così a concentrarsi completamente. In altre parole, la
pratica basata sul controllo e la disciplina, in cui vi prendete
costantemente cura delle azioni e delle parole, in cui siete
completamente responsabili del comportamento esteriore che avete, si
chiama sila, mentre samadhi è caratterizzato dalla saldezza della
consapevolezza, a sua volta derivato dalla ferma concentrazione nella
pratica di sila. Queste sono le caratteristiche di samadhi, come
fattore esterno della pratica. Ma vi è un lato più profondo e
interiore.

Una volta che la mente sia concentrata nella pratica e che sila e
samadhi si siano stabilizzati, sarete in grado di investigare e
riflettere su ciò che è salutare e ciò che non lo è, chiedendo a voi
stessi "questo è giusto? O non è giusto?", man mano che sperimentate i
vari contenuti mentali. Quando la mente entra in contatto con cose
visive, con suoni, odori, gusti, con sensazioni tattili o con idee,
‘colui che conosce’ apparirà e stabilirà la consapevolezza del piacere
e dispiacere, della felicità e della sofferenza, e di tutti gli
oggetti mentali che si vanno sperimentando. Riuscirete finalmente a
‘vedere’ chiaramente e osserverete un’infinità di cose diverse.

Se siete consapevoli, vedrete i vari oggetti che passano nella mente e
la reazione che accompagna l’esperienza di essi. ‘Colui che conosce’
li prenderà automaticamente come oggetti di contemplazione. Quando la
mente è vigile e la consapevolezza ferma e stabile, noterete
facilmente le reazioni che si manifestano per mezzo del corpo, della
parola o della mente, man mano che si sperimentano questi oggetti
mentali. Tale aspetto della mente che identifica e seleziona il buono
dal cattivo, il giusto dallo sbagliato, in mezzo agli oggetti mentali
che rientrano nel campo della consapevolezza, è panna, una panna allo
stadio iniziale, che maturerà con l’avanzare della pratica. Tutti
questi vari aspetti della pratica sorgono dall’interno della mente. Il
Buddha si riferì a queste caratteristiche chiamandole sila, samadhi e
panna.

Continuando la pratica, vedrete sorgere nella mente altri attaccamenti
e illusioni. Questo significa che ora state attaccandovi a ciò che è
buono e sano. Diventate timorosi di ogni caduta o errore della mente,
temendo che il samadhi ne risenta. Nello stesso tempo cominciate ad
essere diligenti nella pratica, ad amarla e a coltivarla, lavorandovi
con grande energia.

Continuate a praticare così il più a lungo possibile, fino a quando
forse raggiungerete il punto in cui non farete altro che giudicare e
trovare errori in chiunque incontrate, ovunque andiate. Reagite
continuamente con attrazione o avversione al mondo che vi circonda,
diventando sempre più incerti sulla correttezza di ciò che fate. E’
come se foste ossessionati dalla pratica. Ma non preoccupatevene; a
questo punto è meglio praticare troppo che troppo poco. Praticate
molto e dedicatevi a sorvegliare il corpo, la parola e la mente. Di
questo esercizio non ne farete mai abbastanza. Tenetevi ancorati agli
oggetti mentali rappresentati dalla consapevolezza e dal controllo sul
corpo, sulla parola e sulla mente, e dalla discriminazione tra giusto
e sbagliato. In questo modo svilupperete sempre più la concentrazione
e rimanendo costantemente e fermamente ancorati a questo modo di
praticare, la mente diventerà essa stessa sila, samadhi e panna, le
caratteristiche della pratica come descritte negli insegnamenti
tradizionali.

Man mano che continuate a sviluppare la pratica, queste differenti
caratteristiche e qualità, si perfezioneranno nella mente. Tuttavia la
pratica di sila, samadhi e panna, a questo livello non è sufficiente
per produrre i fattori di jhana (assorbimento meditativo) - la pratica
è ancora troppo grossolana. Eppure la mente è abbastanza raffinata
(sempre relativamente alla grossolanità di base!). E tale appare a una
normale persona non illuminata, che non abbia curato troppo la propria
mente e che non abbia praticato la meditazione e la consapevolezza.

