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Inserito il - 11/10/2004 : 11:33:02 Due righe veloci sul caso Indymedia
by Paolo Attivissimo
Come probabilmente gia' sapete, i server inglesi di Indymedia, l'organizzazione indipendente di raccolta di informazioni, sono stati sequestrati il 7 ottobre. I server contengono numerose edizioni internazionali di Indymedia, compresa quella italiana.
Comprensibilmente, molti hanno gridato allo scandalo e al complotto USA contro la liberta'. Sarebbe molto bello se il mondo fosse davvero cosi' in bianco e nero, ma le cose sono un po' piu' complicate. Vi vorrei dare qualche spunto d'informazione e di riflessione, visto che qui, al di la' del caso specifico, e' in gioco un equilibrio molto delicato: quello fra diritto all'informazione e diritto alla privacy.
Innanzi tutto, molti hanno avuto l'impressione che l'FBI sia piombata in Inghilterra e abbia fatto quello che le pareva. Calma un attimo: l'FBI non ha giurisdizione nel Regno Unito. Deve chiedere alle autorita' di sicurezza locali, come è successo in casi analoghi per l'arresto di vandali informatici. Puo' assistere alle operazioni, ma non può agire autonomamente. Quindi e' scorretto titolare "l'FBI sequestra i dischi di Indymedia".
Ci sono accordi internazionali fra le forze di polizia appositamente predisposti, che regolano i termini di queste collaborazioni e richiedono comunque che il reato sia considerato tale dalle autorità locali. Non basta la parola dell'FBI: ci vuole un ordine legale emesso secondo le leggi vigenti del paese. Ovviamente, essendo i due paesi legati da una lunga tradizione di collaborazione, un ordine legale di questo genere viene emesso abbastanza facilmente.
Rackspace USA afferma che l'accordo in base al quale e' stato eseguito il sequestro (senza notificare Indymedia) e' il Mutual Legal Assistance Treaty (MLAT). Ne parla The Register qui (in inglese):
http://www.theregister.co.uk/2004/10/08/fbi_indymedia_raids/
Questo trattato, pero', definisce procedure di reciproca assistenza per i casi di terrorismo internazionale, rapimento e riciclaggio di denaro. Ma Indymedia non e' accusata di nessuno di questi crimini.
A dire la verita', non si sa neppure di cosa sia accusata. Tuttavia il silenzio di Rackspace UK, e la mancata notifica a Indymedia, non sono atti di prevaricazione autoritaria: sono obblighi della legge britannica, che vieta alle parti in causa di discutere un provvedimento che le colpisce, per evitare di interferire con le indagini e di coinvolgere persone che magari non c'entrano nulla. Questo e' un fatto ben noto a chi si occupa d'informazione e informatica in Inghilterra.
L'idea puo' piacere o non piacere, ma mi sembra indubbio che i responsabili di Indymedia, consci di avere a che fare spesso con informazioni scottanti e fastidiose per i potenti di turno, avrebbero dovuto riflettere piu' attentamente prima di depositare i propri server in territorio inglese. Ci sono molti altri paesi che offrono garanzie superiori. Inoltre, da un punto di vista strettamente informatico, mi stupisce la mancanza apparente di un backup (Indymedia afferma di aver "perso molto del materiale presente" sui propri server"):
http://italy.indymedia.org/index.php
Il muro di silenzio, comunque, non e' impenetrabile. C'e' infatti una teoria abbastanza solida sulle possibili ragioni del sequestro. Secondo l'articolo di The Register e il comunicato di Indymedia, disponibile in italiano presso
http://italy.indymedia.org/news/2004/10/660405.php
la ragione più probabile sarebbe la presenza, nella sezione Indymedia Nantes dei server, di alcuni "articoli con nomi e facce di poliziotti svizzeri in borghese infiltrati durante una manifestazione di piazza", quindi in un luogo pubblico. L'FBI ne aveva richiesto la rimozione alcuni giorni fa, ma "il procedimento era ancora in fase di formalizzazione al momento della sottrazione dei computer". La richiesta sarebbe stata motivata, dice Hep Sano, rappresentante di Indymedia, dal fatto che gli articoli "rivelavano informazioni personali" sui poliziotti in borghese. Nessuna delle fonti direttamente interessate ha confermato l'ipotesi di coinvolgimento delle autorita' italiane fatta da alcuni organi di stampa.
La pista elvetica sembra confermata da una dichiarazione di Rackspace a Indymedia, citata da The Register: la richiesta proverrebbe appunto dalla polizia svizzera. Indymedia ritiene che le foto fossero state rimosse dai server prima del sequestro, ma ovviamente non puo' verificarlo, perche' i dati dei server sono inaccessibili.
Se le cose stanno cosi', ci sono alcuni punti da ponderare. Indubbiamente il sequestro integrale dei server e' una misura esagerata, perche' lede gravemente il diritto all'espressione e all'informazione. Ma va considerato anche il diritto di chi lavora nelle forze dell'ordine, e delle loro famiglie, a non essere indicato per nome e cognome e indirizzo: e' lo stesso diritto che spetta a ogni cittadino, e che nel caso di chi opera in settori delicati e' addirittura rafforzato per ragioni fin troppo ovvie. Quel poliziotto in borghese che oggi assiste a una manifestazione, domani potrebbe aver bisogno di tutelare il proprio anonimato (e la vita dei propri figli) durante un'indagine antimafia.
