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 Non prestiamo attenzione a stimoli familiari

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 20/06/2014 : 11:43:46
Perché non prestiamo attenzione agli stimoli familiari

19 giugno 2014

Il meccanismo che permette di riservare una risorsa scarsa come l'attenzione a stimoli nuovi e potenzialmente significativi, escludendo selettivamente quelli abituali, può essere spiegato da un nuovo modello unitario. Secondo questa ipotesi, qualsiasi gruppo di neuroni eccitato ripetutamente da uno specifico stimolo privo di una particolare valenza positiva o negativa farebbe scattare un sistema di segnali inibitori (red)

lescienze.it

I meccanismi alla base della selettività dell'attenzione, che permettono di escludere in modo automatico gli stimoli familiari, potrebbero essere spiegati da un nuovo modello proposto da Mani Rawasmani, neuroscienziato del Trinity College di Dublino, che lo illustra sulla rivista “Neuron”.

Normalmente la risposta agli stimoli diminuisce quando si viene esposti ripetutamente a essi: questo processo, che prende il nome di “abituazione”, consente di identificare e ignorare selettivamente eventi e oggetti familiari, così che il cervello non impegni l'attenzione – una risorsa limitata – a vagliare stimoli irrilevanti e possa concentrarsi su quelli nuovi, potenzialmente significativi.

L'abituazione è considerata una forma basilare di apprendimento, dato che senza di essa si sarebbe letteralmente travolti e paralizzarti da una miriade di stimoli, ma per spiegare i meccanismi con cui si realizza esistevano tre differenti ipotesi in concorrenza tra loro. La prima coinvolge i neuroni sensoriali, che andrebbero incontro a un fenomeno di adattamento: la seconda, invece, chiama in causa una depressione della trasmissione eccitatoria, ossia una sorta di esaurimento della capacità di risposta del neurone a livello delle sinapsi in seguito a ripetute stimolazioni; la terza, infine, sposta l'attenzione sulla plasticità delle reti neurali che si modificherebbero con l'esperienza.

Ciascuna delle tre ipotesi riesce a dar conto di alcuni esempi di abituazione, ma nessuna è in grado di spiegarli tutti. Attraverso una metanalisi degli studi a sostegno delle diverse teorie, che per lo più fanno riferimento a esperimenti condotti su differenti gruppi di animali, Ramaswami è arrivato ad adottare una prospettiva evolutiva, che tenta di conciliare le tre prospettive.

In particolare, il nuovo modello ipotizza che un'attivazione ripetuta di un qualsiasi gruppo di neuroni che rispondono ad un dato stimolo comporti l'innesco di una “attivazione negativa”, che inibisce le risposte da parte di quello stesso gruppo di cellule. Per esempio, se la visione di un volto sconosciuto e spaventoso può innescare la prima volta una reazione di paura, reiterate esposizioni che non abbiano avuto conseguenze negative (o positive), fanno sì che il gruppo di neuroni attivato da quel viso sia interessato da ripetuti segnali di inibitori, che si traducono in una comunicazione meno attiva con i centri della paura.

“Questa prospettiva – ha detto Ramaswami - delinea un meccanismo 'scalabile' che può spiegare l'abituazione agli stimoli sia che essi siano codificati da gruppi molto piccoli o molto grandi di neuroni.”

Il meccanismo, secondo il ricercatore, ha bisogno di ulteriori approfondimenti, ma ha il vantaggio di essere semplice e di spiegare perché, per esempio, nelle persone affette da disturbi dello spettro autistico persista molto più tempo del normale una forte risposta ai volti nuovi.

http://www.cell.com/neuron/abstract/S0896-6273(14)00350-X






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