A questo livello si può sentire un certo senso di soddisfazione per
riuscire a praticare al massimo delle proprie possibilità e lo vedrete
da soli. E’ qualcosa che solo il praticante può sperimentare
all’interno della propria mente. E se questo avviene, potete ritenervi
già sulla giusta via. State camminando solo all'inizio del sentiero -
ai livelli più elementari - ma, per certi versi, questi sono gli stadi
più difficili. State praticando sila, samadhi e panna e dovete
continuare a praticarli sempre tutti e tre, poiché se ne manca anche
solo uno, la pratica non si svilupperà in modo corretto. Più cresce
sila, più solida e concentrata diviene la mente. Più la mente è
stabile più consistente diventa panna, e così via; ogni parte della
pratica sostiene e si collega all’altra.

Man mano che approfondite e raffinate la pratica, sila, samadhi epanna
matureranno insieme sgorgando dalla stessa fonte, come infatti si sono
raffinate sbozzandosi dallo stesso materiale grezzo. In altre parole,
il Sentiero ha inizi grossolani, ma raffinando ed esercitando la mente
con la meditazione e la riflessione, tutto diventa via via più
raffinato.

Quando la mente è più raffinata, la pratica della consapevolezza si
focalizza meglio, poiché è concentrata su un’area più ristretta. Anzi,
la pratica diventa molto più facile, quando la mente si concentra
sempre di più su se stessa. Ormai non fate più grossi sbagli, ormai,
quando la mente è presa in qualche problema, quando sorgono dubbi se è
giusto o no agire o dire certe cose, semplicemente fermate la
proliferazione mentale e, intensificando gli sforzi nella pratica,
continuate a volgere l’attenzione sempre più in profondità in voi
stessi. Così la pratica del samadhi diverrà vieppiù ferma e
concentrata, mentre la pratica di panna si rafforza, permettendo di
vedere le cose più chiaramente e più naturalmente.

Il risultato è che potrete vedere la mente e i suoi oggetti
nitidamente, senza dover fare distinzione fra mente, corpo e parola.
Continuando a volgere l’attenzione all’interno di sé e continuando a
riflettere sul Dhamma, la facoltà della saggezza gradualmente maturerà
fino al punto che potrete contemplare la mente e gli oggetti mentali
soltanto, ciò significa che state cominciando a sperimentare il corpo
come immateriale. Quando l’intuizione è così sviluppata, non andrete
più a tentoni, incerti su come interpretare il corpo e il suo modo di
essere. La mente sperimenterà le caratteristiche fisiche del corpo
come oggetti senza forma con cui essa entra in contatto. Infine,
contemplerete solo la mente e gli oggetti mentali, cioè quegli oggetti
che arrivano a livello di coscienza.

Esaminando ora la vera natura della mente, osserverete che, nel suo
stato naturale, non ha preoccupazioni o ambizioni che la sommergano.
E’ come una bandiera che sia stata legata all’estremità di un’asta; se
niente la muove rimarrà così, tranquilla. E se si muove significa che
c'è del vento, una forza esterna che la fa agitare. Allo stato
naturale, la mente fa lo stesso - in essa non vi è né amore né odio,
né disapprovazione. Essa è indipendente, in uno stato di purezza che è
completamente chiaro, raggiante, non offuscato. Nel suo stato puro la
mente è pacifica, senza felicità o sofferenza, - in effetti non
sperimenta nessun vedana (sensazione). E’ questo il vero stato della
mente.

Lo scopo della pratica, quindi, è guardarsi internamente, cercando e
investigando fino a quando troverete la mente originale. La mente
originale è detta anche la mente pura. La mente pura è la mente senza
attaccamenti. E' in uno stato di perenne conoscenza e attenzione,
completamente consapevole di ciò che sta sperimentando. Quando la
mente è così non vi sono oggetti mentali piacevoli o spiacevoli che la
possano turbare, non li insegue. La mente non ‘diventa’ nulla. In
altre parole, nulla può scuoterla. La mente conosce se stessa come
purezza. Si è evoluta verso una vera, completa indipendenza; ha
raggiunto il suo stato originale.

E come ha potuto raggiungere questo stato originale? Attraverso la
facoltà della consapevolezza, riflettendo con saggezza e vedendo che
tutte le cose sono solo condizioni che sorgono dal mutuo interagire
degli elementi, senza che vi sia nessuno che li controlli. E così
capita anche quando sperimentiamo la gioia e la sofferenza. Questi
stati mentali sono solo "felicità" e "sofferenza". Non vi è qualcuno
che 'ha' la felicità, la mente non ‘possiede’ la sofferenza; gli stati
mentali non ‘appartengono’ alla mente. Osservatelo voi stessi. In
effetti, queste sono cose che non riguardano la mente, sono separate,
distinte da essa. La felicità è solo uno stato di felicità; la
sofferenza è solo uno stato di sofferenza. Voi siete solo coloro che
sanno questo.