Molti si lamentano dell'invasivita' delle telecamere di sorveglianza e non desiderano essere ripresi, neppure nei luoghi pubblici, e lo considerano anzi un diritto assoluto. Mi sta bene. Ma e' difficile conciliare questa lamentela con la pubblicazione online di foto di persone con tanto di nome, cognome e indirizzo, ritratte in un luogo pubblico. Un diritto e' un diritto, e non si annulla soltanto perche' la persona coinvolta non la pensa come noi o perche' la parte lesa non siamo noi ma e' qualcun altro.
Si fa in fretta ad accusare di prevaricazione e gridare al complotto liberticida. Indubbiamente trovarsi la polizia in ufficio con un ordine di sequestro non e' piacevole. Ma se le foto e i nomi e cognomi pubblicati online fossero stati i vostri, non avreste reclamato a gran voce l'intervento di quelle stesse forze dell'ordine per toglierli dalla Rete al piu' presto?
Forse, ripeto forse, sequestrare i server era la procedura legale piu' spiccia per tutelare i diritti dei cittadini di cui era stata violata pericolosamente la riservatezza. Forse, ripeto forse, Indymedia poteva riflettere prima di commettere un atto di scorrettezza del genere.
Forse, ripeto forse, il torto sta da entrambe le parti, e dare la colpa a una sola e' una scelta troppo semplice. E a molti piacciono le scelte semplici: evitano la fatica di pensare.
Ciao da Paolo.
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Sequestro Indymedia, aggiornamento: le foto (senza nomi)
Numerosi siti Web stanno segnalando la disponibilita' di copie delle pagine di Indymedia sequestrate che ritrarrebbero due agenti in borghese. Se le copie sono autentiche, nelle pagine che Indymedia ritiene siano la causa del sequestro *non* ci sono i nomi degli agenti, ma soltanto alcune loro foto a distanza ravvicinata, sufficiente a identificarne i lineamenti con estrema chiarezza.
Non troverete link alle copie delle pagine in questa newsletter. E' uno scrupolo di prudenza, per due ragioni: la prima è che desidero comunque tutelare la sicurezza degli agenti ritratti nelle foto (se sono agenti); la seconda è che mi trovo in territorio inglese. Avere una visita della polizia di Sua Maestà non mi va: non stasera, ho un libro da finire! Chiunque sappia usare la cache di Google o visiti alcuni dei siti più popolari della Rete trovera' i link.
Le foto indicate come copie di quelle sequestrate sono scattate in una localita' svizzera, visto che in una si scorge chiaramente una cabina della Swisscom.
Se la loro autenticita' venisse confermata, l'ipotesi di reato andrebbe ridimensionata: Indymedia non avrebbe violato la riservatezza di due agenti cosi' gravemente come sembrava inizialmente. Le mie considerazioni si basavano su questo aspetto, che pero' sarebbe falso: che cosa vi devo dire, e' stata proprio Indymedia a parlare di "nomi e facce" qui (http://italy.indymedia.org/news/2004/10/660405.php). Ed e' sempre Indymedia a dire che la foto (una sola) ritraeva agenti svizzeri, ma a Seattle:
"Two weeks ago the FBI requested that Indymedia takes down a post on the Nantes IMC that had a photo of some undercover Swiss police and IMC volunteers in Seattle were visited by the FBI on the same issue." (http://www.indymedia.org/en/index.shtml)
Qualcosa non quadra. Forse non e' questo il motivo del sequestro, o forse le foto non sono quelle incriminate.
Comunque sia, qualora le copie fossero autentiche, parte dei miei commenti sarebbe fuori luogo. Resta da valutare se pubblicare, o consentire la pubblicazione, delle foto di due persone e dire "questi sono due agenti in borghese", sia pure senza i loro nomi, sia un comportamento saggio e corretto da parte di qualsiasi organizzazione. E se non fossero agenti?
Fra l'altro, le parole che accompagnano le foto non sono, come dire, un esempio di fair play:
Comme le dit l'un des 2 inspecteurs : « J'ai vu deux de mes collègues se faire lyncher pendant les manifs anti-OMC, en 1998, raconte un inspecteur. Je ne l'oublierai jamais. »
Peut etre qu'il y a d'autres choses que cet inspecteur n'obliera jamais ! Car il n'y a pas que le Carpacio comme plat qui se mange froid !
Il mio francese sara' arrugginito, ma credo di capire a cosa allude la frase "il carpaccio non e' l'unico piatto che si serve freddo."
Vi piacerebbe essere ritratti sotto una didascalia del genere?
Concludo con un altro dettaglio: secondo una segnalazione su Cryptome.org (http://cryptome.org/rackspace-axe.htm), sito solitamente abbastanza affidabile, il coinvolgimento USA sarebbe molto indiretto. In sostanza, l'FBI avrebbe dichiarato di non aver alcuna indagine in corso sull'argomento, ma di aver semplicemente agito da tramite nel trasmettere la richiesta svizzera di assistenza pervenuta tramite le autorità italiane, come previsto dagli accordi internazionali.
L'iter sarebbe stato questo: la Svizzera avrebbe chiesto l'assistenza dell'Italia, che a sua volta l'avrebbe chiesta a USA e Regno Unito perche' Rackspace e' una societa' USA con filiale in Inghilterra.
Ciao da Paolo.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- (C) 2004 by Paolo Attivissimo (www.attivissimo.net). |
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