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 Esce Fahrenheit 9/11

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 30/06/2004 : 11:36:40
Esce Fahrenheit 9/11


di: Alessio Mannucci - ecplanet.com


Esce in America, tra le polemiche, il film di Michael Moore, Palma d'Oro al festival di Cannes, un atto d'accusa contro il presidente Bush e la guerra fatta solo per interessi personaliche che esamina gli avvenimenti dell'11 settembre 2001.

Secondo il giornalista Maurizio Blondet, autore del libro “Chi Comanda in America”, si è trattato di un colpo di stato contro la libertà di informazione.

Due anni dopo aver denunciato la snodata passione USA per le armi nel precedente “Bowling for Columbine”, con cui ha conquistato l'Oscar, dopo il successo del libro “Stupid White Men”, Moore torna a prendere di mira Bush con un documentario che esamina gli avvenimenti dell'11 settembre e i presunti rapporti tra la Casa Bianca e la famiglia di Osama Bin Laden.

Il film, vincitore della Palma d'oro a Cannes 2004, procede a un ritmo veloce e non fa mistero di essere un documento di propaganda per ridicolizzare il presidente. Le accuse sono gravissime: c'è da provare che Bush e il suo staff sapevano o potevano sapere molte cose ben prima dell'11 settembre; che la guerra in Iraq è stata pianificata a freddo; che l'America vive nel terrore per un calcolo politico.

Che ne direste di un uomo che dalla sua elezione all'11 settembre ha trascorso il 42% del tempo in vacanza? Come mai i 76.000 afroamericani della Florida sono certi di esser stati privati del loro diritto al voto, ma in Senato non un solo senatore è stato disposto a controfirmare l'interpellanza presentata dai deputati di colore? Perché Bush, che l'11 settembre era in visita in una scuola elementare, continuò a farsi fotografare per ben 7 minuti prima di alzarsi, il tempo trascorso fra primo e secondo jet (i primi piani del suo volto stolidamente perplesso, dopo che un membro del suo staff gli bisbiglia qualcosa all'orecchio, sono forse il colpo più duro del film).

Stà di fatto che subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle, mentre l'America sigillava le frontiere, un centinaio di sauditi volarono via, regolarmente registrati negli aeroporti, fra cui 24 membri della famiglia Bin Laden. Famiglia con cui Bush Sr. scambiava affari e favori già da parecchi anni, dividendo anche lo stesso avvocato. Tanto che a tutt'oggi, più gli USA si armano, più le due famiglie si arricchiscono. E anche qui un conto è leggere i dati, altro è vedere immagini e documenti. Vedere i talebani in Texas per il contratto di un gasdotto; scoprire che il 13 settembre l'ambasciatore saudita cenava a casa Bush; che il 6-7% di tutte le ricchezze americane sono in mani saudite; che dopo essersi opposto, fatto inaudito, a una commissione d'inchiesta non governativa sull'11 settembre, il presidente ha “censurato” 28 pagine del rapporto.

Il momento più emozionante è quando Moore si sofferma sul crudo e puro dolore dei familiari dei soldati morti in Iraq, alternando le dichiarazioni di soldati in Iraq, che è riuscito a riprendere grazie a una troupe clandestina infiltrata al fronte, alla metamorfosi di una donna della provincia americana.

Lila Lipscomb all'inizio del film si dichiara una conservatrice democratica, dice di detestare le manifestazioni dei pacifisti ed è fiera che la sua famiglia sia impegnata con l'esercito americano. Poi però uno dei suoi figli muore e il suo giudizio, influenzato dal dolore materno, cambia radicalmente,e si spinge fino alla Casa Bianca per chiedere conto a Bush del perché.

Il regista offre il suo punto di vista: l'Iraq è il paese del mondo che offre maggiori possibilità economiche in questo momento, grazie al progetto di ricostruzione cui partecipano varie multinazionali, alcune delle quali fanno capo alla famiglia Bush e ai suoi ministri.

Moore costruisce le sue indagini senza mai abbandonare il sarcasmo, elemento con cui condisce da sempre le sue inchieste. Come quando, davanti al Campidoglio, ferma deputati e senatori per chiedere come mai su 535 membri del Congresso, uno solo ha un figlio al fronte.

Non sono mancate le polemiche. La “Move America Forward”, una organizzazione che sostiene la lotta al terrorismo, ha attaccato il film invitando gli spettatori, sul proprio sito, a scrivere ai responsabili delle catene cinematografiche per esprimere il proprio disappunto sulla proiezione del documentario. La stessa associazione, l'anno scorso indusse la CBS a cancellare una serie sulla famiglia Reagan.