In passato, a causa delle radici dell’avidità, dell’odio e
dell’illusione presenti nella mente, essa avrebbe reagito
immediatamente quando entravate in contatto con qualcosa di piacevole
o spiacevole, e attraverso questa reazione vi sareste 'impadroniti' di
quell’oggetto mentale, sperimentandolo come sofferenza o gioia. E così
potrà avvenire ancora fino a quando la mente non conoscerà se stessa,
fino a quando non sarà chiara e illuminata. Quando la mente non è
libera, si lascia influenzare da qualsiasi oggetto mentale le capiti
di sperimentare. In altre parole, non ha un rifugio, è incapace di
dipendere veramente da se stessa. In questa situazione, quando
ricevete una piacevole impressione mentale diventate allegri o
diventate tristi quando l'oggetto mentale è spiacevole. Così la mente
dimentica se stessa.

La mente originale, invece, è al di là del bene e del male, poiché
questa è la natura originale della mente. E’ un’illusione essere
felici per aver sperimentato un oggetto mentale piacevole. E’
un’illusione essere tristi per aver sperimentato un oggetto mentale
spiacevole. Gli oggetti mentali sorgono con il mondo, sono il mondo.
Danno l’avvio alla felicità e alla sofferenza, al bene e al male, e a
tutto ciò che è soggetto all’inpermanenza e all’incertemza. Quando vi
separate dalla mente originale, tutto diventa incerto: solo una catena
interminabile di nascita e morte, dubbi e apprensioni, sofferenza e
fatica, senza la possibilità di fermare, di far cessare tutto ciò. E’
questa la ruota eterna delle rinascite.

Samadhi significa la mente fermamente concentrata, e più praticate più
la mente diventa stabile. Più la mente è concentrata, più essa diventa
risoluta nella pratica. Più contemplate, più diventate fiduciosi e la
mente diventerà così stabile che non potrà più essere smossa da nulla.
Sapete perfettamente che nessun oggetto mentale la può scuotere. Gli
oggetti mentali sono oggetti mentali; la mente è la mente. La mente
sperimenta stati mentali buoni o cattivi, felicità e sofferenza,
perché viene illusa dagli oggetti mentali. La mente che non si fa
ingannare non può essere turbata da nulla, poiché nello stato di
consapevolezza, vede tutte le cose come elementi naturali che sorgono
e scompaiono: solo questo! Si può avere questo tipo di esperienza
anche quando non si è riusciti a lasciar andare completamente.

Semplificando, lo stato che è sorto, è la mente stessa. Se contemplate
seguendo la verità delle cose così come sono, vi accorgerete che
esiste un solo sentiero e che è vostro dovere seguirlo. Significa che
sapete, fin dall'inizio, che gli stati mentali di felicità e dolore
non sono il sentiero da seguire. E' qualcosa che dovete capire da
soli: è la verità delle cose così come sono! Siete in grado di capire
tutto ciò - siete consapevoli con la giusta visione delle cose - ma
allo stesso tempo non siete in grado di lasciar andare completamente i
vostri attaccamenti.

Qual è allora il modo giusto di praticare? State nella via di mezzo,
che vuol dire prendere nota dei vari stati di gioia e dolore, ma
contemporaneamente teneteli a debita distanza sia da un’esagerazione
che dall’altra. Questa è la via corretta di praticare: mantenere la
consapevolezza anche se non siete in grado di lasciar andare. E’ la
via più giusta, poiché, anche se la mente è aggrappata ai vari stati
di gioia o sofferenza, vi è sempre la consapevolezza di questo
attaccamento. Ciò significa che quando la mente si attacca a stati di
felicità, voi non le date importanza e non ne gioite e altrettanto non
criticate gli stati di sofferenza. In questo modo potete veramente
osservare la mente così com’è. Quando praticate fino al punto di
portare la mente oltre la gioia e l’infelicità, automaticamente
sorgerà l’equanimità, e voi non dovrete fare altro che contemplarla
come un oggetto mentale e seguirla, pian pianino. Il cuore sa dove
andare per essere oltre le negatività, e anche se non è ancora pronto
a trascenderle, le mette da parte e continua a praticare.

Quando sorge la felicità e la mente vi si attacca, prendete proprio
questa felicità come oggetto di contemplazione; lo stesso, se la mente
si attacca all’infelicità, prendete questa infelicità come oggetto di
contemplazione. Finalmente la mente raggiungerà uno stadio in cui sarà
pienamente consapevole sia della felicità che dell’infelicità. E
questo accadrà quando sarà in grado di mettere da parte sia la
felicità che la sofferenza, sia il piacere che la tristezza, quando
sarà in grado di mettere da parte il mondo per diventare allora il
‘conoscitore dei mondi’. Una volta che la mente ‘colei che conosce’ -
può lasciar andare, è qui che si stabilizzerà ed allora la pratica
diventa veramente interessante.

Ogni volta che vi è attaccamento nella mente, continuate a battere su
quel punto, senza lasciar andare. Se c’è attaccamento alla felicità,
continuate a meditarvi sopra, senza permettere che la mente si
allontani da quello stato d’animo. Se la mente si attacca alla
sofferenza, afferratevi a ciò, tenendovi ben stretti e contemplando
subito quella disposizione d’animo. Anche se la mente è intrappolata
in uno stato mentale negativo, riconoscetelo come uno stato d’animo
negativo e la mente non ne sarà più distratta. E’ come quando si
capita in un cespuglio di rovi; ovviamente non lo fate appositamente,
anzi cercate di evitarlo, ma può capitare che vi troviate a camminare
tra le spine. E come vi sentite allora? Naturalmente provate
avversione. Anche se lo sapete, non potete fare a meno di essere 'in
mezzo alle spine'. La mente continua ancora a inseguire i vari stati
di felicità e sofferenza, ma non indulge in essi. Il vostro è un
continuo sforzo per eliminare ogni attaccamento dalla mente, per
eliminare e per ripulire la mente da tutto ciò che è esteriore,
mondano.

Alcuni vogliono pacificare la mente, ma essi stessi non sanno che
cos’è la pace. Non sanno che cos’è una mente tranquilla! Vi sono due
tipi di tranquillità mentale: uno è la pace che viene per mezzo
delsamadhi, l’altro è la pace che viene da panna. La mente che è calma
per mezzo di samadhi è una mente ancora in preda all’illusione. La
pace che si raggiunge per mezzo del solo samadhi, dipende dal fatto
che la mente è separata dagli oggetti mentali. Quando non sperimenta
alcun oggetto mentale, allora è calma, e perciò uno si attacca alla
felicità collegata a questa pace. Tuttavia, quando c’è il contatto con
i sensi, la mente vi si precipita dentro subito, poiché ha paura degli
oggetti mentali. Ha paura della felicità e della sofferenza; ha paura
della lode e della critica, ha paura delle forme, dei suoni, degli
odori e dei gusti. Chi ha la pace per mezzo disamadhi ha paura di
tutto e non vuole essere coinvolto in niente e con nessuno. La gente
che pratica samadhi in questo modo, vorrebbe isolarsi in una grotta,
dove può sperimentare in pieno la beatitudine del samadhi, senza mai
doverne uscire fuori. Appena trovano un posto isolato, vi si
intrufolano e vi si nascondono.

Questo tipo di samadhi porta con sé molta sofferenza: per loro è
difficile uscirne fuori e avvicinarsi agli altri. Non vogliono vedere
forme o udire suoni. Non vogliono sperimentare completamente nulla!
Devono vivere in appositi luoghi particolarmente tranquilli, dove
nessuno possa disturbarli con la presenza o con le parole.

Questo tipo di pace non è utile allo scopo. Quando avete raggiunto un
normale livello di calma, allontanatevene. Il Buddha non ci ha
insegnato a praticare samadhi nell’illusione. Se vi accorgete di
praticare in questa maniera, smettete subito. Se la mente ha raggiunto
la calma, usate questa calma come base di contemplazione. Contemplate
la pace della concentrazione e usatela per collegare la mente con i
vari oggetti mentali che sperimenta, riflettendoci poi sopra.
Contemplate le tre caratteristiche di aniccam(impermanenza), dukkham
(sofferenza) e anatta (non-sé). Riflettete e quando avrete contemplato
abbastanza, potete ristabilire senza pericolo la calma del samadhi,
sedendo in meditazione e poi, una volta riottenuta la calma,
riprendete la contemplazione. Man mano che acquistate conoscenza,
usatela per combattere le negatività e allenare la mente.