Tom Ortenberg, presidente della Lions Gate, che distribuisce con la IFC “Fahrenheit 9/11”, ha così commentato: “L'unico messaggio che si dovrebbe recepire dalla visione del documentario, che si sia a favore della guerra in Iraq o meno, è che in questo Paese non c'è bisogno di ulteriore censura”.

Censura che invece ha vietato il film, uscito ieri nelle sale di New York, ai minori di 17 anni non accompagnati. In una intervista pubblicata da Libération, Moore ha dichiarato: “Spero di incitare la gente, e in modo particolare gli americani, a riflettere su questo: perché, dopo il formidabile slancio di simpatia del mondo nei confronti degli Stati Uniti in seguito all'11 settembre, oggi siamo considerati come il popolo più crudele della terra?”.


CHI COMANDA IN AMERICA?

Il 13 gennaio 2002, il giornale berlinese «Der Tagesspiegel» pubblica una intervista ad Andreas Von Bülow, ex ministro tedesco della tecnologia: «Dopo gli orrendi attentati dell'11 settembre», attacca von Bülow, «l'intera opinione pubblica è stata forzata a credere a una versione sbagliata». E segnala: «Ci sono in USA ventisei agenzie di controspionaggio che costano trenta miliardi di dollari l'anno: più dell'intero bilancio tedesco per la Difesa. E non sono state capaci di prevenire gli attacchi (…) E per sessanta decisivi minuti, le agenzie militari e di intelligence hanno lasciato a terra i caccia; però quarantotto ore dopo l'FBI ha presentato una completa lista dei dirottatori suicidi. Ma dieci giorni dopo risulta che sette di loro sono ancora vivi. E perché i capi dell'FBI non spiegano queste contraddizioni? Da dove veniva la lista, e perché era falsa?».

Poi torna sullo strano profilo dei “suicidi”: «Si lasciano dietro tracce come una carica di elefanti, fanno pagamenti con le loro carte di credito, danno i loro veri nomi agli istruttori di volo, si lasciano dietro auto noleggiate con manuali di volo in arabo. Portano con sé, nel loro viaggio verso il suicidio, ultime volontà e lettere d'addio, che cadono nelle mani dell'FBI perché le hanno messe nel posto sbagliato, con indirizzi sbagliati. Andiamo! Sono segnali lasciati sul percorso come in una caccia al tesoro per bambini».

Von Bülow parla di “lavaggio di cervello collettivo” a cui vengono sottoposte “le democrazie di massa”: «L'immagine del nemico come comunista non funziona più; deve essere sostituita con l'Islam. Non è un'idea mia. Viene da Zbigniew Brzezinski e Samuel Huntington, due strateghi che formano l'intelligence e la politica estera americana».

Già a metà degli anni ’90, Huntington, uno dei fondatori del CFR (Council on Foreign Relations) diceva: “la gente in USA e in Europa ha bisogno di un nuovo nemico da odiare, ciò rafforzerà la loro identificazione con la propria società”.

Brzezinski, il cane matto, ex consigliere di Jimmy Carter, invece ha teorizzato il diritto esclusivo degli Stati Uniti a impossessarsi delle materie prime del mondo, anzitutto greggio e gas. E questo coincide perfettamente con i desideri dell'industria degli armamenti, delle agenzie d'intelligence, del cosiddetto “complesso militare-industriale”.

Continua Von Bülow: «La progettazione dell'attacco è stato un capolavoro dal punto di vista tecnico e organizzativo. Dirottare quattro grossi aerei di linea in pochi minuti e lanciarli sui bersagli entro un'ora con complicate manovre di pilotaggio. Questo è impensabile, senza l'appoggio, e per anni, di apparati segreti dello Stato e dell'industria».

Von Bülow nel 1993 è stato relatore per l' SPD (il Partito Socialdemocratico Tedesco) nella commissione parlamentare d'inchiesta sulla Stasi, la polizia segreta della Germania Orientale. È da allora che si è fatto un’idea precisa su come operano i servizi segreti occidentali.

Il giornalista Maurizio Blondet, autore del libro “Undici settembre, colpo di stato in America”, da cui è tratta questa intervista, ha pubblicato successivamente anche un altro libro dal titolo “Chi Comanda in America" in cui torna ad avvalorare la tesi secondo cui il popolo americano, insieme a quello mondiale, è rimasto vittima di un colpo di stato e di una disinformazione che rende quasi impossibile conoscere la verità.

A tutt'oggi, le identità di tutti i diciasette terroristi non sono certe, nessuna identità è certa. Le indagini in America continuano ad essere indegne di un paese democratico dato che non c’è una vera indagine giudiziaria e non c’è una vera indagine tecnica su quello che è successo.

Ma allora, chi comanda veramente in America?


Alessio Mannucci
E-mail: hugofolk@ecplanet.com





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