La pace che viene per mezzo di panna è un’altra cosa, perché quando la
mente lascia lo stato di calma, la presenza di panna la salva dal
timore per le forme, i suoni, gli odori, i gusti, le sensazioni
tattili e le idee. Vuol dire che ogni volta che c’è un contatto
sensoriale, la mente è subito consapevole dell’oggetto mentale e lo
lascia perdere - la consapevolezza è abbastanza acuta per poterlo fare
immediatamente. Questa è la pace che arriva per mezzo dipanna.

Quando praticate in questo modo, la mente diventa molto più raffinata
di quando sviluppavate solo samadhi. La mente diventa potentissima e
non cerca più di scappare. E’ questa energia che allontana ogni
timore. Prima avevate paura di ogni esperienza, ma ora conoscete gli
oggetti mentali per quello che sono e non ne siete quindi più
spaventati. Conoscete la vostra stessa forza mentale e non ne siete
più intimoriti. Quando vedete una forma, la contemplate; quando udite
un suono, lo contemplate. Diventate abili nella contemplazione degli
oggetti mentali e comunque essi siano, li potete lasciar andare.
Vedete chiaramente la felicità e la lasciate andare. Qualsiasi cosa
vediate, la lasciate subito andare. In tal modo tutti gli oggetti
mentali perdono la loro forza e non possono più trascinarvi con loro.
Quando sorgono queste caratteristiche nella mente del praticante, si
può cambiare il nome della pratica, chiamandola vipassana, che
significa chiara conoscenza in accordo con la verità. E’ tutto qui:
conoscenza in accordo con la verità sulle cose così come sono. Questa
è pace al più alto livello, la pace divipassana.

Il vero scopo della pratica, quindi, non è sviluppare
samadhi, sedendosi in meditazione e aggrappandosi a quello stato di
beatitudine che procura. Dovete anzi evitare questo stato. Il Buddha
ha detto che dovete combattere apertamente la vostra battaglia, non
nascondervi in una trincea cercando di evitare le pallottole del
nemico. Quando è il momento di lottare, dovete saltar fuori con le
armi in pugno, dovete per forza uscire dal nascondiglio. Non potete
più stare lì a poltrire quando è tempo di battaglia. Questa è la
pratica. Non dovete permettere che la mente si nasconda, acquattandosi
nell’ombra.

Ho spiegato la pratica a grandi linee, affinché non abbiate ad
impantanarvi nel dubbio, affinché non vi siano esitazioni sul modo di
praticare. Quando c’è la felicità, osservate quella felicità; quando
c’è la sofferenza, osservate quella sofferenza. E così stabilizzati
nella consapevolezza, provate a lasciarle andare entrambe, a metterle
da parte. Ora che le avete osservate e quindi le conoscete, continuate
a lasciarle andare. Non è importante che meditiate seduti o
camminando, se continuate a pensare non fa niente. La cosa importante
è essere sempre e continuamente consapevoli della propria mente. Se vi
trovate invischiati in troppe proliferazioni mentali, raccoglietele
tutte insieme, e contemplatele come se fossero un tutt’uno. Ne
taglierete l’energia alla radice dicendo: "Tutti questi pensieri,
queste idee e immaginazioni sono semplicemente delle proliferazioni
mentali e basta. Tutto ciò è aniccam, dukkham eanatta. In nessuno di
loro risiede la certezza". E poi lasciatele subito perdere.

AJAHN CHAH nato il 17 giugno 1918, da una famiglia agiata e numerosa
in un villaggio agricolo della Thailandia nordorientale, e deceduto
dopo una lunga malatia il 16 gennaio 1992, è stato uno dei massimi
esponenti della tradizione buddhista theravada della foresta. Ha
iniziato gli studi religiosi giovanissimo, e a vent'anni ha preso gli
ordini monastici iniziando la pratica della meditazione sotto la guida
dei grandi maestri delle foreste. Per molti anni ha vissuto come
asceta, dormendo in foreste e caverne e nei luoghi di cremazione, e
infine ha preso dimora in un boschetto accanto al villaggio natale,
raccogliendo presto intorno a sé numerosissimi discepoli. Grande
maestro e meditante, fu l'ispiratore di un vitale comunità monastica
che si è diffusa dalla Thailandia in Inghilterra, America, Australia,
Nuova Zelanda, Svizzera e Italia.






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